E' chiaro pertanto che esistono opere di fantascienza imperniate sui più disparati aspetti del rapporto vita-ambiente; come pure, esistono narrazioni che trasferiscono gli stessi problemi su altri pianeti (e poche scienze, o pseudo-tali, possono rivelarsi più stimolanti d'una xeno-ecologia!) Siamo fuori del tema che concerne in particolare il presente articolo, e pertanto citerò pochi titoli. Nell'inferno di neve di Richard Holden (1956, Urania n. 117, Snow Fury), narrava di una nevicata mai vista in precedenza, ma c'era lo zampino del solito mad doctor, uno "scienziato folle" che era riuscito addirittura a creare una nuova forma vitale. Invece in La morte bianca (1955, Urania n. 159, White August) di John Boland, la colossale nevicata che in piena estate paralizzava mezzo mondo era proprio manifestazione di una poco chiara (a maggior ragione più inquietante) anomalia ambientale. Il fantasiosissimo racconto Un secchio d'aria (1951, A Pair of Air) di Fritz Leiber, narrava del congelamento della nostra atmosfera; per cui - naturalissimo, vero? - occorreva uscire fuori di casa con sgangherate tute d'emergenza, e portarsi appresso secchi o pentole per rifornirsi di pezzi d'aria... ghiacciata. Splendido il racconto Ghiacciaio di Kim Stanley Robinson (1988, Glacier; 1989 Nova Sf* n. 16, Perseo), in cui gli eventi erano vissuti attraverso gli occhi di un ragazzino per cui solo da dettagli secondari, presentati in modo obliquo, si intuiva un'umanità disperata per l'avvento d'una nuova glaciazione. Ritengo anche imperdibile il racconto breve di Arthur C. Clarke Il nemico dimenticato (1949, The Forgotten Enemy; 1968, Nova Sf* n. 7, Libra). Qual era il nemico? Una nuova glaciazione, per l'appunto: comodamente rimossa dalle nostre memorie, essa si ripresentava implacabile, vanificando con un colpo di spugna progetti e speranze, e ricordandoci la fragilità della specie umana. Retrocedendo ancora nel tempo e nelle... nebbie di Urania, emerge uno strano romanzo del francese Gabriel Guignard, Arca 2000 (1953, Pyramidopolis; 1953, Urania n. 58): qui si preannunciava addirittura (e puntualmente si verificava) un nuovo diluvio universale; ovviamente ogni essere umano era disposto proprio a tutto pur di accaparrarsi con unghie e denti un posticino sulla nuova "arca" in costruzione, a forma di gigantesca piramide... Ma la storia più bella, in tema di precipitazioni torrenziali, è probabilmente Pioggia senza fine (1950, The Long Rain; varie edizioni italiane, fra cui in Le meraviglie del possibile, Einaudi 1959) di Ray Bradbury. Un manipolo di terrestri vaga tra le foreste del pianeta Venere, circondato da mille pericoli e martellato da una pioggia violenta che dura da settimane e e non accenna a placarsi. Occorre al più presto raggiungere una delle Cupole Solari terrestri, ma tra fanghiglia, buche, liane, mostri e pericoli vari l'impresa si annuncia disperata. Una prima Cupola è stata raggiunta: era letteralmente marcita. Qualcuno del gruppo ha rinunciato a cercare ancora, lasciandosi morire...

Il tenente non udì nemmeno lo sparo.

Cominciò a mangiare i fiori, man mano che camminava. Andavano giù abbastanza facilmente, e non erano velenosi, ma colto dalla nausea li vomitò un minuto dopo averli ingurgitati. Strappò alcune foglie e cercò di farne un cappello; la pioggia gli disfaceva le foglie vie dalla testa. Appena staccata, la vegetazione imputridiva, si dissolveva in minuzzoli grigiastri fra le dita. - Ancora cinque minuti - si disse. - Altri cinque minuti e poi entrerò nel mare e continuerò a camminare... Noi non siamo stati creati per questo inferno d'acqua; nessun terrestre è mai stato o sarà mai in grado di sopportare tanto. I tuoi nervi, domina i tuoi nervi!

Continuò a procedere barcollando nel mare di melma e di foglie marce, finchè giunse ai piedi di una piccola altura. In lontananza s'intravvedeva una debole macchia giallastra tra le fredde stelle filanti della pioggia.

La seconda Cupola Solare!