— …Sta per giungere su questa terra la Grande Luce Eterna: il simbolo d’una nuova èra, di una nuova civiltà. Non dobbiamo mancare...  Quella sera, a tavola, Blend monopolizzò la conversazione. Rievocò i vecchi tempi, ci aggiornò su alcune sue ricerche, e su alcuni tra i vecchi compagni di corso che non erano presenti a quell’incontro. E sembrava impossibile avere ancora dubbi sulla lucidità del vecchio studioso: le sue parole erano incantevoli, ipnotiche come sempre. Riusciva a creare una trama sottile di emozioni, a trasmettere il suo entusiasmo. Dopo la prima mezz’ora nessuno di noi dubitava di quanto diceva.— Ho trascorso gli ultimi anni a Sumatra — spiegò a un certo punto. — E gli scavi che vi abbiamo compiuto hanno dato risultati tali da sconvolgere il mondo scientifico. Se avessi deciso di renderli noti… Bennet, mi dispiace di non averti informato prima di queste mie ricerche… so che avresti voluto essere della partita. Ma non potevo. Si tratta di un lavoro perseguito per tutta la vita, dapprima con prove così esili da far dubitare me stesso, ma poi, quando ho cominciato a raccogliere elementi che vi farò vedere, non ho avuto più il tempo di pensare ad altro. Ci guardò con un sorriso di scusa, poi proseguì: — Ecco, a questo punto posso esserne sicuro. Ho buone ragioni di credere che uomini vissuti in uno dei grandi continenti sommersi, Atlantide o Mu, siano ancora sul nostro pianeta... vivi.

Lascio immaginare l’eccitazione che ci pervase a quell’annuncio. Lo ripeto: uscita dalla bocca di chiunque altro, questa affermazione avrebbe fatto ridere, Ma Blend era dotato di uno straordinario carisma, di una reputazione a prova di bomba, e per noi era stato un vero Maestro, uno di quei rari esempi di studiosi capaci di influenzare la vita dei loro allievi in maniera totale.

Non dubitammo un momento della serietà di quanto ci aveva detto... ma si trattava comunque di qualcosa di assurdo, che non aveva ragione di esistere in pieno Terzo Millennio, nell’èra delle comunicazioni istantanee e dei voli spaziali nelle profondità dello spazio.

In verità, nel fondo di ciascuno di noi c’è sempre un po’ di follia. E Blend, evidentemente, ci conosceva bene. Aveva scelto tra noi quelli dotati di maggior spirito d’avventura, quelli non integrati nella vita quotidiana, che non avevano raggiunto una meta sistemandosi e perdendo lo spirito giovanile che portava a sfidare ogni ostacolo, a fronteggiare anche l’impossibile.

Dopo una ventina di giorni la nostra insolita spedizione aveva raggiunto Rapa Nui, l’Ombelico del Mondo, la Sperduta del Mare. L’isola di Pasqua.

Una stella brillava su in cielo, un cielo palpitante di luci inebrianti che i nostri occhi avvezzi all’inquinamento luminoso delle grandi città avevano quasi dimenticato.

La luce di quella stella particolare non aveva raggiunto la Terra, in passato, se non come astro di ventiduesima grandezza. Erano occorsi i telescopi più potenti per individuarla, E ora invece brillava come Venere, come Sirio. Nel cielo palpitante di fuochi, era il più ardente.

Tutti, in silenzio, contemplavamo la scena straordinaria: nell’ombra, i giganti di pietra sembravano i guardiani oscuri di qualche prezioso tesoro. Il suono del mare giungeva attutito alle nostre orecchie, era stagione morta quindi non c’erano luci né turisti a infrangere la tranquillità del luogo.

Ricordavo ormai a memoria la traduzione della tavola di Sumatra, la prodigiosa scoperta che Blend ci aveva mostrato in quei giorni:

“…Quando le stelle saranno nello stesso punto da cui partì il Primo Ciclo, e la luce di Lhan il Dimenticato illuminerà il Gigante Custode, solo allora l’occhio del mortale potrà vedere l’ingresso del Regno delle Ombre. Là, immobili come il Tempo, e come esso antichi, i Signori della Luce attendono il Saggio che li affrancherà dal loro destino. Ma guai ai vivi, e a coloro che vivi non sono, se colui che giungerà non sarà l’Atteso!”

La luce della stella brillava alta, nel cielo. E i suoi raggi sfioravano, per la prima volta dopo tanti millenni, uno dei Giganti di Pietra, illuminando con una debolissima luce una piccola zona della roccia.

Un’illusione ottica? Ormai avevo sospeso la mia incredulità, una parte razionale della mia mente sapeva che quanto stavo facendo, quanto stavo vedendo era impossibile, ma dentro di me credevo a ogni cosa e fremevo nell’attesa di chissà quali rivelazioni...

— Attenzione! — disse Dubb, che teneva l’occhio accostato a una specie di microcamera, fissa sul terreno prospiciente la grande sagoma del gigante di pietra. — Aveva ragione, professore: c’è una sorta di fosforescenza su quella roccia… La distinguo benissimo, anche se l’apparecchio non rivela alcun cambiamento nelle emanazioni di energia. Cosa dobbiamo fare, adesso? Se si tratta di una porta, dovrebbe esserci qualche meccanismo…

— No — sorrise il professor Blend — non c’è alcun meccanismo. Non penserai che esista qualche apparecchio meccanico, fisico, capace di rimanere intatto per milioni di anni. No, quello che ci occorre è soltanto... questo!