Bilancio finale dal cono di luce

Attraverso la storia immaginaria del XXI secolo vissuta nelle imprese e disavventure di tre generazioni e mezza di una problematica famiglia dei nuovi tempi in progressiva accelerazione – dicevamo – Stross riepiloga tutta la storia della fantascienza del Novecento. La sua è una fantascienza che non ha paura di muoversi lungo i margini: vale la pena di citare William S. Burroughs, che torna a più riprese con le frequenti allusioni alle “morbide macchine” dei corpi, e il manga Ghost in the Shell di Masamune Shirow, uno dei vertici della letteratura cyberpunk. Anche senza sperimentare soluzioni stilistiche troppo ardite, Stross si avvicina comunque al maestro giapponese nel rendere quell’atmosfera sinestetica pervasa da una frenesia adrenalinica che regna nei rispettivi paesaggi radicalmente informatizzati. La virtualizzazione dell’ambiente in cui si muovono i personaggi rende merito alle ossessioni di Philip K. Dick, condotte fino alle estreme conseguenze nell’episodio del Router, dove sono alieni imperscrutabili e per nulla affidabili a imporre la loro – parziale – visione del mondo agli ospiti (post-)umani.

Ma su tutti possiamo individuare una grande influenza su Stross, candidamente riconosciuta dallo stesso autore: la saga familiare dei Macx è innegabilmente debitrice delle visioni della Matrice Spezzata di Bruce Sterling. Lo sforzo per edificare una nuova società postumana sulle rovine di quella che l’ha preceduta, gli intrighi politici, l’ossessione vendicativa, il senso di appartenenza al clade, sono tutti elementi già presenti nel capolavoro dell’ideologo cyberpunk, ripresi e rielaborati da Stross secondo la sua sensibilità aggiornata a questi tempi. Il suo inconfondibile tocco ironico stempera i toni solenni dell’epopea di Abelard Lindsay nelle paradossali disavventure di Manfred Macx, e alla fine della scorribanda desta non poca meraviglia la constatazione di come Stross sia riuscito a far tornare i conti, in una ideale chiusura del cerchio con le origini e con i modelli dichiarati. Se qualcosa si è perso per strada è per l’inevitabile limite della struttura tassellata del romanzo. I capitoli nati come racconti autoconclusivi tradiscono la loro natura quando vengono inquadrati in un contesto più ampio, come può essere quello di un romanzo tanto ambizioso. Sarebbe stato bello vedere portate avanti alcune intuizioni seminate come semplici motivi ornamentali delle storie principali: la visione tipleriana della radiazione cosmica di fondo a microonde come il residuo di un processo di computazione innescato con il Big Bang, l’evoluzione delle aragoste senzienti che per prime si sono interfacciate al Router, i costruttori della rete cosmica di cui si accenna poco prima dello scioglimento (un po’ come nel finale di Neuromante faceva capolino una IA aliena scovata da Invernomuto/Neuromante nel sistema di Alpha Centauri). A lettura ultimata, tuttavia, nella comprensibile soddisfazione lasciata da un tale condensato di visioni, possiamo tirare le somme fiduciosi di un netto attivo nel bilancio delle gratificazioni. Se mai si avvererà, la Singolarità non sarà la panacea per tutti i mali dell’uomo. Porterà luci e ombre, come ogni evento epocale. Che si voglia accettare la deriva postumana o si decida invece di preservare una traccia della trascorsa natura biologica, le basi per la sopravvivenza possono essere gettate ora. Basta un semplice gesto.Come basta un atto di coscienza per riavvicinarci al futuro.