- Che non ci sarebbe per me alcuna conseguenza a essere il drago fintanto che mantengo il senso della mia identità personale e il mio confine individuale!Lo sguardo del capitano brillò sotto gli occhialini.- Giusta osservazione... però concedimi di speculare ancora un po', vorrei farti riflettere su alcuni punti prima di arrivare su Marte. Da Shara.- Su cosa?Il capitano si aggiustò sulla posizione e agitò in aria la penna del palmare.

- Mettiamo che tu sia il drago. Non avresti paura che Shara possa non accettarti? Come potrebbe farlo se tu non fossi Lyra?

Non avevo pensato neppure a quello. Parole simili a una stilettata.

- Io, non saprei, non credo sarebbe mentirle… io...

- Forse non hai paura degli anni che vi separano, quanto dal fatto che temi di mentirle perché non sei Lyra, ma il drago che le ha strappato la persona che amava.

Erano parole dolorose, e mi trattenni a stento dal gridare: - No, io sono io, non uno stupido drago che si è innamorato della mia vita! La mia identità è ciò che sono!

Il capitano sorrise: - Potresti avere ragione...

Presi una lunga boccata d'aria, posai la testa allo schienale e chiusi gli occhi.

- Lyra? Siamo arrivati!

Aprii gli occhi e rivolsi lo sguardo fuori dei lunghi oblò. Le paratie stagne erano già state sollevate. Lo spazioporto di Aresa era a quell'ora praticamente vuoto. Alcuni uomini stipavano e sistemavano bagagli e imballaggi in altre navette. Li osservai a lungo prima che il capitano decidesse che era tempo di muoversi. La Stazione a breve sarebbe tornata nel nulla, svanita in un lampo di luce.

I passeggeri uscivano a uno a uno dal portellone in fondo al corridoio, ciascuno accompagnato dal proprio capitano. Noi fummo gli ultimi a scendere dalla Stazione, gli ultimi a passare i controlli e gli ultimi a entrare nella cupola geotermica. Appena raggiunta la strada il capitano, con un gesto della mano, fermò un aerotaxi e mi aprì la porta con un sorriso gentile: - Dopo di te.

- Grazie - mormorai.

Aggiustò la propria veste e si sedette accanto a me.

- Settore ventisei. Isolato nove. Palazzo uno nove ottanta - esclamò.

La guardai e tacqui, nella mente avevo migliaia di ricordi che esplodevano senza pietà. Avevo paura, questa era la verità. Paura di rimanere sola.

Pochi istanti dopo l'aerotaxi si immise ciondolando nel rado flusso dei veicoli e colmò la strada che mi separava da Shara. Sembrava di vivere in un sogno. Fissavo le luci che ci sfrecciavano accanto in scie liquide e colorate.

Scendemmo davanti al palazzo nel quale avevo vissuto per anni, prima di quel tragico giorno. Dove ora vivevano Shara e nostra figlia. La sua sagoma risvegliava dentro di me ricordi a lungo sopiti.

- Eccoci... - mormorò il capitano, ma altre parole rimasero sospese sulle sue labbra, come se avesse voluto aggiungere qualcosa ma avesse preferito trattenersi.