Il Primo Maestro della Casa Rossa per le Arti della Massima Difesa sbirciò l’elenco su cui il Secondo Maestro aveva spuntato diligentemente i nomi dei candidati. L’aiutante era arrivato all’ultimo e intinse ancora una volta il bastoncino nella boccetta di crusca liquida. Era un bastoncino con la punta bene affilata, perché il Secondo Maestro ci teneva ad avere una scrittura elegante.
Il Primo Maestro sospirò, mentre la riga d’inchiostro brunito barrava l’ultimo nome. Il bando era stato diramato nel modo più ampio possibile in tutta la parte colonizzata di Pianeta. Numerosi ragazzi della Difesa Giovanile erano stati reclutati per girare di villaggio in villaggio informando le Madri e annunciando la selezione che si sarebbe tenuta presso la nuova scuola. Avevano visitato tutti i villaggi a est del Villaggio Grande, tutti quelli a ovest e quelli a sud. A nord non occorreva andare, perché c’erano solo foreste e deserti. Per molti giorni i messaggeri avevano diffuso le informazioni necessarie e raccolto coscienziosamente i nomi degli aspiranti.
– Nessun altro? – domandò l’anziano, benché la cosa fosse evidente.
Il Secondo era giovane, e tradiva l’impazienza di concludere il lavoro. Scorse rapidamente i fogli in fibra vegetale su cui era vergata la lista.
– Qualcuno non si è presentato. Ma erano nell’elenco del mattino. Ormai è tardi.
Se ne stavano tutt’e due inginocchiati davanti ai loro banchetti da scrittura, mentre le ombre della sera invadevano la Stanza delle Prime Parole. Il Primo Maestro indossava una semplice tunica nera su cui risaltavano barba e capelli candidi. Il Secondo Maestro aveva le guance ben rasate, come si usava fra i maschi giovani, e vestiva con più ricercatezza. La casacca nera, indossata sopra morbidi pantaloni, era fregiata da arabeschi color porpora.
Il maestro anziano non era soddisfatto. Non perché gli aspiranti fossero pochi. Se n’era presentato un buon numero, ma i più erano stati scartati perché non idonei. I migliori erano quelli che avevano già frequentato altre scuole similari, principalmente la scuola della Difesa Giovanile, però questo elemento violava la più tassativa delle regole. Lui stesso, il Primo Maestro, aveva stabilito che l’assenza di un un’esperienza precedente fosse il requisito fondamentale.
– Troppo tardi, dici? – borbottò a malincuore, stentando a rassegnarsi.
– Maestro, ne abbiamo selezionato undici. Non è un numero sufficiente?
Il Primo Maestro rispose con una smorfia ironica.
– Se durassero sì. Se durassero. Ho una certa esperienza di scuole. – Era vecchio per età, ma aveva anche quell’anzianità dell’esperienza che rende prezioso il giudizio di un maestro. – È già tanto se non si dimezzano nei primi dieci giorni.
Il Primo Maestro aveva insegnato per molti anni nelle migliori scuole, coltivando le arti della difesa e tutte le possibili tecniche adatte a controllare la mente e il corpo. Negli ultimi tempi si era concesso un parziale riposo ritirandosi in un villaggio dove gli piaceva condurre brevi corsi per i figli dei coloni impegnati nella campagna. Avrebbe finito così i suoi giorni, se una lettera non l’avesse chiamato all’urgenza di una missione inderogabile. Il Secondo Maestro era stato suo allievo in passato e il vecchio, ritenendo che il suo zelo potesse compensare alcuni suoi difetti, se l’era preso come aiuto.
Il sole era prossimo al tramonto, ma il vecchio maestro non accennava ad alzarsi.
– Accendo il lume? – lo sollecitò il Secondo. – Preparo il pasto?
Il Primo Maestro stava per acconsentire, quando gli cadde l’occhio sul vano della porta, e sul volto rugoso si allargò un sorriso.
Un visetto minuto si stava affacciando dallo stipite, con un’espressine che pareva incerta o incredula. Poi l’esile figura varcò la soglia.
– E tu chi sei?
Indossava un paio di pantaloni neri, larghi, e una corta casacca bianca. La divisa preferita degli studenti di campagna, che alternavano i libri agli attrezzi da lavoro.
– Sono venuta per l’esame – rispose la ragazzina con voce squillante. Sì, era una femmina, benché la cosa non fosse così evidente al primo sguardo. I capelli neri erano dritti come spaghi, il corpo piatto come un foglio da scrittura.
– Come ti chiami? – domandò il Secondo, accigliato. Quel fuori programma rischiava di allungare i tempi della cena.
– Lili 333.– Lo sguardo balenava, vivace, negli occhi dal taglio a mandorla appena accennato.
– Sei fra gli iscritti? – domandò gentilmente l’anziano.
La ragazza sembrava più giovane dell’età prescritta. Il Secondo scorreva gli elenchi, sempre più nervoso.
– Non c’è. Qui non c’è nessuna Lili. Ragazzina, hai sbagliato posto.
Il Primo Maestro, al contrario, aveva un’espressione divertita.
– Da dove vieni?
– Sono nata nel villaggio Luce dell’Alba. – Raddrizzò leggermente le spalle. – Mia madre è la Madre del Villaggio.
– Me ne compiaccio – ridacchiò il vecchio. – Però non credo che questo sia posto per te.
– Non è affatto in lista! – ribadì il Secondo.
– Guardate meglio – replicò la ragazzina, improvvisamente sfrontata.
Il Maestro trattenne con un gesto l’assistente che stava per entrare in aperto conflitto, e si rivolse a lei con pazienza.
– Credo che tu non abbia l’età, cara.
– Non è vero. Ho già passato sessanta Cicli di Luna. Più di sedici anni terrestri!
Il Secondo scoppiò a ridere senza ritegno. Il Maestro inarcò le sopracciglia.
– Sei una Ragazza Calendario?
Lili arrossì vistosamente.
– No! Cioè… Prima sì, ora non più.
– Ancora queste superstizioni – sbuffò il Secondo con un’occhiata sprezzante. – Qui non si usano certi riti primitivi. E non esistono lune.
Ora Lili teneva la testa bassa esibendo un’espressione mortificata, ma questo non le impediva di guardare da sotto in su facendo saettare gli occhi fra i due maestri.
– Il tuo nome non c’è – disse il Primo Maestro. – Come lo spieghi?
– Deve essere un errore – rispose lei con determinazione.
– Per sostenere il colloquio bisogna aver compiuto dodici anni planetari – sentenziò il Secondo Maestro, ravviandosi con la mano i capelli, che in realtà erano già belli impomatati e tesi, e raccolti in una crocchia dietro la nuca.
Il Primo Maestro gli fece cenno di lasciar perdere.
– Corrisponde a quello che ha detto – precisò sottovoce.
Si rivolse nuovamente a lei.
– Che cosa cerchi qui? Che cosa credi di poter fare?
– Voglio apprendere le Arti della Massima Difesa.
Il Secondo sghignazzò. La ragazza lo guardò severamente.
– E applicarle quando sarà necessario – aggiunse.
Il vecchio si era alzato in piedi. I suoi capelli bianchi erano raccolti con minor cura di quelli del suo assistente, ma la barba lunga e sottile si stringeva sotto il mento in un nodo complicato. Un raro capriccio di certi anziani che si ritenevano autorevoli. Cominciò a girarle attorno, mentre lei accentuava la sua postura rigida e impettita.
Guardava davanti a sé ignorando i movimenti del Maestro, ma quando lui le sferrò un attacco improvviso, fingendo di colpirla con il dorso della mano, non riuscì a coglierla impreparata. Lili schizzò indietro, fronteggiandolo e parandosi con le braccia tese, i palmi in avanti.
– Ehi, ehi! – strillò l’assistente, con gli occhi sgranati.
Il Primo Maestro la scrutò con attenzione.
– Chi ti ha insegnato questa mossa?
– Nessuno. È stato lo spavento.
L’anziano storse la bocca.
– C’era della tecnica nel tuo spavento. Chi ti ha insegnato?
Lei non rispose. Il Maestro continuò.
– Lo sai che il primo requisito è la verginità?
Lili si inalberò.
– Credete che io perda il mio tempo a trafficare con gli uomini?
Questa volta nemmeno il Primo Maestro riuscì a trattenere il riso. Da dove veniva la piccola balorda, con quello strano modo di esprimersi?
Il Secondo Maestro stava accennando un commento, quando l’anziano lo fermò.
– Intendevo dire che non vogliamo studenti che abbiano già frequentato altre scuole.
Lili spalancò gli occhi.
– Non dovrei nemmeno saper leggere?
Questa volta fu solo il Secondo a ridere.
– Questo non c’entra – spiegò il Primo Maestro. – Non parlavo delle scuole dei villaggi. Mi riferivo ai corsi d’addestramento specifici.
– Non ho fatto nessun corso – affermò lei decisa ora che aveva capito. – Non avrei potuto. L’anno scorso non avevo ancora l’età.
– Eppure qualcuno ti ha insegnato. Non mentire, perché qui non sono ammessi i bugiardi.
La ragazza assunse un’espressione contrita.
– L’ho visto fare a mia sorella, Lili 332. Ha un anno più di me. Non so dove l’abbia imparato. A me non ha mai detto niente.
Il Secondo sbuffò.
– Maestro, ti sembra il caso di perdere tempo con questa stupidella?
L’altro non parve udirlo. Si rivolse di nuovo a Lili.
– Sei brava a correre?
Lei rispose con il broncio.
– Sarebbe un modo per dirmi che devo scappare via da qui?
– No, cos’hai capito! Domando se sei veloce nella corsa.
Il viso le si illuminò.
– Sì, la più veloce! Ero la più veloce della…
Si bloccò, mordendosi il labbro.
– Della…?
– Della mia età. Di tutto il gruppo di ragazzi della mia età, al villaggio. E anche di quelli più grandi, a volte.
– Bene. Vieni un momento qui fuori.
Il Primo Maestro ignorò lo sguardo di disappunto dell’assistente e accompagnò Lili fino all’uscita. Lei lo seguì con diffidenza. Nell’aria fresca della sera si poteva avvertire il profumo dell’erba levarsi dal grande prato che circondava l’edificio. Un torrente che scorreva dietro la casa faceva udire lo sciacquio leggero della corrente.
– Ora guarda. – Il vecchio indicò con il dito. – Se tu corri in questa direzione puoi fare tutto il giro della Casa Rossa e tornare dall’altra parte. Io misurerò il tempo con questa clessidra.
Si sfilò lo strumento che portava appeso al collo e lo appoggiò sul parapetto accanto all’uscio.
– Quando devo partire?
– Ora.
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