Frederic Jameson, critico letterario americano di stampo marxista, nel suo saggio Il postmoderno o la logica culturale del tardo capitalismo (Garzanti, 1989), ha sottolineato come il postmoderno abbia subito tutto il fascino di un paesaggio “degradato”, formato da kitsch e scarti provenienti dai serial televisivi e dalla cultura da Reader's Digest, dalla pubblicità, dagli show televisivi, dai film hollywoodiani di serie B e dalla cosiddetta paraletteratura con i suoi paperback da aeroporto, divisi nelle categorie del gotico o del romanzo rosa, della biografia romanzata e del giallo, della fantascienza e della fantasy: materiali che nei prodotti postmoderni non vengono semplicemente “citati”, ma incorporati in tutta la loro sostanza.

Se il compito della letteratura postmoderna è anche quello di raccontare una realtà che non è più certa, definibile – come quella postulata dalla società positivista emersa tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento -, ma sempre più rappresentata in modo frammentario, simulata, spesso travisata e nascosta, allora la fantascienza si pone come letteratura privilegiata per rendere conto dei fenomeni sociali, politici, religiosi, tecnologici, comunicativi di cui è intrisa la realtà stessa. Autori come Robert Sheckley, Kurt Vonnegut, Philip K. Dick, James G. Ballard - e più tardi William Gibson e il movimento cyberpunk, fino a Vernon Vinge e a Charles Stross – hanno saputo decifrare meglio di altri letterati i complessi mutamenti emersi con l’accelerazione tecnologica e sociale dei mezzi di comunicazione di massa, Internet in primis.

La fantascienza è passata così dall’era moderna a quella postmoderna, da un’epoca che aveva suscitato grandi speranze e che ha compiuto grandi sforzi di rinnovamento ad un’epoca nuova, ambigua, critica verso il passato, degradata per dirla con Jameson.

Se è vero che il suo statuto letterario si è indebolito (per taluni il genere letterario è morto da tempo, non è più in grado di reggere il confronto con la realtà), è anche perché la realtà è diventata sempre più fantascientifica, ma guai a pensare che il genere è – o è stato - solo un modo divertente per prevedere il futuro. La fantascienza ha sempre problematizzato il passato o il futuro, ma con un fine preciso: provare a parlare del presente in modo più critico, consapevole, alternativo al lavoro svolto dalla storia, dalla sociologia e – perché no – anche dalla filosofia, discipline che ad essa hanno sempre guardato con crescente interesse. Ed è proprio l’Immaginario prodotto dalla science fiction - poco importa se letteraria, cinematografica, televisiva o virtuale – una potente lente di ingradimento sul presente, un non-luogo mentale, alla cui formazione partecipano scrittori, lettori, registi, critici letterari e quanti a vario titolo vi aggiungono nuovi e duraturi manufatti. Una sorta di museo che tutti visitiamo, ogniqualvolta decidiamo di leggere un romanzo o guardare un film.

I racconti che presentiamo in questa antologia come numero speciale di Delos ci sembra che vadano tutti nella stessa direzione: essere – nella “forma” - delle storie ambientate nel futuro, ma – nella sostanza – tese a riflettere sul presente. Agli autori – che ringraziamo pubblicamente per aver aderito a questo progetto – è stata offerta una labile traccia: narrare un possibile futuro dell’Italia, lasciando all’autore stesso piena libertà su come sviluppare tale tema.

Il quadro emerso è un mosaico necessariamente frammentato, ma allo stesso tempo compatto in cui gli autori hanno narrato storie private, alle cui spalle però si intravedono scenari sociali di ampio respiro che gettano uno sguardo profetico sul futuro del Bel Paese.

A Donato Altomare, Vittorio Catani, Giovanni De Matteo, Virginio Marafante, Leonardo Pappalardo, Roberto Paura, Alberto Priora e Silvio Sosio va tutto il nostro ringraziamento, perché con le loro storie hanno saputo leggere le inquietudini e gli incubi dell’attuale società postmoderna e proiettarli nel domani…