Mario Burundi-MacFly entrò nel tombino. Era da poco passata la mezzanotte e quella zona sembrava completamente deserta. Non un alito di vento, non una voce, non una luce accesa negli edifici circostanti, che per la maggior parte erano comunque disabitati. L'oscurità era densa e spettrale.

Aveva osservato furtivamente tutta la zona circostante prima di immergersi sottoterra, per essere sicuro che non lo seguissero. Nessuno lo aveva pedinato.

Era un individuo di sesso maschile quasi del tutto simile alla totalità della popolazione: gli occhi a mandorla, la pelle color caffè, i capelli biondissimi e un'inflessione della voce priva di qualsiasi accento.

Sollevò il coperchio di ghisa non senza fatica e, cercando di non fare troppo rumore, lo spostò quanto bastava a consentirgli di sgusciare nel pertugio.

Il fetore di escrementi e di carogne fu come un pugno nello stomaco nel momento in cui chiuse fuori il mondo esterno. Restò qualche secondo piegato in due per fermare i conati di vomito, bestemmiando e maledicendo il Giorno Della Globalizzazione (il 25 dicembre), cercando di mantenersi saldo sulla sottile scala di metallo, e scese. Giunto sul fondo - si trovava a una ventina di metri sotto il livello della strada - cominciò a percorrere il tunnel che pareva snodarsi all'infinito. Oltrepassò un canale di scolo dove alcuni famelici ratti stavano banchettando con una carogna di un qualcosa che una volta doveva essere stato un animale (anche se sembrava strano che quella poltiglia, meno di un mese fa, avesse avuto un'anima e un cervello, per quanto piccoli).

Decise di concentrarsi e di scordare ogni altra cosa che non fosse il tragitto. Doveva scendere per un paio d'ore attraverso cunicoli che sembravano tutti uguali. C'erano voluti mesi prima che il suo contatto potesse rivelargli il percorso completo in tutti i suoi dettagli.

Un pezzetto alla volta, un metro al giorno.

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L'essere onnipotente arrivò sulla terra e portò pace agli uomini di buona volontà. Neanche lui sapeva da dove provenisse, ma era ben conscio di ciò che doveva fare. Il suo creatore - e questa cosa lo turbava un po', dal momento che Dio non può essere stato creato da nessun altro, ma esiste, é sempre esistito e sempre esisterà, nei secoli dei secoli - gli aveva dato un obiettivo. Gli uomini sarebbero stati tutti uguali e non ci sarebbero state distinzioni di razza, di ceto sociale e di religione: ve ne sarebbe stata soltanto una, quella giusta. Un'unica lingua avrebbe permesso di comunicare in qualsiasi posto del mondo; un unico cibo avrebbe eliminato i disagi dei viaggiatori; un unico tipo di computer avrebbe cancellato tutti gli errori di sistema e avrebbe inaugurato una nuova era di file condivisi senza paura

Ci avrebbe impiegato degli anni, dei secoli forse, ma ci sarebbe riuscito. Il tempo non aveva alcun senso per quell'essere onnipotente.

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Il programmatore non credeva ai suoi occhi: le righe di codice si autoinserivano! Dopo dieci anni passati a scrivere, correggere e ricontrollare il programma DIT, finalmente era riuscito a eseguirlo. Tutte le frustrazioni, le umiliazioni da parte dei colleghi, che si davano di gomito e si scambiavano sorrisini beffardi ogni qualvolta lo incrociavano stanco e con gli occhi rossi, erano finite. Fece per alzarsi, ma rimase ipnotizzato dallo schermo. Capiva che stava succedendo qualcosa, anche se non gli era molto chiaro. Aveva una mezza idea (non aveva mai visto una scritta lampeggiante che diceva Sharing ALL Files), ma gli sembrava pazzesca. E poi il suo PC non era collegato a Internet. Non era collegato nemmeno a una banalissima rete locale.