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Il Cubo di ghiaccio si ergeva sulla pianura, solitario e solido. La verticalità degli spigoli incuteva riverenza, anche a chi odiava la rigida struttura dello Stato Perenne. Amos era tra questi, ma la rabbia latente si stava evolvendo in un progetto di ribellione attiva. In un’azione liquida, pronta a infiltrarsi nelle fessure dimenticate del governo. Niente è perfetto, neanche i solidi platonici. E questa era la sera per dimostrarlo.
Amos contemplò le facce algide del Cubo: non erano piene, fori quadrati le traforavano secondo uno schema frattale, sia per le dimensioni che per la posizione sulla superficie; era una spugna matematica che racchiudeva l’idea fondante della nuova società, anzi, della nuovissima come la chiamava la propaganda. Amos strinse i pugni dentro le tasche del giubbetto ai nanotubi, la tensione lo stava consumando. I cunicoli erano pozzi neri di una intensità irreale, emanavano oscurità; un’oscurità pulsante, senziente. Aveva paura, detestava ammetterlo. Era trafitto dalle sue debolezze, come i vuoti trapassavano il monolite. I vuoti sembravano infiniti.
— Quanto manca?
— Non affannarti a misurare il tempo.
Amos squadrò il cyborg occupato al comando dell’hovercraft magnetico. PQ-9 era un passatore topologico 1, gli unici che potevano accedere alle celle della vita perenne dove venivano stoccati i cloni morti.
— Non tutti se lo possono permettere, cyborg! — disse ;Amos calcando l’ultima parola. — Ho le ore contate, devo evitare qualsiasi intoppo.
— È questione di spazio, alla prossima dilatazione saremo dentro allo strato primario del Cubo, umano!
L’aeroscafo prese velocità, i filari delle vigne fuggivano sotto di loro: binari verdi inghiottiti dal mare nero della sera. Le foglie frustavano l’aria, mostrando gli acini d’uva ancora acerbi. Amos sentiva la forza g schiacciarlo al sedile, una mano invisibile gli premeva la testa. Stavano correndo. Eppure non si avvicinavano all’imponente edificio che rimaneva fisso nelle sue dimensioni, nessun segnale visivo che segnalasse l’approssimarsi del loro arrivo. Era come se tentassero di raggiungere la luna. Il Cubo sembrava la proiezione del pallido satellite sulla superficie terrestre.
Amos emise un grugnito di insofferenza. Ripensò al piano, alle sue fasi. Sulla carta i rischi erano ombre morenti al crepuscolo, ora, invece, erano nette e corpose create dalla forza del sole alto. Non conosceva l’adrenalina del rischio, quello vero, quello che porta a una sentenza definitiva, alla morte. Gli esseri umani da diverse generazioni erano digiuni dal pericolo. Lo ignoravano, perché così educati.
Improvvisa, la decelerazione. Amos sentì i polmoni sgonfiarsi, le cinture morsero la vita e il torace. Vomitò aria. Il parabrezza e la plancia, una serie di scatti sempre più ingranditi. Strabuzzò gli occhi e tossì.
Erano fermi. Sospesi a pochi metri da terra.
— Siamo arrivati al punto di non ritorno — disse PQ-9. — Oltre questo strappo spaziale saremo nella giurisdizione del Cubo. Entreremo a tuo rischio e pericolo, se qualcosa dovesse andar storto morirai. — Il cyborg incrociò il suo sguardo. — E sarò io a farlo. Non posso rischiare di essere condannato come traditore della Giusta Causa.
Amos soppesò le parole. PQ-9 intuì le sue perplessità.
— Non puoi immaginare quanto atroci siano le pene — proseguì PQ-9. — Tutte finalizzate all’annientamento. No, non puoi neanche sfiorare la realtà.
Amos si massaggiò il petto, prima di quel momento non aveva mai pensato che potessero esistere differenti morti. Chissà se il nulla dell’uomo è lo stesso di un cyborg, rifletté. — So del pericolo cui vado incontro. E sono pronto — disse modulando il tono della voce. Doveva sembrare sicuro. Soprattutto a se stesso.
— Un’ultima questione — disse PQ-9. Attese qualche secondo. — Non ti sei dimenticato della ricompensa. Ce l’hai con te, vero? — Le iridi rifletterono la fredda luce lunare, amplificandola.
Amos si rilassò. Sorrise alle parole incrinate del cyborg, spezzate dall’eccitazione. Nonostante la costante evoluzione e ricerca alla perfezione, provavano forme di emozioni, latenti. In alcuni erano più accentuate, questione di errori. La vita è un errore. Amos vide il volto di PQ-9 fremere, un’increspatura lieve. Ebbe la conferma della loro debolezza. Erano corruttibili. — Certo! Mantengo le promesse. I cyborg le rispettano? — domandò pungolandolo.
— Non prenderti gioco di me o la tua missione finisce qui — sibilò PQ-9.
— Sei disposto a rinunciare alla tua dose, alla Sintesi dell’Anima?
— Dimostrami che ce l’hai con te. Non mi fido degli esseri umani.
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