E finalmente ci siamo arrivati, questo era un passo che probabilmente qualche lettore di questa rubrica si attendeva da tempo: "E la fantascienza italiana?" Sì, perché anche la fantascienza italiana ha una sua storia dimenticata, probabilmente più di quella anglosassone: dopotutto molto del materiale angloamericano viene ristampato ed in genere è solo questione di dover attendere. Con la fantascienza italiana il fenomeno è più grave, non solo non si vedono ristampe, ma forse molti, che ne hanno visto la nascita in questi ultimi anni, non sono neppure a conoscenza del fatto che si tratta in realtà di una rinascita, o meglio dell'esplosione, finalmente, di forze sotterranee che si erano accumulate nell'arco degli anni; ben quaranta, ormai. Quando oltre un anno fa, iniziando questa rubrica, parlavamo della necessità di recuperare la memoria storica del genere, anche a questo ci riferivamo. Se nel corso della storia della fantascienza, molti classici e non, sono rimasti confinati nelle pagine ingiallite di vecchie edizioni ormai introvabili, ciò è a maggior ragione vero per la fantascienza italiana; dove abbiamo i romanzi degli Aldani, dei Pestriniero, dei Catani dei Montanari e dei Curtoni, e di tutti gli altri che per lungo tempo, ma soprattutto prima degli anni '80, hanno trascinato la carretta della fantascienza italiana? Non parliamo dei racconti, spesso relegati nell'ambito delle fanzine ma persino i romanzi ormai sono da gran tempo divenuti fogli volanti avulsi dalle precarie rilegature squinternate, quando non si sono decomposti o non sono stati usati da qualche poveraccio per scaldarsi.

Ci occuperemo quindi di due opere apparse tra la fine degli anni '60 e l'inizio dei '70, e per l'esattezza di Come Ladro di Notte, di Mauro Antonio Miglieruolo, (1967, Galassia 159, 1972 Piacenza, ristampato in tiratura limitata 1984 Edizioni Pulp Torino) e di Nel Nome dell'Uomo, di Gianni Montanari (1971, Galassia 155, Piacenza). "Perché questi due", si chiederà qualcuno, "sono forse i migliori"? Non necessariamente. Sono quelli che in qualche modo, frugando tra gli scaffali ci hanno acceso dei ricordi ed eccitato la fantasia. Fedeli alla premessa fatta un anno fa, dobbiamo ricordare l'assoluta asistematicità delle nostre scelte; chi ci avrà seguito sino ad ora avrà notato una certa ecletticità in esse, spaziando dal classico al romanzo puramente divertente anche se di secondo piano. Queste due non sono necessariamente le opere migliori della fantascienza italiana del passato ed il fatto che trattiamo di esse e non di Quando le radici di Lino Aldani o di Dove Stiamo Volando di Vittorio Curtoni o di L'Eternità ed i Mostri di Vittorio Catani, non significa proprio nulla. Se fossimo stati costretti ad incasellare le nostre scelte in una classifica, meno che mai in una top ten, questa rubrica non avrebbe mai visto la luce.

Di Miglieruolo, ma questa è una caratteristica comune a molti dei pochi autori della fantascienza italiana possiamo identificare, scorrendo la bibliografia, due fasi, una che giunge dagli anni '60 al 1977 ed una seconda che riparte dall'89 per arrivare sino ad oggi, caratteristica legata più all'inesistenza del mercato che ad altri motivi. Come Ladro di Notte è il solo romanzo di questo che è indubbiamente uno degli autori più interessanti e se vogliamo atipici della fantascienza italiana. Il suo trattamento del linguaggio è praticamente unico nel campo, Miglieruolo infatti, vero e proprio autore, è l'unico che abbia il coraggio e forse la voglia di lavorare sulla lingua in modo tanto pesante, producendosi, in alcune pagine di Come Ladro di Notte in veri e propri equilibrismi barocchi.

Il romanzo è difficilmente descrivibile: abbiamo quella che potrebbe essere una guerra religiosa su scala galattica, ma appare principalmente come una guerra politica, abbiamo un trattamento della materia che lo avvicina a quello tipico della fantascienza classica con le sue flotte di milioni di astronavi e la sua azione travolgente; la pulsione di morte affiora quasi in ogni pagina e questi elementi che potrebbero sembrare totalmente estranei tra loro sono impastati da un linguaggio che possiamo unicamente definire come personale. Ci troviamo indubbiamente di fronte ad un romanzo arduo che a prima vista potrebbe anche apparire come invecchiato, ma che è ancora in grado di offrire, dopo trentadue anni, delle vere e proprie soddisfazioni al lettore che intenda affrontarne la lettura.

G. Montanari: "Nel nome dell'uomo"
G. Montanari: "Nel nome dell'uomo"
Ben diverso il clima del romanzo Nel Nome dell'Uomo di Montanari, anche se ad esso non è estranea la religione, il tono generale è metafisico ed intimista. Montanari non ha probabilmente bisogno di presentazioni, è già stato citato in questa rubrica, co-curatore di Galassia assieme a Vittorio Curtoni, e successivamente curatore di Urania a lui si devono anche una manciata di racconti e tre romanzi.

Due case immerse in una nebbia irreale che copre il mondo da un tempo indefinito, due triangoli che difficilmente possono essere definiti come amorosi, e tutto ciò viene immerso in un senso di irrealtà ed angoscia, chi e perché muore? Chi muore è veramente morto? Perché gli oggetti sembrano muoversi da soli ed i personaggi sembrano trovarlo naturale? Il lettore si trova continuamente sbalestrato tra una nebbia che in fin dei conti sembra quella cui siamo abituati e qualcosa di indefinibile che con il suo clima spettrale sembra stimolare o quanto meno agevolare le pulsioni di morte. Il silenzio dell'ambiente circostante fa da contraltare ai silenzi dei personaggi, che si amano, si odiano e si sopportano lasciando molto di inespresso. Il romanzo finisce quindi per diventare scarsamente delimitabile proprio come tale è la nebbia che ne assurge a protagonista, possiamo trovare cento parole per descriverlo, e quasi certamente qualcosa rimarrebbe fuori.