Un uomo e una donna attraversavano il silenzioso bosco di neo-larici tenendosi per mano. La luce solare si faceva strada con facilità tra le fronde rade delle conifere geneticamente modificate. Si approssimava l'estate e la temperatura sfiorava oramai i venti gradi centigradi. Zaini in spalla, i due risalivano con calma e a passi cadenzati, quasi senza sforzo nella bassa gravità, l'ampio sentiero della montagna la cui imponente massa nascondeva a Miracoli, la metropoli in cui vivevano, la vista dell'oceano boreale.

Erano a circa metà percorso e gli alberi già cominciavano a essere soppiantati dagli arbusti d'alta quota, quando il cielo violetto si oscurò e un'indefinita e disagevole sensazione di freddo colse entrambi. Istintivamente alzarono lo sguardo. Nel suo eterno peregrinare intorno a Marte, il satellite Phobos, piccolo ma chiaramente visibile per la sua prossimità al pianeta, neanche diecimila chilometri, stava eclissando uno degli immensi specchi solari in orbita centoquindicimila chilometri più al di sopra. 

Alle loro spalle, la città si estendeva tentacolare e brulicante di attività, ben distinguibile in distanza anche alla sola pallida luce naturale del sole. Con i suoi trenta milioni di abitanti, in buona parte di origine italiana, la nazionalità più rappresentata, francese, iberica, balcanica e turca, era la più popolata dell'ampia regione colonizzata dall'Europa e la quarta del pianeta.

L'uomo e la donna si fermarono a riposare e contemplarono il panorama, ampliando la visuale con la funzione telescopica delle lenti a contatto computerizzate. Grattacieli anche di trecento piani svettavano spavaldi nelle loro linee fantasiose, mentre al centro quasi geometrico dell'agglomerato urbano s'innalzava un'ampia collina dal morbido declivio, alta circa seicento metri.

Nell'immensa acropoli, realizzata sul prato dell'altipiano artificialmente spianato in cima, spiccavano le copie esatte in scala 8:1 dei monumenti di Piazza o Prato dei miracoli di Pisa, del Colosseo, di Notre Dame de Paris e della Torre Eiffel, della Torre di Belém di Lisbona, della Alhambra di Granada, della Sagrada Familia di Barcellona, del palazzo Ducale veneziano, di Santa Sofia di Istanbul e infine dell'agrigentino Tempio della Concordia, note complessivamente come i miracoli.

Erano queste mirabili opere architettoniche, scelte attraverso un referendum a imperituro ricordo del genio umano, a dare il nome alla megalopoli. Si trattava di realizzazioni pacchiane, forse, nella loro smisuratezza resa fattibile dalla bassa gravità marziana e nel loro essere estrapolate dal contesto originario, ma gli immigrati vi erano affezionati.

Tutt'intorno a Miracoli si estendevano verdi pianure coltivate e fattorie ipertecnologiche, mentre ancora più oltre, verso est, ombre e riverberi rivelavano la presenza delle torri in vetro e materiali speciali di Mozart, città abitata soprattutto da nord europei. Infine, alcune centinaia di chilometri a sudovest della capitale regionale s'innalzava, a stento visibile in lontananza, la vetta circondata da nubi del Monte Olympus, a un tempo il più alto picco e il più vasto cono vulcanico del sistema solare.

– Valeva la pena di sfruttare la settimana programmata di bel tempo per uno spettacolo così, vero Giuliana? – Disse l'uomo quando la luminosità tornò ad accrescersi.

– Sì, è magnifico, però non capisco l'urgenza. Venirci domani cosa ci cambiava? Oggi eravamo invitati al rinfresco dei Giresse per festeggiare la promozione di Serge, il cognato della mia amica Luise. – Rispose la donna.

– Ma ci saranno almeno cinquecento invitati. Troppi! Non sopporterei una tale folla.

– Eventi sociali come questo non andrebbero ignorati, sono utili per le nostre carriere.

– Lo so, lo so, ma stamane mi sono svegliato coi nervi a fior di pelle e mi dovevo scaricare. Avevo bisogno di venire qui. Mi è bastato prendere la decisione di compiere l'ascensione per sentirmi meglio.  

– Scarpinando dalla fermata della linea super-veloce sotterranea.

– Sai come sono fatto, lo trovo molto più gratificante che noleggiare un rover elettrico.

– Te lo concedo, Fausto, camminare fa bene alla salute e finora non è stata la faticata che mi aspettavo, la gita è piacevole. Ora però una pausa me la prenderei volentieri. Restiamo un po' qui?

– Perché no? Abbiamo tutto il tempo che vogliamo. L'oceano può attendere.

– E poi possiamo sempre trovare immagini recenti. Aspetta che cerco qualche bella ripresa.

– No dai, vederlo di persona è tutt'altra cosa.

– Usare la funzione web-panoramica delle lenti a contatto è esattamente uguale.

– Scollegati dalla rete, per favore, quassù adesso ci siamo solo noi e mi piace l'idea di essere isolati dal mondo, almeno per un po'.

– Come vuoi tu, caro.

– Ti amo come il primo giorno, Giuli, lo sai, vero? – aggiunse allora Fausto, stringendola con passione a sé con le sue lunghe braccia, sproporzionate persino rispetto ai centonovanta centimetri di statura. La compagna, piccola e paffutella, quasi ci scompariva dentro.

Poco dopo si accomodarono su una roccia talmente piatta da sembrare un sedile. Un movimento a sinistra attirò la loro l'attenzione. La coppietta si voltò giusto in tempo per scorgere uno scoiattolo rosso ricambiare un istante lo sguardo per poi infilarsi fulmineo nel sottobosco. I due sorrisero divertiti, quindi Giuliana estrasse dalla borsetta refrigerante una bolla d'acqua e la infilò in bocca. A contatto con la saliva, in pochi secondi la pellicola esterna si sciolse e il liquido le scese giù per la gola.

– Ah, ci voleva. Sto davvero bene, sai? Peccato solo che… se almeno ci concedessero il permesso di procreare. Dopotutto ho quarant'anni e aspettiamo l'autorizzazione da tre anni marziani. Nel computo terrestre sono quasi sei, ti rendi conto?

– Cosa ne riparliamo a fare, conosci le regole.

Giuliana sbuffò platealmente e fece il broncio come una ragazzina, con quella sua espressione da marmotta che Fausto tanto adorava.

– Sì, sì, uffa, sono stufa di attendere, ecco. – Brontolò poi, a metà tra il serio e il faceto.

– Certo, sei anni non sono pochi, eppure possiamo attendere per altri cento. Non siamo più costretti dai limiti fisiologici del passato, noi vivremo in buona salute almeno per i prossimi duecento anni. Tu sei ancora molto giovane. E bellissima.

– Secoli da trascorrere senza figli? Vivere a Miracoli insieme a te è dolce e piacevole e il mio lavoro è appagante, ma non mi basta più. Sento il bisogno di un bambino da accudire e coccolare ora.

– Hai ragione amore, però non ci pensare proprio adesso. Non guastiamoci questo momento.

                                                             ***

Nell'enorme e quadrata Piazza Roma, centro nevralgico di Miracoli, l'attività era frenetica.

Gente percorreva rapida i portici delle quattro torri gemelle che la delimitavano.

Gente si lasciava trasportare dalle strade mobili centrali a doppia velocità, sparendo rapidamente lungo i due corsi che incrociavano la piazza in diagonale.

Gente si soffermava a studiare le vetrine real-virtuali dei negozi per poi digitare e pagare le proprie ordinazioni, destinate a giungere a domicilio in capo a un'ora.

Gente entrava e usciva dai vari portoni che conducevano sia agli uffici sia ai luoghi di divertimento.

Gente, gente ovunque. Sempre indaffarata.

In particolare in ciascuno dei quattro grattacieli non abitativi si svolgeva qualcuna delle operazioni che permettevano alla macchina burocratica locale di far funzionare lo Stato. I circa duecentocinquanta milioni di esseri umani residenti in quello spicchio di pianeta dipendevano da essa.

All'intento degli uffici amministrativi ubicati all'ultimo piano della torre governativa settentrionale, l'asciutto supervisore generale Marzio Rotella, laureato in giurisprudenza e in scienza delle comunicazioni, svolgeva con largo anticipo le abituali operazioni di chiusura della giornata.

Quel giorno lui e la moglie avevano in programma un doveroso atto di presenza al rinfresco della famiglia Giresse. Avrebbero quindi cenato in uno dei migliori ristoranti della città e assistito infine a uno spettacolo teatrale, recitato dal vivo da attori autentici, così come esigeva la tradizione. Si trattava di un'antica commedia italiana, interpretata da una prestigiosa compagnia appena giunta in tournée dalla Terra. Il supervisore lavorava sempre troppo, perché aveva la tendenza a sentirsi insostituibile, e per una volta voleva concedersi un po' di relax, dedicandosi a se stesso e alle proprie passioni.

D'altronde, se i dodici governatori planetari cambiavano ogni qualche anno, lui restava sempre al suo posto, inamovibile. Grazie all'incarico ricevuto direttamente dal segretario generale dell'ONU a New York, il dottor Rotella aveva piena coscienza di essere fondamentale al funzionamento del sistema come nessun altro sul pianeta, a parte magari il collega residente nell'emisfero australe. A novantatré anni d'età terrestre si trovava nel pieno fulgore fisico e aveva ancora tanto da dare a quella che considerava ormai la sua gente. Come amava ripetere nei rari discorsi ufficiali:

– Dopo aver trascorso su Marte due terzi della mia esistenza mi sento indissolubilmente legato a voi tutti. Per il bene della comunità sarei disposto a qualunque sacrificio.

Nella Torre Nord, tutti sapevano che lavorava per loro fin da prima che fosse completata la principale fase di terraformazione, quando ancora l'aria non era del tutto respirabile e i coloni risiedevano all'interno delle dodici originarie cupole isolanti trasparenti e stavano aprendo la strada alla grande massa destinata a giungere in varie ondate successive.

Sulla superficie planetaria posta sotto il suo controllo tutto procedeva tranquillo. Erano le sedici in punto. Inoltrata un'ultima informativa al collega di Mars Delhi, la megalopoli più popolosa dell'ex pianeta rosso, si sentì libero di tornarsene a casa.

Volse quindi un rapido sguardo al di là della vetrata. Il cielo, sgombro da nubi, era dominato dalla mastodontica versione locale della torre Eiffel. Irritato, pensò per l'ennesima volta all'errore commesso nel realizzarla in scala solo un po' inferiore, rispetto agli altri capolavori dell'arte europea. Lunedì mattina, decise, appena entrato in ufficio avrebbe regolato il finestrone panoramico real-virtuale in modo che la facesse sembrare più bassa. Infine mise in funzione le attività routinarie del computer centrale e uscì.

Se si fossero verificate emergenze sarebbe stato subito avvisato. Rotella si piccava di essere reperibile ventiquattrore su ventiquattro – ore marziane, circa un minuto e mezzo più lunghe di quelle terrestri – e si organizzava in modo da poter raggiungere una delle postazioni di sorveglianza entro dodici minuti dall'allarme. Ne aveva installato una pure nella cantina di casa. Prese l'ascensore rapido e si trasferì un chilometro più in basso, all'ingresso della sua fermata privata dei treni sotterranei a getto d'aria.

***

Dopo un ultimo tratto di comoda arrampicata, Fausto e Giuliana raggiunsero la vetta, a tremilacinquecento metri di quota. Era di gran lunga il punto più elevato del modesto massiccio e sovrastava i cucuzzoli circostanti di circa un chilometro. Certo non era come trovarsi sul Monte Olympus, da dove pareva di abbracciare l'infinito, tuttavia anche da lassù la vista spaziava parecchio, seppur nei limiti del ristretto orizzonte.

Osservarono assorti l'oceano boreale che si estendeva sconfinato a nord, a partire da una ventina di chilometri di distanza, e il maestoso fiume Letimbro che vi sfociava a occidente, in un ampio estuario immerso nel verde. Subito oltre quest'ultimo si riconosceva Superba, sbocco portuale di Miracoli abitato da tre milioni e mezzo di persone.

Solo pochi decenni prima quella era una morta e polverosa landa grigio rossastra, mentre ora le acque, recuperate soprattutto dai ghiacci degli anelli di Saturno e che occupavano oltre il cinquanta percento della superficie planetaria, offrivano vita e prosperità.

Era il ventiquattresimo secolo e l'umanità dilagava nell'intero sistema solare. Marte era già stato adattato alle necessità umane e altri progetti altrettanto ambiziosi erano in via di realizzazione.

Fausto guardò l'ora. Le quattro erano scoccate da pochi minuti, c'era ancora tempo. Prese a gironzolare nei dintorni, soffermandosi infine ad ammirare un magnifico olivo solitario, basso ma dall'enorme circonferenza, le cui radici parevano affondare direttamente nella roccia. Era sorpreso di trovarne uno così ad alta quota. Si avvicinò e ne accarezzò il tronco. Si aggirava sui quattro – cinque metri di diametro. Doveva essere ultracentenario, pensò con piacere.

E appena il dato gli si impresse nella mente ne colse l'inverosimiglianza. Su Marte non esistevano olivi plurisecolari. La precedenza era stata assegnata ad altri alberi da frutto. I primi ulivi marziani risalivano a neanche cinquanta anni prima e per motivi sia logistici sia scientifici erano stati tutti seminati oppure trasportati e piantati quando erano ancora virgulti.

Quell'esemplare non avrebbe dovuto trovarsi lì.

Perplesso, l'osservò con attenzione. Pareva davvero vecchio, il tronco era perfino cavo. Si sporse, col batticuore, a guardar dentro il buco e sul fondo vi scorse un inconfondibile intrico rotondeggiante di erbe e rametti secchi, su cui erano poste quattro uova. Un uccello vi aveva costruito il nido.

Eppure uno dei principali sacrifici sofferti emigrando su Marte era stato il dover rinunciare agli uccelli. La struttura ossea e l'apparato muscolare di tali animali, nati per affrontare la gravità terrestre, erano inadatti all'ambiente marziano. Erano allo studio versioni geneticamente modificate, ma non erano ancora state introdotte nell'ambiente. Fausto lo sapeva con certezza assoluta, perché era un bio-ingegnere ed era proprio il suo studio a occuparsi di una parte del problema: l'aerodinamica della coda. Stava dunque osservando un evento impossibile.

L'uomo scosse la testa. Non era davvero sorpreso della scoperta. Da tempo intuiva che qualcosa non quadrava e cercava risposte ai propri dubbi. L'incongruenza rappresentata dalla massiccia oleacea gli parve una chiara risposta. L'albero e il suo contenuto non erano autentici. Si guardò intorno. Cos'altro di quanto vedeva era falso? In preda a una furia incontenibile, raccolse un sasso acuminato e cominciò a colpire il tronco. Pezzi di corteccia si staccarono a caddero sul terreno, in maniera perfettamente naturale e realistica. Perché un così accurato raggiro? Non riusciva a capirlo, gli pareva privo di senso.

Non se la sentiva di tenere la scoperta per sé. L'avrebbe condivisa, stabilì, con il maggior numero possibile di cittadini, poi tutti insieme avrebbero preteso delle spiegazioni. Il problema era a chi chiederle. Chi o cosa era responsabile di tutto ciò?

Al termine delle sue elucubrazioni sfruttò le lenti a contatto multiuso per scattare alcune foto, quindi fece dietro front e iniziò precipitosamente la discesa, seguito dalla moglie, che gli arrancava dietro senza ancora capire il motivo di tale urgenza. Nel frattempo tornò a connettersi. Era deciso ad attirare l'attenzione delle autorità. Grazie alle innumerevoli conoscenze di cui godeva, non gli sarebbe risultato arduo riunire una folla alla stazione a piè del monte.

Avrebbe scatenato un bel casino, promise solennemente a sé stesso.

                                                             ***

Nel principale teatro di Miracoli il pubblico ascoltava la recita nella penombra della sala gremita.

-        Oh! Ma scusate… E siete proprio sicuri che ci sia?

-        Come? Ma Dio mio, Lamberto!

-        Vorresti ora anche metterne in dubbio l'esistenza?

-        Eh, ma chi ve lo dice? Chi ve l'assicura?

-        Ma se c'è la signora che la vede e le parla ogni giorno?

-        E l'asserzione di lui, anche!

-        Sì, sì, non dico!… Ma scusate – se ci pensate bene: – ha ragione la signora Froda? E allora chi c'è là, per lui? Il fantasma di una seconda moglie. O ha ragione lui, il Signor Ponza…

Il supervisore generale seguiva concentrato l'antica commedia pirandelliana, quando il chip d'allarme impiantato nella sua testa si attivò, dirottandone l'attenzione.

Cosa diavolo starà succedendo proprio adesso? Si domandò irritato, mentre già si connetteva alla rete parallela della sicurezza. Un attimo dopo i primi dati iniziarono ad affluire, al che Rotella si alzò bruscamente in piedi e imprecò in silenzio, si scusò in fretta con la moglie e s'avviò nel buio verso l'uscita. Giunto all'esterno entrò in comunicazione diretta col suo nuovo primo assistente, Serge Giresse. La faccenda doveva essere seria, se questi aveva interrotto la propria festa per occuparsi della questione di persona.

– Spiegami tutto a voce, Serge, lo preferisco.

– È presto detto, capo, contestazioni alla stazione e sulle pendici del Monte Celeste e anche nel quartiere Pontelungo della capitale regionale, con atti di vandalismo.

– E sai cos'ha scatenato questi eccessi?

– Un difetto nel programma, a quanto pare. La reiterazione di una precedente ricostruzione erronea e perciò eliminata. Per motivi ancora ignoti la vetta del Celeste causa di continuo problemi. Per fortuna siamo riusciti a cancellare le immagini che la ritraevano prima che diventassero virali, altrimenti forse sarebbe nel caos l'intera popolazione planetaria.

– Si sa già chi ne è responsabile?

– Sì, la fonte è un bio-ingegnere di primo grado di Manutenzione e sviluppo, Fausto Massa. –

– Ah, certo, me lo ricordo bene, un dannato piantagrane. Va bene, rimetti mano al sistema e sterilizza tutto, stavolta di lui me ne occuperò di persona.

                                                             ***

Fausto Massa si sentiva oppresso e confuso. Cercò di muoversi, ma con crescente agitazione costatò di non poterlo fare, come se non avesse più corpo. La sua mente corse freneticamente in mille diverse direzioni, sull'orlo della follia, poi cominciò a recuperare la lucidità.

Ritrovato infine l'autocontrollo, Fausto analizzò la situazione. Doveva essere prigioniero da qualche parte, col sistema nervoso bloccato. Le sue smanie non erano passate inosservate.

In quel momento il suo campo visivo era ridotto a un anonimo soffitto poco illuminato. Poi sul bordo di esso apparve un volto familiare. Gli occorse qualche istante per capire di chi si trattava. Apparteneva al supervisore generale Rotella, visto in qualche notiziario della rete. Appariva molto più anziano e stanco di come se lo ricordava.

Era quello il suo aspetto reale, ne era sicuro. Stava osservando il Marzio Rotella in carne e ossa, non un simulacro, un avatar.

– Ti ho collegato vista, voce e udito in modo da poterti spiegare, te lo meriti. – Disse quest'ultimo, con tono sommesso.

– Chi è lei? Chi è veramente, intendo. – Chiese allora Fausto.

Udiva la propria voce come se provenisse da un qualche luogo esterno e gli pareva totalmente priva d'intonazione. Era una strana sensazione, che lo faceva sentire ancora più spaventato. D'istinto tentò di portare una mano al volto, ma non aveva nulla da muovere e la sua angoscia si accrebbe.

– Qualcuno deve assicurarsi che il sistema funzioni secondo i parametri previsti. Quel qualcuno sono io. – rispose intanto Rotella.

Fausto avrebbe voluto urlare a squarciagola, invece si fece forza e continuò a porre domande.

– Noi crediamo di vivere su Marte, invece non è così. No, non lo neghi per favore, ormai non serve più. È evidente che siamo prigionieri e non certo sul pianeta rosso. Allora dove ci troviamo veramente? Non abbiamo mai lasciato la Terra, vero?

Il dottor Rotella spostò lo sguardo altrove, poi lo riportò su di lui e sospirò, affranto.

– Non esattamente – spiegò – quindi sulla Terra mancava lo spazio per ospitarvi. Ci troviamo sulla Luna. Miliardi di capsule criogeniche in cui sono conservati i vostri corpi, in caverne scavate sotto l'intera superficie del satellite.

– Miliardi.

– Tre, per l'esattezza. Tre miliardi tondi per altrettante persone, quante ne risultano vivere sul pianeta, cioè quante in base ai nostri calcoli potrebbero essere effettivamente ospitate sulla superficie marziana con ogni comfort una volta completato il terraforming marziano.

– E Marte? Nulla di ciò che credevo di conoscere è reale, vero? Il pianeta è ancora morto.

– Beh, Fausto, posso chiamarti per nome, vero? Mi spiace che tu abbia scoperto la verità, non sarebbe dovuto accadere. –

– Dunque è proprio tutta una finzione, non mi ero sbagliato. Ancora non riesco a crederci, cazzo.  Ma perché? Perché un inganno così crudele?

– Vedi, noi uomini dei cosiddetti paesi evoluti abbiamo inquinato e deforestato la Terra, mutando e surriscaldando il clima. Abbiamo riempito atmosfera, acque e terreno di veleni e causato uragani, alluvioni, siccità, carestie, pandemie ed estinzioni di massa e intanto folle sempre più enormi ambivano a un maggior sviluppo economico, peggiorando ulteriormente le cose. Parlo di miliardi di essere umani, provenienti da quei paesi sovraffollati che un tempo venivano definiti terzo mondo, come Cina, India, Brasile o Indonesia. Costoro pretendevano giustamente anche per sé gli agi della società del benessere, con il risultato, però, di consumare le risorse a ritmo sempre più sostenuto… –

– Certo, conosco la storia, ma sono problemi risolti, ormai.

– No, purtroppo. Solo negli ultimi tempi la situazione ha cominciato a migliorare. Non sto parlando del passato remoto. Sebbene l'indice di natalità negli anni fosse decresciuto, stabilizzando la popolazione intorno agli undici miliardi di abitanti, quantità ai limiti ma ancora sostenibile, vivere sulla Terra non è affatto piacevole, te l'assicuro, perché l'Homo sapiens non è mai stato saggio e ha continuato imperterrito a sfruttare e devastare il pianeta e a causare conflitti, morti e distruzioni. Oggi circa dodici milioni di chilometri quadrati di superficie terrestre sono inabitabili o quasi per la radioattività causata da guerre nucleari locali. Altrettanti si sono talmente inariditi da risultare incoltivabili, altri ancora si sono trasformati addirittura in nuovi Sahara e, nonostante l'impegno e lo sviluppo delle biotecnologie, occorreranno quanto meno decenni per ricostruire l'ambiente, il cui equilibrio ecologico è spezzato. Per fortuna grazie all'ulteriore riduzione della popolazione ottenuta con l'operazione marziana e a un rigoroso controllo delle nascite oggi sono rimasti solo sei miliardi di abitanti e si riesce a sopravvivere.

– Ma non potevate spedirci sul serio su Marte, invece di inscatolarci qui? Io sarei stato ben disposto ad affrontare l'avventura, cosa crede.

– Lo so, Fausto. Voialtri marziani siete stati selezionati in seguito a una ricerca internazionale. Siete i più ricettivi al cambiamento.

– E avreste costruito questo folle ambaradan a nostro esclusivo uso e consumo? È assurdo.

– Infatti non si è trattato di un autentico inganno. Il destino dell'umanità è la conquista dello spazio e il primo passo sarà proprio la terraformazione di Marte. Perché il progetto è davvero in via di realizzazione, solo che con le tecnologie e i mezzi economici attualmente disponibili occorreranno secoli per completarlo. Vedi, noi non ci troviamo nell'anno 2392 come credi, ma nel 2092 e nel frattempo cos'altro potevamo fare? Sterminare la popolazione in eccesso? Vi abbiamo selezionato e rallentato col vostro consenso il metabolismo al fine di ridurre al minimo i consumi energetici e collegare i cervelli a macchinari per creare questa illusione.

– Ma non con il consenso mio. – Lo interruppe Fausto, amareggiato.

– Sì invece, solo che ora non lo ricordi perché abbiamo alterato la memoria tua come quella di chiunque altro. Ciò era necessario per mantenere le menti attive, altrimenti non si sarebbero più riprese e alla lunga tutti voi sareste stati ridotti per sempre a vegetali, ma pochi, conoscendo la verità, avrebbero mantenuto intatto per così tanto tempo l'equilibrio psichico.

Fausto restò a lungo assorto in meditazione. Rotella decise di non disturbarne i pensieri e se ne stette a sua volta zitto, in attesa. Infine il bio-ingegnere tornò a parlare:

– Ora cosa ne sarà di me?

– Niente di male, spero. La tua vita riprenderà come prima e così quella di tutti coloro che a causa tua abbiamo dovuto disconnettere.

– E io non ricorderò nulla di quanto è accaduto, immagino. Nessuno ricorderà nulla.

– Per gli altri sarà così, tu invece ricorderai, se vorrai. Abbiamo già provato a cancellarti i ricordi, ma non è servito. Tu non puoi saperlo, ma questa è la terza volta che scopri l'inganno. Quando resettiamo, evidentemente ti resta qualcosa nel subconscio che ti spinge a porti le stesse domande e a intraprendere ricerche analoghe.

– In effetti sentivo da tempo che qualcosa non quadrava ma non capivo cosa e quando ho visto la cavità ho compreso tutto in un sol colpo, proprio come se lo avessi sempre saputo. Non ero neanche giunto lì per caso, chissà come percepivo la criticità del luogo.

– Non possiamo permettere che accada ancora e ogni volta tu ponga decine di migliaia di persone di fronte alla realtà, perché se dovesse ripetersi, l'unica alternativa sarebbe escluderti dal programma e rispedirti sulla Terra. È già accaduto, in passato, ti assicuro però che nessuno ne è rimasto contento. Là la vita è dura. Io spero invece che tu ti convinca della necessità di tutto ciò e mantenga il segreto. Confido che la tua psiche sia sufficientemente coriacea per reggere la pressione. E un giorno ciò che sognavate sarà reale. È solo una questione di tempo, te lo giuro. –

– Nel frattempo però noi non abbiamo scopo.

– Tutto il contrario, ad esempio le tue ricerche sull'aerodinamica torneranno utili davvero, quando costruiremo la biologia marziana.

Lo pseudo colono restò in silenzio per un altro po'.

– E mia moglie? – sbottò infine – lo sa quanto intensamente desidera un bambino? Come potrei far finta di nulla pur sapendo che non ne avrà mai uno? Sarebbe un pupazzo, cazzo, come quei pochi bambini che nascono… eppure… sembrano crescere… ma come?

– Ti sento perplesso, forse cominci a capire. I bambini sono veri. Ti ho detto prima che la Terra è soggetta a un draconiano controllo delle nascite. Talvolta qualcuno riesce a violare le regole e a farla franca, prima o poi però la verità viene a galla, è inevitabile: non si può tener nascosta a lungo la presenza di un neonato non programmato. Quei bambini allora vengono sottratti ai genitori.

– Cosa? E vi pare etico?

– È necessario. D'altronde qui accadono guasti o incidenti e ogni tanto qualcuno muore. Appena ciò accade i piccoli rimpiazzano le perdite. Dapprima i loro corpi sono tenuti in sospensione, poi sono fatti crescere in speciali incubatrici e il loro aspetto reale viene riprodotto nella realtà virtuale. Nel contempo le loro menti vengono collegate al sistema.

– Dunque solo per questo otteniamo il permesso di procreare? Per introdurre qualcuno di loro?

– Ti pare così terribile? Dopotutto per loro voi sarete davvero dei genitori. Grazie anche alle vostre cure, la loro mente si svilupperà al medesimo ritmo sia dell'organismo reale sia di quello virtuale, è stato organizzato accuratamente affinché ciò sia possibile. Tra coloro che fanno richiesta di riprodursi scegliamo quelli ereditariamente più adatti e apportiamo perfino alcune mutazioni genetiche nei bambini, per rafforzare la somiglianza coi genitori adottivi, in attesa che possano vivere davvero insieme su Marte. Lo riteniamo un compromesso accettabile. Quando i piccoli vengono ufficialmente consegnati, dopo l'illusione della gestazione e del parto e un più o meno lungo periodo di apparente ricovero nelle nursery marziane, è come ricevere davvero il proprio figlio. E un giorno verrà anche il vostro turno, te lo prometto. Allora, Fausto, sei disposto a mantenere il segreto?

– Io… forse… non lo so.

– Non sei costretto a decidere subito, ti posso concedere un poco di tempo, mentre i tecnici lavorano per rimettere in funzione il sistema. Se poi decidessi di mantenere intatti i ricordi, potresti diventare un controllore alle mie dirette dipendenze. Periodicamente il tuo organismo verrebbe rivitalizzato, così potresti perfino recarti in licenza sulla Terra, se lo volessi, ma non ne varrebbe la pena, credimi. Ormai non c'è più nulla per noi laggiù, il nostro futuro è su Marte.

– E quanto tempo dovrà passare ancora prima di…?

– Circa tre secoli, ma all'interno dell'illusione sembreranno trascorrerne molti meno. –

                                                             ***

Fausto e Giuliana attraversavano il bosco di neo-larici tenendosi per mano. La luce solare si faceva strada con facilità tre le fronde rade delle conifere geneticamente modificate. Si approssimava l'estate e quel giorno la temperatura toccava i venti gradi. Zaini in spalla, i due risalivano con calma e a passi cadenzati lo sterrato semi roccioso della montagna.

Giuliana era entrata nel quarto mese di gravidanza e sprizzava buon umore da ogni poro.

– Ti senti stanca? – Chiese tuttavia lui, timoroso.

– Sto benissimo, non ti preoccupare – rispose lei, raggiante – l'anno scorso c'eravamo fermati in questo punto, ricordi? Facciamo una sosta pure oggi?

– Volentieri cara.

– All'epoca cercavo di non fartelo pesare troppo, ma mi sentivo triste. – disse poi Giuliana, contemplando la metropoli lontana – temevo di non veder mai realizzato il mio desiderio di maternità. Oggi invece sono così felice. Un giorno torneremo qui tutti e tre insieme. Nostro figlio guarderà con noi il panorama e s'innamorerà anche lui di questa nostra terra marziana, vero amore?

– Sì, sono sicuro che sarà così. – Rispose Fausto, abbracciandola.

Un quarto d'ora dopo ripresero la salita. Volevano riveder l'oceano. Giunti sulla vetta si fermarono ad ammirare il paesaggio di fianco a un'enorme e solitario neo-rododendro arboreo. Quell'albero doveva essere ultracentenario.