Fuggì via; senza rendersi conto del come, si ritrovò in auto, lanciata a tutta velocità lungo i boulevards deserti. Le luci fluorescenti dei lampioni dardeggiavano rapide nell'abitacolo. Guidò meccanicamente per chilometri, senza dover mai rallentare. I semafori scattavano automaticamente sul verde al passaggio di un veicolo della Sicurezza. Fermò solo quando fu giunta nel parcheggio della Centrale di Zona: inconsciamente, aveva percorso l'itinerario abituale di tutte le mattine.

Era prestissimo; i bureaufagi, gli impiegati non addetti al servizio di strada, erano ancora quelli del turno notturno. Ima riconobbe alcune facce, correndo a perdifiato sui pavimenti di marmo opaco; un grosso guardiano, all'ingresso, aveva abbozzato un inseguimento, quando lei non s'era curata dello scampanellio del metal detector sotto il quale era passata. Il grassone s'arrese dopo pochi metri. Ima raggiunse l'ascensore.

Si pentì di non aver fatto le scale, perché nella cabina solitaria non riuscì a sottrarsi ai propri pensieri. Perché, per quanto cercasse di convincersi del contrario, in fondo non poteva negare la reale esistenza di quel debole sussurro, appena distinguibile sotto l'oscena voce di Morell... "Vieni a me..."

Il tetto.

La Ziqqurat della Sicurezza svettava a quasi tremila metri d'altezza; ben più di ogni edificio della Valle, e di molte regioni vicine. Le porte dell'ascensore si aprirono sul fulgore di un'alba accecante; la piattaforma era un'isola, al di sopra dello smog, delle nebbie, e del rumore. Ima si incamminò tra i rottami che ingombravano il campo volo. Tra le carcasse senza vita, i portelli spalancata su vani - motore vuoti, riuscì a scovare una vecchia aerodina, appena coperta di uno strato di polvere rugginosa, le fiancate ancora dipinte della livrea rossoblu. Aprì il portello, lanciando un'ultima occhiata all'orizzonte, al profilo di un enorme cargo che emergeva lentamente dalle nubi basse, lontano.

Tutti i ricercatori dovettero concordare sulla assoluta affinità di queste creature con gli esseri umani. La fibrina che secernevano in grandi quantità, indispensabile per una rapida cicatrizzazione dei tessuti, non mostrava alcuna differenza rispetto a quella umana. Lo stesso valeva per la mielina, identica al novantanove e nove percento. Neuroni. Questi esseri erano in grado di costruire in pochi istanti ponti tra neuroni di organismi differenti. Per evitare le crisi di rigetto, si erano tramutati in autentiche fabbriche di immunosoppressori. Il loro adattamento all'uomo era a dir poco perfetto.

Ma affinché un parassita si adatti a questo livello ad un ospite specifico sono necessari migliaia, se non milioni, di anni.

In non pochi presto iniziarono a ritenere che la piaga fosse stata costruita.

Uq era rimasto solo con sé stesso, un grumo ormai quasi del tutto amorfo. Possedeva ancora una mano, con la quale accarezzare la pelle liscia e recettiva; la mano ne rimase invischiata, e vi sprofondò dentro. La mano non esisteva più; le falangi fluttuavano libere nella carne.

In terra, il corpo gelatinoso di Cyanea capillata moriva lentamente, disidratato, dentro il carapace ormai inutile dello Spinal Key.

Atterrò il più delicatamente possibile, in un turbinare di sabbia. Sotto i suoi piedi aveva visto le Ziqqurat dei quartieri esterni farsi rade, sempre più rade, fino a scomparire del tutto. Si era inoltrata nel pieno deserto. Attorno a lei non c'era nulla, per centinaia di chilometri. Aveva consumato fino all'ultima goccia di idrogeno, e non aveva portato né viveri né acqua; sarebbe morta, ma da essere umano. Doveva solo scegliere la sua tomba.