Spigolo vivo

Il dottor Sanders era appena arrivato da Port Royale. Nella valigia: appunti di neurochirurgia

Un momento del film Crash (1996), tratto dall'omonimo romanzo di James Ballard.
Un momento del film Crash (1996), tratto dall'omonimo romanzo di James Ballard.
ricostruttiva, alcune riviste scientifiche che trattavano di trapianti di midollo osseo e patologie dell’apparato riproduttivo femminile, l’ultimo numero di News from the sun, una sacchetto pieno di piccoli cristalli curiosamente lucenti, alcune fotografie di incidenti automobilistici. Posò stancamente la valigia sul letto con l’idea di farsi subito una doccia e infilarsi sotto le lenzuola. Fu distratto dal bussare gentile e sommesso alla porta; l’uomo e la donna non si presentarono, si limitarono a mettergli nelle mani un pacchetto fasciato con carta grezza marrone. Nel pacco: un sacchetto di quella che sembrava cocaina, un rudimentale ordigno esplosivo con la dicitura: “Da lasciare all’aeroporto di Heathrow”, un manuale di psicologia, fotografie di donne nude distese su rottami di automobili. Sanders rinunciò a capire e chiuse la porta, avvertendo uno strano presagio dietro la nuca. 

Cinecity

Le luci nella sala si erano appena spente e, dopo i soliti messaggi pubblicitari, il titolo del documentario si compose nel silenzio appena scalfito dal ronzio del cineproiettore. “Storia segreta della Terza Guerra Mondiale”. Talbot si accomodò in una delle ultime file e lesse il programma della serata alla luce di un minuscolo accendino: dopo il documentario, la cronaca di un fantomatico nuovo conflitto mondiale durato appena 245 secondi, sarebbe stato proiettato un film in cui un gruppo di adolescenti sterminava interamente le proprie famiglie. Infine un altro documentario sulle nuove teorie riguardo l’elezione del Presidente Reagan. Talbot si guardò intorno: nel buio della sala soltanto una ventina di posti circa erano occupati, per lo più pazienti della clinica e qualche infermiere. Concentrò la propria attenzione soprattutto sulla trama del film, ignorando il documentario che era già iniziato; si chiese quale messaggio subliminale potesse veicolare una vicenda del genere, oltre alla volontà di pura ribellione a un senso sociale predeterminato fino all’ultima virgola. Come se in qualche modo avessero captato questi ragionamenti, una decina di file più avanti tre pazienti, due uomini e una donna, cominciarono a pestare rumorosamente i piedi sul pavimento, ridendo in modo sguaiato. Talbot immaginò che la rivoluzione sociale potesse semplicemente iniziare così. 

Malattie immaginarie

“Nel giugno del 2006, dopo un anno di dolori e di disagio che attribuii all’artrite, uno specialista mi confermò che soffrivo di un cancro alla prostata a uno stadio avanzato, e che il tumore si era esteso alla spina dorsale e alle costole. Curiosamente, l’unica parte della mia anatomia che non sembrava toccata era proprio la prostata, un fenomeno comune in questa malattia. Ma una risonanza magnetica nucleare, una faccenda antipatica che implica lo stare disteso in una bara con dei microfoni attaccati, non lasciò dubbi. Originatosi nella prostata, il cancro mi aveva ormai invaso le ossa.”(1) Spense il registratore con uno scatto secco e tirò un profondo sospiro. Davanti a lui, sparpagliati sul tavolo, tracciati di elettrocardiogrammi si mescolavano a immagini in risonanza in bianco e nero, formando un mosaico che esprimeva per intero un misterioso senso di universalità. Catherine entrò in punta di piedi con il suo sorriso appena sussurrato. Insieme organizzarono le vacanze per il Natale successivo, in un posto al caldo e lontano dall’incombere delle fobie umane. 

Foschia a trecento metri d’altezza

Le fortezze volanti sembravano galleggiare miracolosamente, schivando improvvisi banchi di nubi. B-50, B-52, i nuovissimi B-60, tutte appesantite per l’occasione da carichi esplosivi speciali. Sotto di loro, sciami di elicotteri con le mitragliatrici ben oliate si divertivano a inseguire le colonne di macchine scure lanciate a grande velocità sulla statale che puntava a Vermillion Sands. Al volante professionisti, imprenditori, senior manager, tutti di ritorno dal settimanale raid punitivo contro gli spacciatori arabi e i barboni delle stazioni degli autobus. Ogni tanto una breve sventagliata serviva a ricordare loro che fuoriuscire dai limiti autorizzati era comunque un crimine; spesso succedeva di esagerare, ma in un contesto di follia distruttiva organizzata un margine di tolleranza esisteva, anche se non troppo ampio. Così, sfiorando i lunghi filari di cactus, la colonna sterzò bruscamente dirigendosi verso ovest, attraversando numerosi paesini tutti adornati dal loro bravo campanile. Sulla cima di uno di questi un ragazzino sventolava una bandiera in segno di saluto; il pilota di uno dei bombardieri ebbe l’impressione di riconoscerlo, così scese bruscamente di quota e provò a scuotere le mastodontiche ali in segno di saluto.