Era solo. Nello spazio. Non ebbe paura; sentì invece un'ondata invisibile abbatterglisi contro, facendolo barcollare. Il suo cuore pulsava a un ritmo squassante, ora, e le dita delle mani tremavano. Ogni residuo di dolore l'aveva abbandonato.

Ehi, calma. Così è inutile. Forza, inspira a fondo... ed espira. Uno-due. Controllati. Andrà tutto bene (uno, due). Non perdere la testa... calma. Calma. I battiti rallentarono...

E accelerarono nuovamente, quando vide la Terra.

Era immensa. Occupava almeno centoventi gradi d'orizzonte e ruotava sospesa nello spazio come una palla colorata. Le tinte dei mari, dei continenti e delle nubi lo sorpresero: troppo sbiadite, troppo violente.

Byrne si contorse nella sua cella tentando di vedere, di capire.

Africa e Islanda scivolarono al di là del bordo del pianeta, e pochi minuti dopo era già possibile scorgere il rigonfiamento del Brasile, in solenne avanzata da ovest verso est. Lo guardò procedere, e occupare un tratto sempre più vasto d'Atlantico. C'era qualcosa che non quadrava... Ma sicuro! La velocità di rotazione: era eccessiva. A meno che lui non orbitasse con fase opposta alla Terra... E lassù, il sole non avrebbe dovuto accecarlo? E la gravità risultare nulla?

No, la risposta era un'altra. Quello che vedeva era un plastico... un planetario. Stava assistendo a una lezione di geografia astronomica. Bastava rifletterci sopra un istante.

Un tecnologia estremamente avanzata era in grado di risolvere i problemi relativi all'assenza di peso, o alla schermatura dai raggi solari. Ma non poteva trasformare lo splendore di una stella in una luce diffusa e uniforme dov'era impossibile distinguere il giorno dalla notte. Non potevi far apparire reale un simulacro. Non sempre, almeno...

Apparvero le Piccole Antille in un mare segnato dalle tracce scure delle correnti, e più a nord le Azzorre, come biglie di vetro immerse in una crema azzurro cupo. Quindi Labrador e Terranova, schiacciate dalla curvatura del globo. Ma fu prima ancora che Nuova Scozia e Maine facessero capolino per annunciare la comparsa del Grande Paese, che partì il motivo. Non era riuscito a scriverlo in quelle ore d'incubo nello studio di New York, ma l'aveva portato con sé in qualche angolo della coscienza, nel più insolito dei suoi viaggi. Partì: completo di strumentazione, missaggio, arrangiamento, effetti: prese il volo dentro di lui attraversandogli cervello in un lampo abbagliante.

Di seguito: New Hampshire, Connecticut e Vermont. Febbrilmente, iniziò a comporre il testo: senza carta e penna, memorizzando i singoli versi che man mano prendevano forma. Vedeva tutto: la linea delle coste, le montagne simili a grumi di plastilina, le pianure di carta di riso, le bruciature cancerose delle città. La scarpetta da elfo di Cape Cod, le paludi di Pamlico Sound. Individuò la sottile scheggia di Long Island... la Mela non sembrava poi così grande, vista da lì...

La Florida protesa verso Cuba come un uccello da preda. Il lago Okeechobee suggeriva la presenza di un occhio, la catena di isolotti delle Keys faceva pensare a un becco.

Strisciando sulla plastica della bolla, le mani sudate di David Byrne producevano rumori scricchiolanti, come di gomene avvolte alla bitta.

I grandi laghi; le pianure di grano; la Fascia della Bibbia; i deserti del Sud-Ovest e le Rocciose, un corrugamento che non ammetteva repliche. Naturalmente, la California.

E...

Byrne apri gli occhi, disteso nel suo letto di casa.