Ha vinto due volte il premio Urania, la prima nel 2012 con il romanzo L'uomo a un grado kelvin, la seconda nel 2017 con Il sigillo del serpente piumato. Stiamo parlando di Piero Schiavo Campo, uno degli scrittori italiani di fantascienza più apprezzati e, aggiungiamo, di fantascienza hard, con forti legami con la scienza. Nato a Palermo, ma residente a Milano, Schiavo Campo si è laureato in astrofisica, ma insegna teoria e tecnica dei nuovi media all'Università di Milano Bicocca. Sempre nel 2017 ha vinto il Premio Robot col racconto La rotta verso il margine del tempo e collabora regolarmente con Robot. Il suo blog si chiama The Twittering Machine, dove pubblica racconti e brevi saggi scientifici.

Piero ha appena pubblicato per Delos Digital La follia di Eos, romanzo ambientato in parte su Marte e che ha come tematica anche l’interazione fra l’uomo e l’intelligenza artificiale. Proprio su questo romanzo lo abbiamo intervistato, allargando il discorso sulle ultime frontiere della scienza.

Il protagonista di La follia di Eos è Richard “Dick” Watson, investigatore della polizia europea, che abbiamo già conosciuto del tuo romanzo L’uomo a un grado kelvin, vincitore del premio Urania 2012. Ci vuoi raccontare un po’ in dettaglio chi è? Dobbiamo considerare La follia di Eos un seguito di L’uomo a un grado kelvin? 

Per certi versi è così: i personaggi sono gli stessi, l’azione si svolge pochi anni dopo. C’è però una differenza profonda tra i due romanzi. L’uomo a un grado kelvin era una rivisitazione dell’hard boiled poliziesco americano degli anni ’30 o ’40 in chiave fantascientifica. Il protagonista (Dick Watson, appunto) era in larga misura un clone dell’investigatore spavaldo e invincibile di quel periodo, un Humphrey Bogart nero, un Archie Goodwin con qualcuna delle caratteristiche del suo capo, Nero Wolfe. Ne La follia di Eos il carattere di Watson è un po’ diverso: gli rimane la spregiudicatezza, la capacità di arrivare al risultato violando le regole, se necessario, ma non sempre controlla completamente le situazioni in cui viene a trovarsi. Questo è vero soprattutto nei suoi rapporti con il gentil sesso… ma non voglio fare spoiler. Un’altra differenza è nel “peso” relativo tra la componente gialla e quella fantascientifica. L’Uomo a un grado kelvin era un giallo ambientato nel futuro, La follia di Eos è un romanzo di fantascienza (direi hard science fiction) in cui la trama fondamentale è di tipo poliziesco. È diverso.

La follia di Eos si apre con una scena che definirei dissonante, l’annuncio di una scoperta eccezionale avvenuta su Marte, ma… senza spoilerare troppo, ci racconti un po’ questa scena iniziale con cui si apre il romanzo e che è solo il primo di una serie di misteri e di colpi di scena? 

Tutto il romanzo si basa su un’ipotesi in background, e cioè che l’oceano primordiale di Marte, che a quanto sembra è evaporato più di 3,5 miliardi di anni fa, abbia ospitato forme di vita relativamente evolute. Queste forme di vita avrebbero avuto un metabolismo per certi versi simile a quello dei microorganismi terrestri, e avrebbero lasciato tracce di sé proprio nei loro residui metabolici, disciolti nel permafrost. Poca roba, in realtà, concentrata solo in alcuni punti del pianeta, tale insomma da sfuggire alle prime rilevazioni, e tuttavia esistente; sostanze organiche, in grado di interagire con la vita terrestre, generando… quali effetti?

Nel romanzo, immagini Marte colonizzato, con città nel sottosuolo abitate in gran parte da scienziati e tecnici e società private che gestiscono complessi minerari. Sei un astrofisico è quindi ti chiedo: secondo te colonizzeremo mai il pianeta rosso e diventeremo mai, come afferma Elon Musk, una specie multiplanetaria? Oppure dovremmo accontentarci di metterci solo piede? 

I fantascientisti (come sai meglio di me) non sono futurologi, e la mia opinione vale quanto quella di chiunque altro; detto questo, personalmente credo che nel caso di Marte ci sarà una vera colonizzazione. Si stanno spendendo troppi soldi nelle missioni robotiche, l’investimento (anche emotivo, cose che ha la sua importanza) è molto alto, è impensabile che la Terra si fermi nel cammino che ha intrapreso con tanta decisione. Penso che ci sarà una tappa intermedia quasi inevitabile, e cioè la colonizzazione della Luna. Il nostro satellite è a un passo da noi (in termini astronomici), e ha il vantaggio, rispetto a Marte, che la sua distanza è più o meno fissa. Mi aspetto che le missioni umane verso Marte richiederanno astronavi molto grandi, massicce, pesanti; accelerarle dalla Luna sarà molto più semplice (e più economico) che non farle partire da un’orbita terrestre. La colonizzazione di Marte potrebbe essere il vero grande business del XXI secolo, dunque è probabile che avvenga. Penso che più avanti colonizzeremo anche i satelliti di Giove e di Saturno, ma non credo che la cosa avverrà in questo secolo.

Come il titolo indica, in parte il romanzo è ambientato su Marte, nel canyon di Eos Chasma, situato nella parte meridionale di Valles Marineris. C’è un motivo particolare per cui hai scelto questo sito marziano? 

Mi sono immaginato la bellezza inconcepibile di un canyon che in alcuni punti supera gli ottomila metri di profondità. Ho cercato di figurarmi un cielo pieno di stelle che brillano senza che i vapori dell’atmosfera terrestre ne offuschino lo splendore, a illuminare un deserto senza tempo… io credo che tutti gli appassionati di fantascienza mi capiranno, se dico che non sono riuscito a resistere al fascino di uno scenario di questo tipo.

Insegni teoria e tecnica dei nuovi media all'Università di Milano Bicocca e in La follia di Eos, ad un certo punto, molti sistemi computerizzati sempre più spesso sembrano avere comportamenti caotici. Ti chiedo: quanto siamo vicini alla nascita di una vera Intelligenza Artificiale e a quella che viene chiamata una Singolarità Tecnologica? 

Ci sono due aspetti del problema. Il primo si riferisce alla “singolarità” come momento in cui le intelligenze delle AI superano quella umana. Questo, secondo me, è un aspetto un po’ confuso. Che cos’è l’intelligenza? Dai tempi di Turing gli informatici stanno cercando una definizione che metta d’accordo tutti, ma ancora non è stata trovata. In linea di principio, ad esempio, un sommo artista potrebbe ottenere un punteggio QI paragonabile a quello di un deficiente, solo perché i test di intelligenza elaborati finora tengono conto di alcuni aspetti di quella che viene comunemente chiamata “intelligenza”, ma non di tutti. Per fare un altro esempio: la capacità di giocare bene a scacchi è stata ritenuta per molto tempo una manifestazione di intelligenza, finché il computer Deep Blue ha battuto l’allora campione del mondo di scacchi Garry Kasparov utilizzando un algoritmo sofisticato. Un algoritmo è intelligente? L’algoritmo di Deep Blue non possedeva nessuna capacità creativa, si limitava a elaborare un input (la posizione dei pezzi) in modo complicato ma completamente deterministico. Esiste una “vera” intelligenza che sia solo deterministica? Il colpo di genio non sembra essere prevedibile… insomma, l’uso che noi facciamo comunemente del termine “intelligente” non è perfettamente definito, e in questo senso non è definita neanche la singolarità. Il punto è che c’è (almeno) un altro scenario, affascinante e inquietante: quello in cui la singolarità è il risultato di un salto quantico che coinvolge insieme le macchine e la specie umana. Si è parlato molto di intelligenza collettiva. Esiste davvero? Come si manifesta? Che caratteristiche ha? Potrebbe emergere non per un “progresso” dell’intelligenza umana, ma di un’intelligenza artificiale? In una certa misura, qualcosa di simile sta già succedendo. Senza aspettare che le macchine diventino intelligenti, ciascuno di noi oggi utilizza il computer come portale di accesso a una quantità impressionante di informazione, che solo pochi anni fa non era accessibile (o per lo meno, richiedeva molto tempo e molte risorse per essere raggiunta). L’informazione, però, sembra essere proprio l’ingrediente di base dell’intelligenza, una delle cui caratteristiche è la capacità di elaborare l’informazione stessa in senso creativo. Cioè, lo scenario della singolarità potrebbe richiedere due “attori”: la tecnologia e l’intelligenza umana. È chiaro che la faccenda è molto complicata e controversa; credo che sia un tipico tema su cui la fantascienza va a nozze. Per parte mia, con La follia di Eos ho cercato di indagare uno scenario possibile per questo sviluppo che mi sembra tanto affascinante quanto inquietante.

La follia di Eos mescola abilmente la fantascienza hard e il giallo, così come accadeva in L’uomo a un grado kelvin. Cosa hanno in comune, a tuo avviso, questi due generi letterari? 

Il fatto che siano stati “accoppiati” così spesso nella storia della letteratura di genere non può essere casuale. Penso che la ricerca scientifica, per certi versi, assomigli a un’indagine poliziesca. O forse assomiglia a come noi immaginiamo sia un’indagine poliziesca… in entrambi i casi esiste un’oggettività di fatti che si nascondono dietro indizi spesso fuorvianti. L’esempio più clamoroso che mi viene in mente è la scoperta di Mendeleev della tavola periodica degli elementi. Studiando gli elementi chimici ordinati per peso atomico, venivano fuori delle strane simmetrie. Perché? La ricerca della risposta portò lo scienziato russo a costruire le basi del moderno atomismo. Questo discorso ha senso, ovviamente, solo se si considera la cosiddetta “hard science fiction”; giallo e fantascienza, però, si sono sposati tra loro anche in opere che non definirei hard sf. Un esempio per tutti: il visionario “Re nero” di Maico Morellini (per citare un italiano). Credo che uno dei motivi sia legato alla necessità di “riempire” scenari fantastici futuribili, quelli tipici della fantascienza, con elementi narrativi solidi. Si pensi a Minority Report di Philip Dick. L’idea dei “precog” è quanto di più fantascientifico si possa immaginare, ma di per sé non reggerebbe un romanzo, se non ci fosse una solida trama gialla a sostenerlo.

Chi è l’autore o gli autori che secondo te hanno dato il meglio mescolando proprio giallo e fantascienza? 
Philip K. Dick
Philip K. Dick

Philip Dick sicuramente. A mio parere Dick si colloca a un estremo di un segmento di tendenza, all’estremo opposto c’è Michael Crichton. Crichton non è visionario, è oggettivo, bada al background scientifico e lo gestisce con cura. Non a caso, più che di fantascienza nel suo caso occorrerebbe parlare di techno triller, ma il confine tra i due generi è nebuloso (Jurassic Park è un techno triller e Sfera è fantascienza? In una certa misura, secondo me, la distinzione non è interessante). In mezzo c’è, naturalmente, il grande Asimov. Abissi d’acciaio e il suo seguito, Il sole nudo, sono due grandi esempi di giallo fantascientifico, dove il Maestro raggiunge un equilibrio magico tra i due generi.

Come giudichi l’attuale momento che vive la fantascienza italiana? 

In Italia, secondo me, si sta facendo dell’ottima fantascienza, in alcuni casi mi spingerei a dire della grande fantascienza. Oltre tutto, la fantascienza italiana attuale riesce a navigare tra aspetti letterari (si pensi a Forlani, Vietti, Farris…), aspetti narrativi (come nel caso di Morellini), aspetti visionari (Conforti…), ironici (Del Popolo Riolo…), fortemente suggestivi (Tonani…). Chiedo scusa ai tanti bravissimi autori che non ho citato. Il problema è che questa esplosione di talenti, purtroppo, non corrisponde (ancora) a un riconoscimento da parte del mercato. Veniamo da un’epoca storica in cui la fantascienza (non solo quella italiana) era considerata letteratura di serie B, e ho l’impressione che la gente faccia fatica a uscire dalla prigione di questo giudizio sommario che, se poteva avere qualche giustificazione nel passato, oggi non ce l’ha di sicuro. Poi, secondo me, c’è il problema del cinema: il film di fantascienza sta letteralmente uccidendo la fantascienza letteraria; la gente si sta sempre più abituando all’idea che la fantascienza coincida con gli effetti speciali cinematografici, che noi scrittori purtroppo non possiamo usare. Il punto è che Hollywood è così sicura del ritorno economico della fantascienza, che può permettersi di ignorare il problema maggiore che noi gente della periferia dell’impero dobbiamo affrontare: trovare idee consistenti, e circondarle di trame decenti!