Gli infedeli potevano avere un’idea molto vaga circa un’area di probabilità nella quale il Grande Hassan potesse essere, ma essa consisteva sostanzialmente nella definizione più o meno precisa dei lati del poligono e della sua superficie, senza variazioni significative della probabilità di intercettazione. Finché non fosse stato trovato, lui avrebbe continuato a impartire i propri ordini ai suoi uomini. Avrebbe potuto organizzare due stragi contemporanee contattando senza nessuna difficoltà un imbianchino di Boston e un fattorino di Manchester.Più difficile era il compito quando occorreva colpire il nemico cinese: i Cinesi erano più refrattari all’Islam e dunque andavano combattuti con maggiore decisione.

Come quando lui aveva sconvolto Pechino uccidendone i figli più capaci. Aveva lavorato duramente per realizzare quella missione e alla fine l’Armata del Grande Hassan era riuscita a dare al nemico la lezione che si meritava. Il popolo cinese aveva a lungo pianto la morte dei suoi figli: li aveva celebrati con dolore per settimane, ma il sapore aspro delle sue lacrime non era bastato a indurlo alla ragione e a piegarsi all’Islam. Presto il nemico d’Oriente si era legato a quello d’Occidente per stanarlo, per porre fine ai giorni gloriosi dell’Armata e per soffocare per sempre i fedeli in una palude di miseria e umiliazioni.

Una collaborazione dannata e destinata a portare solo sofferenza a coloro i quali l’avevano contratta: per quante risorse avessero dispiegato, non sarebbero mai riusciti a risalire al Grande Hassan, e lui avrebbe proseguito ad agire indisturbato.

Per fermarlo senza piegarsi, gli infedeli avevano un’unica possibilità: distruggendo il poligono si distrugge anche ciascun punto in esso contenuto.

Ma non avrebbero praticato quella strada, perché le Nazioni Unite non avrebbero mai accettato nulla di simile. Avrebbero tirato in ballo l’ingiustizia che risiedeva nell’uccidere milioni di civili per raggiungere il proprio scopo e non si sarebbero risparmiati dall’argomentare con ragioni di carattere etico, sociologico e religioso.

In realtà i motivi di questa esitazione non avevano nulla di nobile: l’Occidente sapeva benissimo che se si fosse macchiato di un simile scempio nessuno dei suoi cittadini avrebbe più potuto chiudere occhio, la notte. Se fosse rimasto vivo anche un solo musulmano sulla faccia della Terra, lo sterminio degli islamici sarebbe stato punito in modo atroce e ineluttabile.

Gli Occidentali avevano paura della vendetta dell’Islam, molta più di quanta ne avessero del conflitto di civiltà. Una paura troppo grande per degli uomini senza dio che vivevano con lo scopo di morire vecchi, grassi e pigri.

Già, loro avrebbero evitato con tutte le forze di cui disponevano di rendersi complici di un genocidio islamico, anche qualora i Cinesi avessero esercitato una pressione enorme per convincerli.

I Cinesi erano diversi: a loro non interessava la longevità, e ancor meno la comodità. Non avevano alcun timore della vendetta dell’Islam. Ciò che inseguivano veramente era la contrazione dei tempi fino ai limiti estremi. “Accelerazione”, era così che la chiamavano: la crescita incontrollata della collettività anche attraverso il calpestamento della spiritualità individuale.

Spingevano forsennatamente lo sviluppo lungo i canali della demografia, dell’economia e della scienza, nei quali gli uomini venivano risucchiati come da sabbie mobili nascoste e impietose. Molti cinesi si suicidavano prima di compiere quarant’anni, appena si accorgevano di non essere più in grado di sostenere quelle velocità e decidevano di essere divenuti un peso per la collettività.

La meditazione era lontana dalle loro menti quanto la preghiera lo era dai loro cuori: mercificavano le proprie vite come fossero state monete di scarso valore, anziché donarle ad Allah come il giusto tributo alla sua onnipotenza.

La missione di Pechino rappresentava un intoppo nel cammino della Cina, un inconfutabile rallentamento alla sua espansione virale. Fosse dipeso da loro, i Cinesi non avrebbero esitato un istante a polverizzare qualsiasi regione dove supponevano poter essere nascosta l’Armata del Grande Hassan.