Da Muromon ad Abadan, da Skara fino all’ultimo villaggio più lontano, da Petra a La Desolazione fino ai poderi degli uomini della Terra, sull’orlo del confine del pianeta più prossimo al Sole, il deserto avvolgeva ogni cosa, scintillava di preziosità liquide, bagliori dorati, pozze metalliche, campi di papaveri verdi dai grandi fiori odorosi di profumi narcotici.Agnes dalle mani azzurre fu comprata al villaggio di Abadan per cinquanta sicli. Bismark dalle collane di pietra e dalle trecce nere che scendevano dalla zazzera di capelli sulla fronte, coprendo gli occhi pensosi, ne costò solo cinque.

La città di Abadan, la più grande del pianeta, si alzava sull’orizzonte con le sue torri dirute, i merli delle mura infranti, i bastioni di pietra gialla arsa dal Sole, giaceva al centro del canale che con la sua ombra proteggeva la vita del deserto, l’acqua scarsa, gli uomini e le donne, le Locuste delle Rocce che sostituivano gli animali per portare fino ai poderi più lontani degli Helgoländer, dei Kiruk, dei Kuska e di Fahan.

Il mercato si animava di tuniche rosse, cappucci azzurri, teste crespe, voci e grida, tintinnio di collane, rumore di pendenti e luccicare di monili simili all’oro, tra il calore di quell’umanità, di quei corpi, di quelle voci, l’odore dello sterco di cammello e di asino.

La Locusta delle Rocce superò le mura della città, affrontando le prime onde della sabbia, il pigolio degli uccelli predatori, i laghi d’acqua infetta presso le ultime case, gli steli delle torri infrante, le cupole emisferiche, i miraggi che si alzavano nel cielo imitando i riflessi delle lastre di pietra, delle valli e la tavola dell’orizzonte.

Agnes si avvolse nello scialle. Collane e diademi scendevano sulla sua fronte muovendosi a nasconderne gli occhi. Milton, alla guida della Locusta, sedeva arcigno, senza parlare. Bismark, in fondo alla cabina, guardava l’una e l’altro. Agnes dalle mani azzurre si volse verso di lui.

—  Hai sete?  — chiese la donna. —  Hai fame? Vuoi qualcosa?

Il bambino accennò di sì col capo.

—  Stai ferma  — ordinò Milton. —  Il viaggio è appena iniziato e non sappiamo quando arriveremo. Te lo dirò io, quando sarà ora di mangiare.  

—  Ma questa è roba mia  — disse la donna aprendo il sacco. —  Il bambino ha fame.  

La mano di Milton si alzò imprevista, a colpirla alla tempia. Agnes si chinò con un grido.

—  Niente è tuo qui dentro  — disse l’uomo riprendendo la guida. Per un istante guardò la donna piegata sul seggiolino. —  Niente è tuo, nemmeno te stessa. Lo hai forse partorito? Lo hai fatto nascere? È forse tuo? Maledetti robot.

Agnes si copriva la testa gemendo. Bismark, nel fondo della cabina, si rannicchiava tra i sacchi delle provviste.

Lontano, sopra le Montagne Inaccessibili, la vetta del Monte Casa e le Cascate degli Angeli che non portavano acqua né frescura nell’immenso canale dalle rocce a strapiombo che separava in due la notte, dopo questa e cento altre ancora, si accendevano le luci del suo podere. Ma per giungervi, l’uomo avrebbe dovuto attraversare metà del pianeta. Le urla di Agnes scivolavano per le pareti a strapiombo, colmavano il canale, salivano e scendevano tra i vortici e i vapori rarefatti degli Altipiani di Fahan, sopra l’orlo del pianeta, tra le nubi di migliaia di gradi, le ombre incandescenti, le ombre e le visioni, il magma fuso che ruscellava dalle pareti e correva serpentino in fili e gocce rapprese.

—  No  — disse Agnes. —  No, Milton. Adesso no. Non adesso.

Milton non l’ascoltava. I suoi occhi erano fissi sul volto della donna, nel vagone di appendice del trattore. Si posava sui capelli neri che coprivano la fronte e le tempie, sulle sopracciglia disegnate ad arco, il naso regolare e le labbra vermiglie, gli occhi dilatati nel terrore di quegli istanti. Il collo recinto di perle nere sfiorava il suo volto, i dischi metallici spegnevano il calore della sua fronte mentre la stringeva per i polsi, impedendole di difendersi. Con l’altra mano la scopriva, rivelando il corpo candido, i seni eretti, i! ventre palpitante.

—  No  — disse Agnes. —  No, Milton.

L’uomo, occupato a vincerne l’ultima resistenza, non rispose.

—  Ti prego, non adesso.

I monili e le collane si coprirono del sudore dei corpi allacciati, del respiro della donna, di quello più forte, rauco, dell’uomo. Bismark, seduto in fondo al trattore, il corpo avvolto dal camice a fiori bianchi e azzurri, sacco senza forma da cui uscivano soltanto gli alluci e una traccia del volto, si copriva la testa con il cappuccio.

—  Maledetti robot… — disse ancora Milton tra un. ansito e l’altro. —  Maledette creature… sempre li a guardare... a spiare, a osservare... E tu, volta la testa!  — gridò.

—  Non ti voglio male,  — diceva Milton alla donna seduta accanto a lui nel seggiolino della Locusta delle Rocce. —  Non voglio male a te né al bambino. Sono solo nervoso. Tutto mi turba, ogni cosa mi dà fastidio.