Sbeffeggiare bonariamente Gibson con l'arma dell'imitazione è un'impresa ben più difficile di quanto si possa pensare. Questo perché Gibson è già, con ogni probabilità, lo scrittore più parafrasato, citato e preso a modello nella storia della SF. Una torma di autori, da anni, ha deciso che inserirsi nella corrente letteraria nobilitata dal maestro di Vancouver significasse, né più né meno, copiare il suo stile, usare il suo linguaggio, appropriarsi dei personalissimi neologismi e del suo peraltro inarrivabile talento visionario.

Conseguenza di tutto ciò, sono in circolazione miriadi di opere di sedicenti scrittori cyberpunk la cui impronta è così dichiaratamente (e grottescamente) gibsoniana da sconfinare, a volte di anni-luce, nel comico. Quello che una volta era un approccio alla scrittura provocatorio, fresco, originale, è diventato per gli aspiranti cyb quasi un obbligo, un feticcio stilistico da adorare e ricalcare pedissequamente, un'innovazione stravolta come tale che si capovolge e diventa infine, paradossalmente, conformismo.

Parafrasando Bill Gates (un altro che di plagi se ne intende): "Ho letto la parola ciberspazio tante volte da bastarmi per tutta la vita. E, se esiste la reincarnazione, per due o tre vite future".

Anche in Italia, molti hanno ritenuto e ritengono un punto d'onore ricalcare le orme di Gibson, e tentano di esprimersi come lui non solo nei propri racconti, ma finanche in articoli, saggi e corrispondenza privata. Costoro, in genere adolescenti dal viso in texture brufolosa e occhiali da 25 pollici, soffrono un decorso patologico tutto sommato ben individuabile. Cominciano col comporre brevi scritti assemblando insieme in ogni possibile combinazione tutti e soli i vocaboli "deck", "ICE", "Sprawl", "matrice", "interfaccia" e "zaibatsu". Tentano poi di pubblicare tali scritti, inveendo inevitabilmente contro curatori ed editori "troppo conservatori per capire". Introiettano quindi la loro Gibs-onania frustrata verso le comunicazioni interpersonali: cominciano a esprimersi con locuzioni ermetico-cyberpunk nei confronti di familiari e vicini di casa; sconvolgono la propria madre osservando che i rigatoni in tavola hanno il colore di uno schermo sintonizzato su di un canale morto; fanno fuggire a gambe levate la propria ragazza spiegandole che nei suoi occhi scorgono aprirsi una tiepida processione esistenziale fragile come un antipasto origami al sushi neonizzato. Infine scelgono un soprannome giapponese e si dedicano a bombardare i gruppi di discussione e le liste sulla rete con messaggi totalmente incomprensibili ma tanto, tanto, tanto fascinosamente gibsoniani.

Sotto Spirito non tenterà neppure di competere con costoro: il confronto sarebbe perduto in partenza. L'approccio sarà completamente rovesciato, e si cercherà di far sorridere il lettore presentando lo stile di William Gibson attraverso la lente deformante dell'ironia, non per metterlo alla berlina (la nostra sconfinata ammirazione verso il maestro di Vancouver non lo consentirebbe), ma proprio per sottolinearne le caratteristiche uniche, personali, colossali nella loro purezza e originalità, nei confronti delle quali ogni imitazione finisce per essere, appunto, destinata a risultare una caricatura umoristica. Ecco quindi a voi il nostro pastiche porno-cyberpunk. Buona lettura.

Moana Lisa Cyberpunk

(di William Gibson?)

1 - Ermeneutica

- Ho un lavoro per te, Jack. 128Baud socchiuse gli occhi Zeiss e si sottrasse velocemente all'alito di Shigo, una ventata di fiato caldo che sapeva di vento stagnante soffiante da un'arcologia di pasticcerie in demolizione asilo di topi affamati partoriti in suole di Nike abbandonate da viscidi carpentieri di Yokohama. - Ti sei seduto sul mio sushi, Shig. - replicò, gelido.

Shigan si accese una Yeheyuan con una pietrina Sukiyaki a metanolo ionizzato. - So che mi odi, uomo. L'affare Shozoku ti brucia ancora, Lonny me l'ha detto. Ma so anche che sei nella merda con Sanpaku, e io posso procurarti la RAM che ti serve per tirartene fuori. Che ne dici?

- Non ci ho capito un cazzo. - ringhiò 128Baud.

- Molto bene, cowboy. - approvò Shigo, alzandosi di scatto e provocando alle sue spalle la caduta a domino d'una dozzina di sarariman nel locale fumoso di zen e affollato da una sottocultura di clochard, marinai, sciacalli in smoking, mezzani, assassini, scrittori falliti e puttane. - Siamo in affari, uomo. Ci vediamo a mezzanotte ad Harajuko Point... E niente derma, Jack: ti voglio lucido.

128Baud, rimasto solo, scrollò le spalle, tremolanti come un'amara eco mnemonica di fondi di tè indiano gettati alla rinfusa dalla torre di un castello francese dentro un canale gonfio dove pitali arcobaleno annegano in una gelatina di pollo minimalista.

La testa gli scoppiava, ed era ancora soltanto alla sedicesima riga.

2 - Inclinazione

Harakujo Point, luccicante ingresso al quartiere Hard Core dello Sprawl, era un canyon di arcobaleni al neon ribollente d'un campionario di moda tecno-feticistico-nichilista. Caldo. Umidità. Concentrato di disperazione e denaro. Betafenetilammina urlante. Sotto le cacofoniche insegne di un Cyb-Peep-Show, un'imitazione astratta di un tramonto alle Bermude striato da sfilacciature di nubi registrate, Shigan e due guardaspalle bio-clonati attendevano 128Baud in posa ieratica. Il primo dei gorilla esibiva palpebre meccaniche affilate, denti e innesti in pelle di coccodrillo Genetech-Lacoste; il secondo aveva il capo e il mento ricoperti da peli ricciuti come un albero aggrovigliato con i rami del colore della lana d'acciaio, e scrutava la folla intorno con occhi suini ricostruiti mediante DNA di verro su substrato collagenico.

- Perché questo posto del cazzo, Shig? - esordì 128Baud, grintoso.

- Lothar-Mitsubishi, Jack. - sussurrò Shigo, la sua voce quasi coperta dal sibilo della statica - Montagne di Yen, oceani di potere. Un'operazione che può sistemarci per la vita. Ho detto al contatto che tu eri il loro uomo.

- Un giorno ti infilerò una Yeheyuan accesa su per il buco del culo, Shig.

- Sarà un piacere, cowboy.

128Baud tentò di scacciare le immagini ipnagogiche che i buttadentro del Peep-Show proiettavano sulla sua retina da 768x1024 pixel. - Che cazzo virtuale vuole la L-M da me?

Shigan sorrise ironico. - Guerre di zaibatsu, uomo. Meno ne sai, più facilmente porti a casa la pelle. - soffiò un tiro di acido e rabbrividì al ritmo di musica Koto - Tu devi solo entrare dentro e farti una donna. Per loro.