Il primo numero di <i>Omega SF*</i>
Il primo numero di Omega SF*
Naturalmente la faccenda non si fermava qui: i cimeli di cui era proprietario De Grassi erano tali, tanti, e di tale estensione (lettere, volumi, dattiloscritti, tavole, prove d'autore, roba scritta a mano, prove di stampa, libri stampati e mai distribuiti, roba italiana, americana, mi pare anche di altre nazioni) che non ho più parole. In piedi, muovendoci molto lentamente, salendo e scendendo tra i vari ripiani, scavando prime e seconde file di volumi (ogni tanto Aurelio cacciava un urlo di vittoria: "Eccolo!" Aveva ritrovato il libro che credeva d'aver perso), studiando e confrontando copertine, varie edizioni, foto di autori, dediche, appunti, scarabocchi, messaggi, rotoli di artisti vari, e non so più neanche io dire cosa, riuscimmo a trascorrere senza mangiare e quasi senza bere qualcosa come nove o dieci ore. Roba che può apparire da pazzi. Boh, io penso che un po' pazzi eravamo davvero. Non so bene chi di noi due avesse contaminato l'altro. Mi pare di ricordare che a un certo punto Aurelio urlò alla moglie di fargli un caffè. La moglie a sua volta, da un'altra stanza, gli ri-urlò qualcosa. Ho davanti agli occhi una bibita rossa in un bicchiere a calice: doveva essere un liquido tipo aperitivo, anche se lo stomaco era già spalancato abbastanza, o forse no, quel profluvio e quella ricchezza di fantascienza in tutte le sue possibili espressioni personalmente mi aveva saziato per suo conto. Io in effetti non avvertivo stimoli della fame, anzi mi si erano attutiti tutti gli stimoli: volevo solo vedere, vedere, andare avanti. In verità, potevano essere le quattordici o le quindici, cominciai a sentire addosso una certa stanchezza, il desiderio di fare una sosta, magari anche di smetterla per quel giorno. Eppure qualche diavoletto mi spingeva a stringere i denti e proseguire nella folle investigazione. Aurelio a sua volta si accalorava nel prendere i volumi, aprirli, spiegarmi: a volte però non capivo se il tono della voce era alto perché antusiasta o perché incazzato, snervato. Oggi, a distanza di trent'anni, non riesco a rendermi conto del perché nessuno di noi due a un certo punto non abbia avuto la forza o il coraggio di fermarsi. Per poi magari ricominciare. Non so. So che la biblioteca babelica mi aveva letteralmente ubriacato, al punto che l'illuminazione nella stanza cambiò, e dovemmo accendere la luce elettrica. Ma il balletto tra libri e manoscritti e tavole continuò ancora. Non so se io lo seguivo per far piacere a lui, o lui proseguiva per un senso di ospitalità nei miei confronti; o perché la sua biblioteca doveva essere visionata tutta, in tutti i suoi interstizi e misteri, pena la condanna a morte. Chi dei due, alla fine, ebbe la forza di smetterla?

Non avevamo terminato di vedere "tutto", sia chiaro. Fu Aurelio. Il quale di botto, guardando l'orologio, si rese conto che erano le diciannove, e alle diciannove e trenta (disse con aria scarmigliata) aveva un appuntamento irrinunciabile con l'avvocato.

Di colpo, la scena cambiò. Alcuni volumi furono frettolosamente rimessi a posto, Aurelio corse a darsi una rinfrescata, io trovai il tempo di crollare cinque minuti su una sedia. Poi Aurelio si riaffacciò, fresco come una rosa, elegante e con un cappello in testa, mentre con un tono a metà tra lo scherzoso e il polemico mi disse che a causa mia quasi stava saltando l'appuntamento (vitale, sembrava che fosse) con il benedetto avvocato.

Finalmente fummo fuori. All'aria aperta.

Ci salutammo pochi passi più avanti. Ormai era sera inoltrata. Io mi accorgevo di barcollare un po', in verità.