La zona dell’impatto

La copertina dell'Urania numero 764
La copertina dell'Urania numero 764
La monumentale figura a forma di otto disegnata dai nastri grigi delle autostrade aveva un che di grandiosa impotenza. Ultimamente Vaughn si soffermava spesso su questo pensiero; l’idea del fascio di autostrade inerti, impossibilitate a interloquire circa il loro utilizzo, eppure così disposte a farsi percorrere docilmente come fossero l’interno delle cosce di una sensazionale Elizabeth Taylor, aveva il potere di procurargli un’eccitazione quasi dolorosa, sovrastando la sofferenza procuratagli delle vecchie cicatrici. Con un sospiro di malinconia mise in moto la Bentley e si immise di colpo nel traffico intenso, incurante del sopraggiungere ad alta velocità degli altri veicoli. Tagliò trasversalmente la carreggiata tra il furioso ululare dei clacson, fino ad arrivare sulla corsia di sorpasso. Attese di trovare un punto accessibile, e con una sterzata e un colpo di acceleratore a fondo scavalcò il guard rail piombando sulla prima corsia dell’altra carreggiata. Il primo impatto lo ebbe con una Ford marrone scuro, che si girò su sé stessa un paio di volte prima di capottarsi e andare a infrangersi contro un autosnodato. Poi prese le fiancate di un altro paio di veicoli; per ultimo il frontale con un vecchio modello di Jaguar. Le cinture tennero e Vaughn riuscì a restare al suo posto: sorte diversa toccò al guidatore della Jaguar, che sfondo prima il suo parabrezza e poi quello della Bentley, piombando sul sedile del passeggero in un’orgia di sangue e scaglie di vetro. Vaughn osservò bene l’ospite: si trattava di una ragazza dai lunghi capelli ricci e rossi, impastati di sangue e altro materiale organico. Indossava un vestitino blu corto che in quella posizione si era alzato sulla schiena, mentre il minuscolo slip nero si era interamente ritirato nella fessura tra le natiche. Rimase a osservarla per qualche minuto, poi, soddisfatto, uscì dal veicolo assestandosi sulle gambe malferme. In lontananza, esattamente sullo spartitraffico, Steven Spielberg dirigeva il traffico caotico in uno stato di assorta meditazione, come se il numeroso scompiglio di autovetture fosse un enorme gruppo di comparse da coordinare durante una scena di massa. Appena alle sue spalle David Cronemberg annuiva, seppure con aria piuttosto annoiata.

Una confusione di modelli matematici

— La configurazione standard di un neuroblastoma può essere descritta da un insieme di equazioni differenziali. Così come per le tecniche di infibulazione, ma anche per quelle di circoncisione, si può elaborare un preciso algoritmo. — Il dottor Nathan commentava le diapositive che si davano il cambio sulla parete, e che mostravano alternativamente immagini al microscopio elettronico di asettici accoppiamenti tra virus e altrettanto asettiche immagini di incidenti automobilistici, in cui i cadaveri assumevano ambigue posizioni. I pazienti seguivano la conferenza in religioso silenzio; quando apparve l’ultima diapositiva, il fungo atomico di Hiroshima, la cappa di silenzio si fece addirittura palpabile. Nathan si sentì in dovere di precisare: — C’è chi sostiene che il fungo sia una rappresentazione dell’organo genitale maschile privato della sua semantica di base. Naturalmente è un interpretazione, ma c’è da chiedersi se la matematica delle teorie relativistiche sia in grado anche di descrivere la dinamica di un amplesso, e in tal caso quale sia la controparte vaginale. La città colpita? Lo spostamento d’aria? Ripeto, si tratta solo di interpretazioni.

Sì o no sulla zona di confine

L’isola spartitraffico triangolare era ormai anche troppo famosa per i suoi gusti. Troupe televisive si alternavano ai bordi dei guard rail compiendo ampie zoomate sugli snodi e sui raccordi, mentre alcuni elicotteri facevano riprese in campo lungo da inserire nelle edizioni dei telegiornali in prima serata. Kurt Vonnegut e Michael Moorcock stavano rilasciando un’intervista congiunta a una cronista americana, mentre i poliziotti avevano il loro da fare per tenere a bada i curiosi che tentavano in continuazione di scavalcare. Maitland li odiava tutti. Dal basso della scarpata li odiava per lo stupro continuato che compivano di quel luogo sacro, un enclave di libera dignità immersa nell’aria resa fetida dal gelido respiro del consumismo. Si inabissò nel suo rifugio alla ricerca delle vibrazioni giuste, quello che lo univano alle erbacce sempre più folte e alla terra fangosa e umida in cui affondava gli stivali, come un tempo avrebbe affondato nel caldo ventre di una donna. Rivolse ancora lo sguardo verso l’alto: Karen Novotny era l’unica figura immobile nel magma caotico di un’umanità perversa come il sibilo di un predatore affamato. Maitland incrociò le dita prima di dire addio.