Pensiero Stocastico

di Roberto Quaglia

quaglia@fantascienza.com

L'intelligenza non serve a ciò

che gli intelligenti credono che serva

Secondo Robert Sheckley, per troppo tempo ormai Roberto Quaglia non è stato famoso. Secondo Ugo Malaguti, è un genio. Roberto Quaglia, ovvero il rappresentante della fantascienza del nostro Paese più famoso all'estero e più sconosciuto in Italia, continua a fare tante domande e a rifiutare tutte le risposte.

Fra i membri del M.E.N.S.A, l'associazione mondiale costituita da individui particolarmente predisposti a figurare bene nei classici test d'intelligenza, la percentuale di lettori di fantascienza è elevatissima. Ciò non significa necessariamente che chi è intelligente legga fantascienza o che chi legge fantascienza sia per questo intelligente. Tuttavia, una tale coincidenza ci offre il comodo pretesto di spaziare un po' sul tema dell'intelligenza senza mai dubitare del fatto che comunque stiamo soprattutto parlando di fantascienza.

Avrete tutti certamente già sentito parlare dell'intelligenza, e soprattutto del fatto che essa serva a qualcosa. Fra tutti i miti, quello dell'intelligenza utile è certamente uno fra i più buffi e paradossali.

Innanzitutto viene da chiedersi: come si fa a sapere se e quanto una persona sia intelligente?

Secondo taluni, e in particolare secondo coloro che bene riescono a risolvere i giochini dei classici test d'intelligenza, è intelligente chi bene riesce a risolvere i giochini dei classici test d'intelligenza. Espresso così, non pare un criterio troppo intelligente per determinare chi sia intelligente. Tuttavia, sarebbe stato intelligente esprimere il concetto diversamente?

Secondo altre persone, intelligenti sono coloro che si comportano in accordo alle nostre aspettative mostrando di condividere le nostre opinioni. Avete mai udito qualcuno dire: Quello lì è uno stupido perché la pensa esattamente come me?

Una variante del punto precedente è considerare intelligente chi abbia compiuto uno o più gesti che siano tornati utili a noi. Se i vantaggi ottenuti sono davvero significativi, è facile che il soggetto da classificare venga promosso da intelligente al gradino gerarchico superiore: buono. Chi adotta questo criterio, naturalmente, riterrà stupido chi invece compia atti che finiscano (involontariamente) per danneggiarci. In caso di lampante volontaria dolosità è probabile che il soggetto da classificare venga promosso da stupido al gradino gerarchico superiore: cattivo. Secondo questa visione, quindi, il dualismo Intelligenza/Stupidità altro non è che una forma attenuata dello stesso dualismo Bontà/Cattiveria.

Allora, cos'è l'intelligenza?

Proviamo ad accantonare gli esempi precedenti che non ci convincono troppo e tentiamo ancora:

L'intelligenza è la capacità di risolvere velocemente problemi.

Suona bene, ma... vuol dire qualcosa? Probabilmente sì, ma... che cosa? Innanzitutto: di quale tipo di problemi stiamo parlando? Ovviamente non stiamo parlando dei problemucci dei giochini per la determinazione del Q.I., i quali - dovrebbe essere lampante a chiunque - servono principalmente a stabilire chi sia più o meno abile a risolvere i problemucci dei giochini per la determinazione del Q.I. Un po' come risolvere i cruciverba, un passatempo che serve soltanto a risolvere i cruciverba. Riproviamo:

L'intelligenza è la capacità di risolvere velocemente problemi di tipo matematico.

Eccoci subito fuori strada. Qualsiasi computer da quattro soldi risolverà migliaia o milioni di volte più rapidamente di noi qualsiasi problema matematico e allora i casi sono due: o i computer sono molto più intelligenti degli esseri umani o le capacità di analisi matematica sono un criterio assai poco valido per la valutazione dell'intelligenza. Riproviamo:

L'intelligenza è la capacità di risolvere velocemente problemi di tipo artistico.

Qui la faccenda si fa più confusa, anche perché bisognerebbe prima capire che cosa sia in effetti l'arte, un argomento sul quale c'è almeno tanta confusione quanto in merito all'intelligenza. Tuttavia, un paio di riflessioni si possono azzardare.

In campo musicale, il 99% di quanto venga musicalmente composto al giorno d'oggi può venire meglio composto da un computer. Qualsiasi programmino ben fatto che giri sul nostro computer di casa permette ad ogni analfabeta musicale di comporre la propria orecchiabile musichetta. Tra qualche anno, quando ci saranno computer e programmi migliori degli attuali, per comporre una propria sinfonia accettabile ci vorrà meno intelligenza che per cucinarsi un risotto decente. E' forse vero (ma probabilmente non lo è) che un computer non arriverà mai a comporre sinfonie come quelle di Beethoven o di Mozart, tuttavia consideriamo il fatto che di Beethoven e di Mozart ce n'è ben pochi al mondo (se ve ne sono...) e tutti gli altri sono forse scemi? Quindi, la capacità di comporre ed eseguire musica di apprezzabile qualità non può essere un parametro per la misurazione dell'intelligenza, oppure dobbiamo concludere che i computer sono più intelligenti degli esseri umani.

Sul fronte delle arti grafiche e pittoriche, le cose non è che vadano meglio, anzi. La pittura entrò in crisi già parecchio tempo fa, quando l'invenzione della fotografia dimostrò che un piccolo e semplice rito chimico era in grado di rappresentare e fissare le immagini della realtà su di una superficie solida bidimensionale (la foto) con maggiore esattezza rispetto al migliore dei pittori. La pittura in quanto arte sopravvisse evolvendo tecniche di interpretazione della realtà sempre più complesse, irraggiungibili con la fotografia. Tuttavia, anche in questo campo i computer fanno ormai passi da gigante. Con Photoshop 4.0 è un giochino elementare per chiunque trasformare una qualsiasi fotografia in un'ottima immagine pittorica secondo una vastissima varietà di stili. Ho personalmente per gioco tratto in inganno fior di pittori mostrando loro sul monitor del mio computer i quadri che io avrei fatto, e che Photoshop aveva invece effettuato per conto mio, partendo da fotografie qualunque. Possiamo essere certi che fra qualche anno i computer e i programmi miglioreranno ancora garantendoci performance artistiche, grafiche e pittoriche, di una qualità e varietà oggi per noi inimmaginabili. Certo che un computer forse non arriverà mai (o probabilmente invece sì) a rappresentare la realtà col genio di Picasso, Velasquez, Klimt, Goya. Tuttavia, di Picasso, Velasquez, Klimt e Goya al mondo non c'è poi troppi - se ce ne sono - e gli altri non sono mica tutti scemi. Pare quindi che neppure l'abilità a confezionare ottimi quadri o disegni sia criterio convincente e univoco per distinguere chi sia intelligente da chi non lo è, o invece di nuovo bisogna ammettere che i computer sono molto più intelligenti degli esseri umani.

Con lo stesso criterio potremmo passare in rassegna la miriade delle altre discipline artistiche esistenti, confezionando una vera e propria enciclopedia delle arti che secondo credulità comune sono frutto d'intelligenza e garanzia della stessa, ma che a una riflessione più attenta ci lasciano come minimo perplessi nel merito. Anche per la letteratura, una delle arti più antiche, profonde e complesse, stanno oggi nascendo i primi programmi tubolari che generano automaticamente un apprezzabile romanzetto, e con lo sviluppo dei computer prima o poi ciò avverrà anche per la produzione di audiovisivi. Archiviate nelle memorie digitali del futuro una quantità sufficiente di librerie, e sviluppati gli opportuni algoritmi, l'esercizio delle tradizionali discipline artistiche dell'essere umano sarà con tutta probabilità una mera faccenda di lavoro al computer.

L'intelligenza è la capacità di risolvere velocemente problemi di tipo scacchistico.

Sì, lo so, forse avrei dovuto evitare questo punto. Nei primi anni '60 Fritz Leiber scriveva Incubo a 64 caselle, un raccontino nel quale prevedeva che in qualche decennio un computer sarebbe giunto ad un solo passo dal battere il campione del mondo umano di scacchi. Era fantascienza, era anche buona fantascienza, oggi è cronaca ed è una cronaca che curiosamente non stupisce nessuno. A lungo si è creduto che gli scacchi avessero a che fare con l'intelligenza umana. Io stesso, in effetti, stento a cessare di crederlo. Come stentano a cessare di crederlo i potenti del mondo, che ai tempi della guerra fredda imbastirono fra le altre pantomime anche un bel teatrino per contendersi la supremazia scacchistica, a tal punto l'arte scacchistica era (e in buona parte è ancora) uno dei più potenti simboli dell'intelligenza umana. E ora, invece, tutta l'umanità tranne due o tre persone è destinata a soccombere senza speranze contro i computer scacchistici costruiti dall'IBM, e fra qualche anno anche quei due o tre campioni umani residui dovranno fatalmente cedere il passo. Allora, giocare bene a scacchi può ancora avere che fare con l'essere intelligenti?

Proviamo ancora, cercando di mettere un po' più d'intelligenza nelle nostre riflessioni sulla natura dell'intelligenza:

L'intelligenza è una qualità utile alla sopravvivenza.

Vediamo un po'... se ho ben capito, questo vorrebbe dire che è da considerarsi intelligente ogni comportamento o scelta in grado di aumentare le probabilità di sopravvivenza di un individuo. Suona molto darviniano. Però... Ecco, lo sapevo, abbiamo voluto andare sull'intellettuale e siamo finiti a dire scemenze. Quando mai l'intelligenza si è rivelata utile a sopravvivere, se non per purissimo caso? La maggior parte dei grandi artisti della storia, dei grandi inventori e pensatori ha avuto soltanto guai dalla propria intelligenza. Giordano Bruno non era propriamente uno scemo, e guardate come è finito. Anche Galileo Galilei era indubbiamente molto intelligente, e se lo fosse stato di meno non avrebbe patito la galera. E Oscar Wilde? Credete che tutti i pederasti andassero in galera? E Gandhi? Se fosse stato più stupido e si fosse accontentato di fare l'avvocato non sarebbe tutta la vita entrato e uscito di galera per infine venire ammazzato. Potremmo continuare così per dei giorni. Tranne le solite fortuite eccezioni, non è mai convenuto a nessuno essere troppo intelligente. Qualcuno poco intelligente potrà argomentare che però i grandi geni del passato, morti a causa della loro eccessiva intelligenza, hanno fatto la storia, e di essi si parla ancora e sempre si parlerà. Bella soddisfazione. Oltre al danno, la beffa. Quando ormai si è morti, il resto non serve. Fatte le debite proporzioni, appare lampante che l'intelligenza per lo più nuoccia, più che giovare, alle probabilità di sopravvivenza di chiunque ne sia affetto. Le grandi aziende americane sottopongono ai test sul Q.I. i candidati da assumere, e regolarmente scartano coloro che hanno i valori troppo bassi o troppo alti. Quelli con i valori troppo bassi perché non servono a niente. Quelli con i valori troppo altri perché oltre a non servire a niente sono pure dannosi. Una persona troppo intelligente inserita nella struttura rigida di una grande azienda troverà ben presto sciocchi e insensati gran parte dei criteri con i quali nell'azienda le cose vengono fatte e le scelte vengono compiute, trasformandosi nel 90% dei casi in un gran rompiscatole capace solo a turbare gli equilibri interni aziendali. Certo, forse nel 10% dei casi il suo apporto d'intelligenza potrà comportare qualche vantaggio per la struttura, ma quale azienda deciderà mai di tirarsi dentro deliberatamente nove dannosi piantagrane ogni dipendente intelligente utile? In tutti i campi dell'attività umana, l'intelligenza è in genere un ostacolo alle probabilità di sopravvivenza di chi ne è affetto. Se nutrite ambizioni letterarie e non sapete scrivere per nulla, non scoraggiatevi. E' improbabile che qualche editore vi pubblichi, ma potrebbe anche accadere. Se per caso sapete scrivere in modo appena decente, ma siete del tutto privi di idee, siete nella posizione migliore. Le idee, soprattutto quando sono tante e sono buone, creano turbamento in chi le legge, soprattutto se si tratta di chi per un editore ha il compito di selezionare i libri da pubblicare. Delle idee vecchie, sciocche e abusate si sa infatti già tutto, soprattutto si sa quanti lettori eventualmente gradiranno ritrovarsele in un libro da comprare. Delle idee nuove, intelligenti e inedite, chi seleziona i libri da pubblicare in genere non sa invece un bel nulla, spesso neppure il semplice fatto che siano nuove, intelligenti e inedite; quindi non gli parrà conveniente procedere alla pubblicazione. Gli scrittori davvero intelligenti giungono al successo non in virtù bensì a dispetto della loro intelligenza. Frederick Forsyth, il massimo scrittore del mondo di libri di spionaggio, dovette incassare decine e decine di rifiuti da parte di case editrici che rifiutarono di pubblicare il suo capolavoro Il giorno dello sciacallo, ritenendolo inadeguato alle loro esigenze. Quel libro vendette e continua a vendere milioni e milioni di copie con traduzione in decine di lingue. Nonostante la sua evidente intelligenza, Forsyth è quindi infine casualmente giunto al successo, ma si tratta dell'eccezione che conferma la regola. Se quindi sapete scrivere bene e siete pieni di idee, mettetevi senz'altro di buona lena a fare la pornostar, e avrete successo. E' un ambiente nel quale c'è sempre bisogno di carne, e se siete d'aspetto poco gradevole o impotenti o frigide fa esattamente lo stesso: lì ci sono nicchie di mercato per tutti. E prima o poi potrete anche finire in libreria, con una confessione morbosa circa le vostre memorie sentimentali di manovali del sesso, e così coronare anche in extremis le vostre precedenti ambizioni letterarie. In tutti i campi dell'arte, il discorso è essenzialmente lo stesso. L'intelligenza non giova alla sopravvivenza dell'artista, e poco importa ai fini della stessa se dopo la morte capolavori precedentemente ignorati assurgono a fama planetaria. Dal punto di vista dell'artista defunto, come già detto, al danno è sommata la beffa. Fra tutte le possibili qualità utili ai fini della sopravvivenza di un individuo, l'intelligenza, quindi, ad occhio e croce non c'è.

Bene, abbiamo sinora variamente cianciato su cosa l'intelligenza possa o non possa essere e sulla sua maggiore o minore inutilità o dannosità. Ciò facendo, abbiamo inevitabilmente creato un po' di confusione. Abbiamo da un lato suggerito, in perfetta malafede, che l'esercizio delle attività matematiche, problemistiche, artistiche e scacchistiche abbiano in verità ben poco a che fare con l'intelligenza, e dall'altro ci siamo dilungati sulle presunte controindicazioni dell'intelligenza, qualificando la stessa come qualcosa che invece abbia a che fare con le attività artistiche, e più o meno implicitamente anche con tutte le altre. Essendo intelligenti, i miei lettori hanno certo colto questo piccolo bisticcio, ed essendo essi molto intelligenti, essi hanno pure perfettamente compreso dove l'inghippo si celi. In sintesi io ho argomentato che la maggior parte delle problematiche umane ritenute strettamente connesse con l'intelligenza (arte, matematica, ecc.) possono oggi essere meglio risolte da un computer o che comunque così sarà in futuro, e che quindi, o i computer sono più intelligenti degli esseri umani o l'intelligenza c'entra poco in suddette problematiche. L'inghippo sta nel fatto che da un lato i computer sono effettivamente più intelligenti dell'essere umano, e che dall'altro ciò non è (ancora) del tutto vero perché in effetti l'intelligenza non è esclusivamente l'abilità e la velocità a risolvere problemi. E non prendetevela con me se non si tratta di una risposta semplice. Per quanto attiene alla efficienza nel risolvere i problemi, che è indubbiamente una caratteristica dell'intelligenza, i computer sono più abili degli esseri umani. Potrà non piacere ai più antropocentrici fra noi, ma è così. Gli odierni computer casalinghi sono ancora poca cosa, soprattutto se con Windows 95, ma al MIT (Massachusetts Institute of Technology) e altrove si stanno velocemente sviluppando i computer di domani, dotati della cosiddetta intelligenza artificiale, sistemi esperti capaci di autoapprendimento e in grado di risolvere problemi con procedure sempre più umano-simili. Fra cento anni (o magari già fra dieci) avremo con tutta probabilità già un computer in grado di superare il test di Turing. Il nonno dell'intelligenza artificiale, Alan Turing, dichiarò negli anni '50 che sarebbe a tutti gli effetti da considerarsi in possesso di pensiero umano un computer in grado di rispondere, nel corso di un test, ad un esaminatore umano in modo che questi non sia in grado di distinguere, sulla base delle risposte, il computer da un altro interlocutore umano, entrambi gli esaminandi ovviamente celati alla vista dell'esaminatore. Se ancora non lo sono oggi, prima o poi i computer saranno comunque per questo aspetto più intelligenti degli esseri umani. E' buffo che a credere di meno a questa inevitabile prospettiva, oggi, siano in prevalenza proprio gli esseri umani meno intelligenti. D'altra parte, a ben pensarci, è ancora più buffo che fra le fila di coloro che non credono all'alta probabilità di una tale evoluzione futura si trovino anche parecchi scienziati (comunque personalità minori del mondo accademico), dotati di una sorprendente carenza di immaginazione che a rigore di logica dovrebbe renderli del tutto incompatibili con la loro missione scientifica. Al mondo succedono davvero cose molto buffe.

C'è però un'altra proprietà dell'intelligenza, sulla quale nessuno dice mai nulla, neppure molti di coloro che pubblicamente si beano della propria presunta ma certificata intelligenza. Questa proprietà è complementare alla funzione di risolvere i problemi, ed è la funzione di crearli. L'essere umano si distingue da tutte le altre forme di vita per la propria incredibile capacità di crearsi una inesauribile varietà di nuovi problemi, che poi è costretto a risolvere per sopravvivere, ma le nuove soluzioni generano problemi maggiori che dovranno essere risolti e così via in un circolo vizioso del quale non si scorge la fine.

Sembrerà a qualcuno un gioco di parole, ma è la pura verità. L'invenzione della bomba atomica: sarà anche stata a suo tempo la pregevole soluzione di un problema tecnico e scientifico, ma è stata soprattutto l'invenzione di un nuovo gravissimo problema che perdura tuttora, e noi tutti sappiamo benissimo quale. L'invenzione dei medicinali, e soprattutto degli antibiotici, è stata la sublime soluzione di un problema fondamentale degli esseri umani, che però ha generato il nuovo problema della inarrestabile e catastrofica esplosione demografica e soprattutto nei paesi ricchi ha pressoché arrestato la selezione naturale. I milioni di recenti invenzioni tecniche hanno fuor di dubbio costituito la soluzione di una miriade di problemi di ogni genere e sorta, generando tuttavia il macro-problema della probabile invivibilità del nostro pianeta nelle prossime generazioni a venire (effetto serra, esaurimento risorse naturali, inquinamento radioattivo e inquinamento chimico, ecc.) con ipotesi tutt'altro che infondate di imminente possibile estinzione della nostra vanitosissima specie.

Dal macro al micro, le leggi fondamentali dell'universo non cambiano, e così scopriamo che anche nella vita del singolo individuo l'intelligenza, oltre a risolvere i problemi, è soprattutto impegnata a crearne. Ecco dove apparentemente l'essere umano si distingue dal computer. Il computer infatti esiste per risolvere i nostri problemi, e non per crearcene di nuovi. O invece... Non sarà mica che anche il computer più che risolvere problemi si dia da fare a crearne e poi ce li stia a rifilare a noi? Ahi, ahi... Avevate Windows 3.1 sul vecchio computer e ora avete Windows 95 sul nuovo? Allora in questo istante un brivido gelido attraversa di certo la vostra schiena come sulla mia. Se da un lato Windows 95 ha certamente risolto un sacco di problemi delle versioni di Windows precedenti, è incredibile di fronte a quanti nuovi problemi esso non abbia potuto evitare di porci. I programmi s'inchiodano sempre più spesso, il sistema diventa nel tempo sempre più lento e instabile e dopo un po' finisce in modo inspiegabile lo spazio sull'hard disk. I computer non sono intelligenti? Il Mito Paranoico Universale del Grande Vecchio che cospira dietro le quinte ci porta a credere, misticamente, che un disegno malevolo e tragico si celi dietro le crescenti problematiche che lo sviluppo dell'informatica reca con sé. Per taluni il demone si chiama Microsoft e per altri Bill Gates. Siamo sempre lì. La verità, probabilmente, è assai più inquietante, ed è intimamente connessa con il fatto che i computer sono intelligenti, e che in quanto tali più essi risolvono problemi, più essi inevitabilmente ne generano di nuovi. Qualcuno osa ancora credere che i computer non siano intelligenti?

La più intelligente fra le specie sulla terra, la specie umana, è quella che si crea i maggiori problemi, i computer più intelligenti sono quelli che si creano i maggiori problemi (poi rifilandoli a noi), e nel mezzo fra la specie e i computer ci siamo noi, gli individui umani. Può non valere in una certa misura per noi quanto evidentemente vale in colossale misura per ciò che ci ha generato (la specie) ed in misura inferiore per ciò che noi abbiamo generato (il computer)?

Anche negli individui umani, l'intelligenza serve quindi in gran parte a crearsi dei problemi. Per altri versi, l'intelligenza serve sì anche a risolvere problemi, tuttavia non è detto che si tratti dei problemi che ad uno convenga risolvere. Anzi. Quasi sempre, l'intelligenza serve a risolvere problemi che è del tutto sconveniente cercare di risolvere. Potrebbe ad esempio rivelarsi lievemente utile usare l'intelligenza per comprendere innanzitutto che l'intelligenza finisce per generare parecchi problemi, oltre a risolverne alcuni, e che quindi non sia una qualità auspicabile che ci renda la vita più facile. Tuttavia ben pochi fra gli individui intelligenti usano l'intelligenza a tal fine, continuando al di là di ogni evidenza e buon senso a dirsi e sentirsi fieri di quell'intelligenza che essi avvertono dentro di sé e che non serve loro neppure per rendersi conto che essa li danneggia non meno di quanto li avvantaggi. Questo è il paradosso dell'intelligenza poco intelligente. D'altra parte, a ben pensarci, anche capire quanto io abbia appena espresso non è che convenga granché a nessuno. Neppure a me è servito a qualcosa.

L'intelligenza, quindi, per lo più danneggia gli individui che ne sono affetti creando loro dei problemi da affrontare diversi da quelli che converrebbe loro risolvere.

Dato che noi (io che scrivo e tu che leggi) siamo - ahinoi! - evidentemente intelligenti (altrimenti non ce ne staremmo qui in questo istante a perdere inutilmente tempo facendo quello che stiamo facendo), per evitare di smentirci cerchiamo quindi di crearci subito ulteriori problemi poco convenienti da risolvere, aumentando ancora la complessità delle nostre ciance introducendo nel discorso una classe dell'intelligenza di cui si sentiva proprio la mancanza: la coscienza.

Se già fra le persone c'è comunemente poco accordo su cosa l'intelligenza sia, non ve n'è solitamente per nulla circa cosa in effetti la coscienza possa essere.

Per taluni la propria coscienza sono le sensazioni che essi sentono dentro di sé in riferimento a determinati temi. Io tuttavia ritengo che se di sensazioni si tratta sia meglio continuare a chiamarle sensazioni. Se poi tali sensazioni sono particolarmente intense e profonde e attengono alle sfere più altre della nostra spiritualità, esse rimangono tuttavia sensazioni e non vedo motivo per cambiare alle stesse il nome. Si tratterà semplicemente di sensazioni ed emozioni importantissime e fondamentali. Non sprechiamo una parola, coscienza, che potrebbe meglio servirci per definire qualcos'altro.

Per altri la coscienza è la percettività rispetto alla realtà contingente. Per costoro un individuo perde coscienza nel momento in cui tale percettività viene meno, ovvero quando si sviene e si perdono i sensi. Io tuttavia ritengo che se di percettività e sensorialità si tratta, è meglio continuare a chiamarle percettività e sensorialità. Perché tirare a mezzo il termine coscienza? Chi confonde la percettività contingente con la coscienza incorre facilmente nell'equivoco di considerare coscienti anche le forme animali non umane, quando l'unica evidenza davvero certa è che gli animali sono percettivi della realtà contingente.

La coscienza potrebbe allora essere la percettività rispetto alla realtà non contingente. Qui ci stiamo avvicinando ad una definizione che ad una prima occhiata potrei condividere. Quando pensiamo ad eventi passati o futuri, a luoghi lontani o inesistenti, siamo evidentemente percettivi di una parte di realtà che non esiste intorno a noi, e che quindi non è contingente. Tuttavia, è noto che noi non siamo coscienti della maggior parte dei ricordi che pure abbiamo, e che anche gli altri animali possiedono ed utilizzano il ricordo delle loro esperienze vissute. Anche gli animali, inoltre, sanno prevedere il futuro; quando ad esempio vediamo un gatto che sta per spiccare un balzo difficile notiamo come esso paia calcolare con grande attenzione l'ampiezza del salto da compiere; il gatto cerca infatti di prevedere il proprio futuro e se il balzo gli riesce poi bene significa che la previsione è stata corretta. Se approfondissimo il concetto, vedremmo come in effetti il fenomeno della vita stessa altro non sia che un colossale meccanismo per la previsione del futuro... e che lo stesso senso della vista sia nel suo piccolo una prodigiosa macchina del tempo con l'unica funzione di prevedere ciò che ci possa o non possa accadere nel nostro immediato futuro... una macchina del tempo che in ogni istante ci mostri le venture interazioni possibili fra noi e la realtà esterna a noi... ma per fortuna anche la nostra intelligenza ha un limite e così non approfondiamo il concetto e ci risparmiamo un sacco di nuovi problemi.

Torniamo all'ipotesi: coscienza come percettività rispetto alla realtà non contingente. La capacità di essere percettivi rispetto al passato e il futuro non è allora un parametro sufficiente per dichiarare cosciente un organismo, altrimenti tutti gli animali esistenti sarebbero indifferentemente coscienti e la nostra volontà di definire distinzioni se ne andrebbe a farsi friggere. Inoltre un sacco di animali dormono, proprio come gli esseri umani, e così facendo sognano, ovvero si rendono percettivi rispetto a una realtà non contingente che tuttavia non è necessariamente sita nel passato o nel futuro. Anche questa definizione di coscienza è quindi fonte di confusione, ed è meglio scartarla.

E se la coscienza allora venisse descritta come: rappresentazione mentale della realtà, in uno spazio metaforico mentale nel quale siano presenti, oltre ad elementi concreti della realtà esterna stessa, un analogo di se stessi ed un analogo metaforico del tempo (mappa temporale) nel quale tutto il resto possa venire ordinato? Ed è a questo punto che chi non ha ancora smesso la lettura non resisterà oltre e mi manderà a quel paese, ma è tuttavia a questo punto che secondo me ci siamo più avvicinati a quella che possa valere come definizione della coscienza umana, ovvero di quella proprietà che ci distingue un po' dagli altri animali e della quale ognuno di noi va fiero in misura inversamente proporzionale alla propria capacità di comprendere di cosa in effetti si tratti. (=in parole povere: se ci fate caso, più uno è scemo più andrà fiero ed orgoglioso di quei propri valori umani che lo distinguerebbero dagli animali, e se gli chiederete di che valori in effetti si tratti vi si risponderà con imbarazzato o indispettito silenzio o con pochi e generici monosillabi mal articolati).

La coscienza umana sarebbe quindi una specie di mirabolante teatrino mentale quadridimensionale nel quale ognuno di noi è solito rappresentare la storia passata, presente e futura di noi stessi e di ciò che in un modo o nell'altro ci riguarda. Da questo teatrino ricaviamo l'identità che ci sentiamo di avere. Se non ricordassimo nulla di ciò che abbiamo precedentemente fatto, saremmo del tutto privi di identità. Chi è colpito da gravi forme d'amnesia, smette di sapere chi è. Chi soffre del morbo di Alzheimer, cessa di aggiungere storia al proprio teatrino, e nel tempo evapora lentamente anche quello che c'è. Noi quindi siamo in definitiva solo il nostro teatrino mentale.

E' chiaro che la coscienza abbia a che fare con l'intelligenza. Senza intelligenza, la coscienza non è possibile. Tuttavia, la coscienza non è l'intelligenza, e può benissimo esserci intelligenza senza coscienza o con poco di essa.

Se l'intelligenza è generalmente poco utile all'individuo che ne è affetto, la coscienza è quasi sempre addirittura disastrosa. Come tutti i veleni, a piccole dosi la coscienza fa bene. In piccola misura, avere in testa un teatrino mentale quadridimensionale della realtà presenta certamente notevoli vantaggi.

Troppa coscienza, però, inibisce l'azione in chi ne è affetto. L'attività prevalente dell'individuo si sposta così dal mondo reale esterno a quello metaforico interno. L'individuo troppo cosciente è quindi esageratamente occupato da quanto si consuma nel proprio teatrino mentale per riuscire ad essere efficiente nelle sue attività concrete al di fuori di esso.

Tanto più che assai di rado l'individuo eccessivamente cosciente riesce a disciplinare i pensieri del suo teatrino mentale di modo che gli stessi siano per lui forieri di effettivi vantaggi nella pratica vita di tutti i giorni.

Ancor più dell'intelligenza, quindi, la coscienza per lo più danneggia gli individui che ne sono affetti costringendoli ad occuparsi di problematiche che hanno grande peso all'interno del loro teatrino mentale ma che trasposti al di fuori di esso servono a poco, se non a niente, ai fini della sopravvivenza pratica dell'individuo. Se in una persona l'elevata intelligenza serve quindi a creare problemi più che a risolverli, l'elevata coscienza provvede al fatto che tali problemi appartengano a categorie che non comportino vantaggi per l'individuo in oggetto, tranne che per puro caso.

Contrariamente alle credenze popolari, dunque, soprattutto fra quelle in voga fra i molto intelligenti ed i molto coscienti, l'intelligenza e la coscienza sono di norma un handicap per le persone che ne sono affette. Se questa limpidissima verità fosse riconosciuta per quello che è, lo stato e la società potrebbero giustamente garantire una pensione d'invalidità a chi abbia avuto la sventura di nascere intelligente o diventare troppo cosciente, una misura senz'altro più corretta e utile che destinare l'analogo vitalizio a chi abbia avuto la differente sventura di nascere o diventare completamente scemo, una soluzione quest'ultima che viene invece effettivamente praticata. Oltre che giusta e utile, si tratterebbe di una misura pure conveniente economicamente, dato che da sempre gli intelligenti sono una minima frazione rispetto agli scemi.

Già, perché se è vero che l'intelligenza e la coscienza non sono qualità utili alla sopravvivenza di chi le ha, non è neppure vero che esse siano caratteristiche inutili in assoluto. Perché mai esse esisterebbero infatti altrimenti? Tutto ciò che esiste ha una funzione. L'intelligenza e la coscienza degli individui umani, per lo più inutile o dannosa per gli stessi, è tuttavia utile e necessaria alla specie e alla società di cui gli individui sono parte. I grandi pensatori e i grandi inventori nella storia dell'umanità hanno in genere ricavato soltanto guai dal proprio genio, ma la loro intelligenza si è poi sempre rivelata utile al genere umano. L'intelligenza è quindi utile a chi non ce l'ha. Milioni di imbecilli possono oggi fotografare con il teleobiettivo, vaccinarsi, curarsi, proteggersi dai temporali coi parafulmini, godersi le migliaia di altri lussi moderni sbevazzando allegramente coca cola nel frattempo alla facciaccia di quella piccola tribù di ostinati visionari e inventori che nella storia dell'umanità non si è accontentata di adagiarsi sui preconcetti e le certezze dogmatiche finendo quasi sempre per pagare in prima persona il prezzo di essersi resi utili ai posteri.

L'intelligenza delle persone è quindi utile all'umanità, e non alle singole persone stesse che ce l'hanno. Il paradosso dell'intelligenza è che sono proprio gli intelligenti i primi a non rendersi conto di questo elementare stato delle cose, credendo contro ogni evidenza che l'intelligenza che essi riconoscono in sé sia un tesoro che possa loro portare vantaggi personali.

Ma se l'intelligenza degli individui è utile alla specie, perché non ci sono più persone intelligenti in mezzo a tanti imbecilli? Può allora essere che un giorno le cose miglioreranno, e che tutte le persone saranno finalmente più intelligenti?

Non ci sperate. Al mondo accade esattamente l'unica cosa che evidentemente può accadere (un po' di fatalismo ogni tanto non guasta). Osservate la storia del genere umano: ad inconcepibile e crescente velocità esso si sta evolvendo. Un istante fa eravamo tutti nelle caverne a scarnificare erbivori quando ci andava bene e a sgranocchiare insetti quando ci andava male. In un battibaleno storico l'evoluzione mentale della nostra specie ha trasformato l'homo sapiens cavernicolo in una roba completamente differente, nonostante il DNA sia rimasto praticamente lo stesso. Oggi c'è gente che cambia le mutandine ogni tre ore e l'automobile ogni tre mesi. Cosa c'entra questo con le caverne? Negli ultimi cento anni ci sono stati più cambiamenti ed invenzioni che in tutta la storia precedente, ed il progresso sta ulteriormente accelerando, e tutto ciò nonostante il mondo sia così visibilmente pieno di imbecilli! Lo sviluppo procede già a livelli che a qualsiasi analisi razionale risultano insostenibili. Cosa accadrebbe se tutte le persone fossero molto intelligenti? La specie umana si sarebbe già estinta da tempo, ecco cosa accadrebbe! La prevalenza del cretino è il fondamento che stabilizza il genere umano. Quei pochi intelligenti che la specie fa nascere qua e là sono ciò che serve al progresso - e da quanto possiamo vedere dai risultati essi sono già fin troppi! La massa degli imbecilli è ciò che con la propria inerzia stabilizza la tumultuosa e fin troppo rapida evoluzione dell'umanità. Se il futuro ci riserva cambiamenti, essi saranno probabilmente in favore di una società con una quantità percentuale di imbecilli sempre più elevata, perché sempre più necessità ci sarà di stabilizzare con iniezioni di scemenza la nostra sempre più veloce e insostenibile crescita. O forse no. Potrebbe succedere anche qualcosa di completamente diverso. Un salto di paradigma. Per definizione imprevedibile come ogni salto di paradigma. Già. Forse questa è l'eventualità più probabile.

Non sapete di cosa io stia parlando?

Non preoccupatevi.

Non lo so neanch'io.