Alla prima impressione, potreste pensare che questo Godzilla sia il tentativo di Hollywood di alzare su un po' di soldi facili su un mito cinematografico ben radicato nell'immaginario comune e sostenuto da qualcosa come 28 film della Toho, la major nipponica che, dal 1954 in poi capì di avere tra le mani una sorta di gallina dalle uova d'oro creando il mostro più popolare della cultura cinematografica moderna (dovettero arrivare Scott e H.R. Giger, venticinque anni dopo, a metterne in discussione il primato).

E in parte è davvero così, perché un franchising come quello di Godzilla non si può lasciare a prendere polvere troppo a lungo, e i produttori devono aver pensato che fosse il momento buono per un rilancio in grande stile… badando però a prendere le distanze dall'action fracassone del 1998 di Roland "spacchiamo tutto" Emmerich e a puntare su uno come Gareth Edwards che restituisse il "mito" alle sue radici.

E c'è riuscito? In gran parte.

Edwards, che si era già fatto notare in Monsters tirando fuori sangue dalle rape col budget che aveva a disposizione, dimostra di essere all'altezza della sfida (che sulla carta avrebbe fatto tremare i polsi a più di un solido professionista), utilizza al meglio ogni dollaro messogli a disposizione dalla Warner e confeziona un prodotto che, pur senza entusiasmare, riesce ad accontentare tutti… e questo è già un grosso risultato, anche se detto così potrebbe non sembrare.

Il film può vantare una regia misurata e senza sbavature che, pur non lesinando in scene spettacolari, centellina l'apparizione di Godzilla sullo schermo preferendo riservargli l'ultimo atto della pellicola e punta a rievocare le atmosfere e gli stilemi dei film di Ishirō Honda degli anni cinquanta, riuscendo contemporaneamente a farne un personaggio con molto più spessore ed empatia di tanti protagonisti "umani" che potete vedere in qualsiasi produzione hollywoodiana odierna… manifestando la palese volontà di fare un prodotto concreto e senza troppi fronzoli.

Un po' come accadde in Cloverfield, Edwards non ha paura del gigantismo, stilema potenzialmente pericoloso perché allontana drasticamente l'umano dai moti e gli obiettivi del mostro (la scala delle forze in gioco è rappresentata magnificamente nell'inquadratura ravvicinata dell'occhio di Godzilla sul tenente Ford Brody), ma anzi se ne serve come chiave di lettura ad uso e consumo dello spettatore: i mostri (senza tema di spoilerare, mi riferisco al plurale perché nel film Godzilla non è solo) camminano sulla Terra come se noi non esistessimo neppure, demoliscono le nostre metropoli come un bambino calpesta un formicaio, sono immuni a qualsiasi attacco umano, sono mossi unicamente dal più primordiale degli istinti: la prosecuzione della specie.

In quest'ottica, vi sarà più facile dimenticarvi delle vicende umane che pure sono affidate a gente che non è proprio l'ultima arrivata (tra tutti, Bryan Cranston, l'ex Walter White di Breaking Bad) ma sono, tutto sommato, sacrificabili nell'equazione e non sempre convincenti (tutta la storiella del ragazzino dimenticato sulla monorotaia) e sistemarvi su un punto di vista più elevato da dove contemplare la catastrofe (significativa qui, invece, la bella sequenza del lancio dei paracadutisti ad alta quota col Requiem di Travis già ascoltato in 2001: Odissea nello spazio) fino alla conclusione del film, un combattimento di wrestling in scala cento a uno, combattuto su di un ring che è una città intera. 

Vi ritroverete a fare il tifo come in un film di Rocky, anche se manca qualsiasi dimensione antropomorfa o motivazione umana: a Godzilla non gliene frega niente di noialtri, ma la gente lo ama lo stesso, da sempre.

E lo amerete anche stavolta.

C'è altro da aggiungere?

Che la colonna sonora di Alexandre Desplat serve ottimamente senza eccellere, che i titoli di testa sono semplicemente magnifici, che il solito 3D non serve a niente e che gli effetti visivi, firmati dal premio Oscar Jim Rygiel alzano ulteriormente l'asticella in questo settore. Se vi basta, andate fiduciosi.