Apprendo che si chiama Onorio Giannelli; per arrivare a lui attraverso corridoi enormi dove gruppi di gente (genitori, immagino) litigano tra loro, fanno barricate, si lanciano sedie, bestemmiano. Alla svolta d’un corridoio, per miracolo riesco a scansare uno sgabello in volo diretto a qualcuno dietro di me mentre un tizio mi corre incontro inferocito, mi sorpassa. Mi impongo di non girarmi, sento tonfi di scazzottate e un urlo di dolore. Seguono lontani colpi di pistola. Improvvisamente una dozzina di adulti e di giovani urlanti sfondano la porta di un’aula ed entrano. Stavolta guardo: afferrano il docente alla cattedra e spingono verso la finestra. Interviene un gruppo più piccolo, rabbioso e sbavante, in difesa del malcapitato. Sfuggo giusto in tempo al ciclone e dopo salite e giravolte estenuanti arrivo finalmente alla Presidenza. La porta chiusa è scortata da tre guardie in assetto da guerra mondiale. Mi presento, e dopo varie formalità mi lasciano entrare. Mi ritrovo in una stanza vasta e disordinata. — Buongiorno, signor Preside — dico in inglese. Gli mostro il distintivo del volontariato internazionale Ex-Mondo, Sezione Uganda. Lui mi invita a sedere, rispondendo in francese.

— Dottor Giannelli — esordisco — vorrei sapere da lei cosa sono venuto a fare qui.

— Senta — mi risponde lui ancora in francese strabuzzando gli occhi — sono io che vorrei sapere cosa sono venuto a fare qui.

Mi accorgo che il dialogo sta assumendo toni surreali.

— Bene — rispondo io, che per fortuna mastico anche l’altra lingua — sappiamo entrambi di non sapere. È già qualcosa che ci accomuna.

— Ma scopriamo l’acqua calda, signor…

— Amin, per gli amici.

— Caro amico Amin — dice Giannelli — lei si sente in grado di fare una cosa, una qualunque cosa, qui?

— Assurdo — rispondo. — Non immaginavo lontanamente che questa scuola…

— Neanche io. Lo sa che nonostante le guardie alla mia porta, sono tre giorni che non riesco a uscire da questa maledetta stanza? Lo sa che sono costretto a orinare dalla finestra? Senza di loro sarei stato fatto a pezzi. La prego, lei è stato inviato qui, lei costa denaro al suo Paese, Amin. Lei deve… ripeto: deve essere in grado di far qualcosa, qualunque cosa per sbloccare la situazione. Lei è un Pacificatore!

— Ma il governo…

— Per carità. Il potere non è più in mano al governo da anni. Ora voteranno per l’Abolizione Scolastica: l’Istruzione costa troppo, quel denaro risparmiato chissà dove andrà, e in fin dei conti l’Istruzione non serve più, perché le vere abilità sono nelle vostre mani. Il resto può farlo anche un analfabeta.

— Siete stati egoisti e feroci con noi per secoli, caro Giannelli — dico. — Ma io guardo al qui e ora. Vorrei sapere cosa sono venuto a fare qui, ma vorrei anche adoperarmi concretamente per aiutarla, per aiutarvi.

— La verità — dice Giannelli fissandomi — è che lei, qui, non può fare un bel nulla. — A queste parole è seguito un lungo, stanco silenzio.

Poi mi sono salutato con Giannelli, e mi veniva quasi di abbracciarlo. Lui ha aggiunto sottovoce: — Ringrazi i suoi e tutta l’Uganda — mentre la porta della Presidenza si richiudeva alle mie spalle.

Sono uscito dalla scuola prendendo una scala secondaria consigliatami dai guardiani. Uno d’essi ha voluto scortarmi. Sono ripassato attraverso gruppetti sparsi; giunto all’uscita la guardia è tornata su.

E ora che faccio?, mi sono detto.