Mettere mano a Source, la tecnologia alla base di Half-Life 2, non è cosa da tutti. Nel senso che, nonostante le meraviglie di cui è capace, non lo si può certo considerare uno dei motori più licenziati al giorno d’oggi e qualche motivo ci sarà. È servito, al di fuori dei progetti Valve, per realizzare Vampire the Masquerade: Bloodlines e Sin Episodes, entrambi parti travagliati che non hanno restituito i risultati auspicati, e adesso Dark Messiah: Might and Magic. Stavolta, però, il trapianto ha dato buoni frutti, addirittura insperati.

La storia del videogame è quella di Arkane Studios, gli sviluppatori francesi di Arx Fatalis che un paio di anni fa erano impegnati a pensare le direttive per un nuovo titolo fantasy, e di Ubisoft, l’editore transalpino che aveva da poco acquisito la proprietà del marchio Might and Magic, serie storica di draghi, maghi e merletti capace di appassionare a lungo il pubblico del Pc. Aggiungete la reciproca stima tra gli attori e Valve e il gioco è fatto. Un gran bel gioco. La migliore lettura del fantasy d’azione dai tempi di Hexen II. Siccome sono passati una decina di anni, non è poco.

Anche se ne mantiene alcuni elementi, Dark Messiah: Might and Magic non è infatti un gioco di ruolo. Il personaggio migliora nel corso dell’avventura le sue abilità secondo l’orientamento delle stesse stabilito dal giocatore e, in maniera persino più esplicita, quest’ultimo è continuamente chiamato a definire i canoni dell’interpretazione del suo alter ego, scegliendo come agire di fronte agli ostacoli presentati nei capitoli che compongono la modalità principale (accanto c’è il multiplayer stile Counter-Strike di Kuju Entertainment), cinematograficamente lineare, ma anche ricca di libertà di azione e percorsi alternativi.

L’affinità elettiva di Dark Messiah non è però con la scalata alla montagna dei punti esperienza di Gothic 3 e nemmeno con il vagabondaggio per le lande sterminate di Oblivion, quanto piuttosto con lo spirito turbinante degli sparatutto, a cominciare da Half-Life 2 e dalla prospettiva scelta tradizionalmente da Arkane: la soggettiva. C’è una sequenza, in apertura, che è un chiaro e straordinario omaggio concentrato al viaggio in monorotaia della prima Mezza vita di Valve. Soprattutto c’è il ritmo frenetico dei combattimenti, le sfumature tattiche che assumono e il combaciare dello svolgimento violento degli scontri con le caratteristiche dell’ambiente circostante, che in nome della fisica – la revolution di Half-Life 2 – possono venire utili in vari modi, specie se i nemici a cui tenere testa sono più d’uno.

Orchi, orchetti, arpie, troll e draghi alati si combattono con le spade, i pugnali, l’arco e la magia, facendosi largo in una trama pop, molto pop, pure troppo e che in fondo è l’unico lato debole della produzione. Per il resto Dark Messiah si ritaglia senza fatica un posto di rilievo tra le uscite della stagione. Ha una giocabilità entusiasmante, che sfrutta le peculiarità di Source per proporre situazioni da risolvere non “sparando” tutto l’arsenale ma affrontando i problemi con quel pizzico di ragionamento, ed è costruito su un impianto visivo affascinante, attento ai quei particolari fondamentali se si vuole intensificare l’impressione di vivere un’esperienza. E Dark Messiah è proprio questo: una grande esperienza fantasy che reinventa un grande filone fantasy dimenticato.