Stavolta, egregi lettori, vorrei presentarvi N. Carelli. Chi era costui (forse costei)? Per la prima volta dacché porto avanti questa rubrica (febbraio 1999, n. 43 di Delos), vi risponderò come mai dovrebbe un serio curatore: di N. Carelli non so assolutamente nulla!

E allora?

E allora, succede questo. Nei primi mesi del lontano 1955 (ho ricostruito la data in base alla cronologia di un mio vecchio quaderno d'epoca, con qualche riserva ma di modesta entità), sulla Domenica del Corriere - settimanale che molti avranno se non altro sentito nominare - fu pubblicata una breve storia di fantascienza, Avventura marziana, firmata appunto "N. Carelli" (verosimilmente uno pseudonimo). Secondo me si tratta non un autore ma di un'autrice, come credo si possa desumere dalla scrittura. Per tentare di risalire al nome vero, o completo, e ad altre sue eventuali pubblicazioni, ho eseguito indagini in rete, poi sul vecchio Catalogo del Centro Cultori SF di Venezia, sul catalogo di Luigi Pilo, (ho escluso il Catalogo Vegetti in quanto il racconto in questione è riportato sulla base dei miei stessi dati), ho interpellato frequentatori dalla prima ora della sf italiana e professionisti della stessa (Lino Aldani, Ugo Malaguti, Luigi Cozzi): tutto ciò non ha portato a nulla. "N. Carelli" era e resta un'incognita. Esiste, ho rilevato nei cataloghi, una Bia Carels (chissà, potrebbe esserci un nesso), autrice peraltro di un unico racconto apparso su un Galaxy del 1961: pseudonimo anche questo, pare accertato, ma non si sa di chi. Insomma stavolta il "pezzo" che ripropongo alla vostra attenzione è praticamente anonimo.

Per quali motivazioni ripresentarlo?

Be', più d'una.

La prima, che ovviamente vale solo per me, è una motivazione semplicemente affettiva: ricordo quanto mi colpì questa breve storia - avevo solo 15 anni - al punto che la ricopiai a mano su un mio quaderno (con la copertina nera un po' rigida, come si usava allora quando a scuola si scriveva "in bella copia"). Del giornale che la conteneva non ho più traccia.

La seconda - che riguarda più concretamente i lettori - perché credo comunque che si tratti di una testimonianza rara ma importante del fatto che la nostra fantascienza, ai primordi, non era rifiutata da testate non specializzate. Questo esempio (e altri dell'epoca, quali i numerosi racconti sui settimanali Visto, Folla, e occasionalmente su altre riviste di varia estrazione) lascerebbe intendere che inizialmente non vi fosse una preclusione assoluta, neanche verso la sf italiana; e, come anticipavo, penso sia interessante saperlo in considerazione dell'ostracismo che venne poi dato dall'establishment (altro termine d'epoca) alla fantascienza in genere, e a quella di casa nostra in particolare, salvo rarissimi casi.

Altra motivazione: il racconto in verità, agli occhi di oggi non è granché - insomma va preso come reperto d'epoca - ma parla di "dischi volanti": un argomento che la sf non tratta più da decenni. Ma quegli anni, i Cinquanta, furono uno dei periodi storici di maggior popolarità degli Ufo (come vennero poi chiamati anche in Italia) e soprattutto di frequenti avvistamenti; spesso radio e quotidiani ne riportavano le segnalazioni (ricordo ancora sulla terza pagina di un giornale di allora, probabilmente la "Gazzetta del Mezzogiorno", un articolo che annunciava con temeraria sicurezza: Non da Marte ma da Wolf 369 provengono i misteriosi dischi volanti). Insomma l'argomento era d'attualità, "vendeva", appassionava e divideva il pubblico. Anche le copertine delle riviste sf, e della stessa Urania, pullulavano di dischi (o "piatti") volanti.