Extrema Ratio

Memorandum interno X27G98

RE: Evento Cafrissa – Considerazioni preliminari

[…] A seguito della sparizione della popolazione della cittadina di Cafrissa nella notte tra il 21 e il 22 dicembre 2021 (da ora in avanti: “l’Evento”), l’Ufficio ha reclutato Antonio Mana, un agente di polizia esterno a Extrema Ratio. Mana ha raccolto indizi autonomamente e seguito l’unica persona rimasta a Cafrissa dopo l’Evento, Lorenzo Bastiani. Bastiani è stato poi apparentemente rapito da Elisabetta Vincenti, detta Sanya, esponente di spicco del gruppo degli Invisibili, la stessa formazione che ha rivendicato l’Evento come atto rivoluzionario, prodromo di un fantomatico nuovo ordine sociale. Bastiani è risultato chiaramente estraneo alla macchinazione, vittima di una tecnica mnemonica che l’ha reso recipiente di importanti informazioni riguardanti l’Evento, informazioni a cui però né lui né Vincenti avevano accesso. Nel tentativo di forzare il blocco mentale per recuperare queste informazioni, Vincenti l’ha trascinato infine presso una safehouse dismessa dell’Ufficio, dove i due sono stati intercettati da una squadra speciale di Extrema Ratio, che è stata però sterminata – con l’eccezione di Mana – in circostanze non ancora chiarite. Bastiani e Vincenti sono scomparsi […]

N.B. Vincenti è classificata obiettivo prioritario Alfa+.

Parte prima

Cafrissa

Automatonofobia

La nostra vita è un’iniziazione alla verità secondo la quale intorno a ogni cerchio se ne può tracciare un altro; che non esiste mai fine in natura, ma ogni fine è un inizio; che vi è sempre una nuova alba al culmine del meriggio, e che sotto ogni abisso se ne apre un altro più profondo.

R.W. Emerson, Circles

Diciassette mesi prima dell’Evento Cafrissa.

La paura è un’ascensore, pensa Fedro entrando completamente nudo nella stanza delle bambole. Inchiodati alle pareti e appesi al soffitto ci sono centinaia di simulacri umani che lo occhieggiano segretamente. Pupazzi di pezza, action figure di plastica, marionette della tradizione siciliana dal volto di cartapesta, burattini di legno con i lineamenti appena abbozzati, manichini da boutique, babbinatale di ciniglia rossa e bianca, sex doll maschi e femmine di sublime bruttezza, Guance tonde, fronti bombate, occhi immancabilmente spalancati e spiritati, brillanti come un paradiso da centro commerciale, carni grinzose di neonato, sorrisi ambigui e sbilenchi, manine strette a pugno, labbra tumide e chiuse a eccezione di un piccolo foro in cui inserire ciucci o biberon.

Ogni palombaro ha la sua camera dell’orrore, un locale traboccante dell’oggetto della sua fobia ancestrale. Quella di Fedro si chiama automatonofobia, la paura di ciò che si finge umano senza esserlo. Ciascuno dei ventotto palombari di Cafrissa, proprio come lui sta per fare adesso, ogni settimana, a mezzanotte, affrontano quella prova terribile.

Deve tenere gli occhi bassi, altrimenti non ce la farebbe. I primi tentativi sono stati un patetico fallimento, con lui che scappava fuori dopo neppure cinque passi. Una parte antica della sua mente prendeva fuoco ogni volta che lo sguardo sfiorava un fantoccio, una Barbie o un Arlecchino o un Cicciobello. Orrore. Orrore e vergogna. Al centro esatto della stanza c’è una pedana realizzata da bravi carpentieri cafrissiani e, alloggiata sulla pedana, la vasca di deprivazione sensoriale che è il vero mezzo di trasporto di un palombaro. La vasca, che sembra più una bassa cabina, è un tronco di piramide metallico, tozzo e sgraziato alto un metro e mezzo, con un portello che sembra un oblò su uno dei lati. Accanto al portello un armadietto da bagno è posato sul pavimento di legno. Fedro lo apre, prende un paio di tappi per le orecchie in polimero elastico e un barattolo di vaselina. Se la spalma addosso con grande cura. L’odore che emana è un misto di organico e sintetico. Coprirsi con quella pellicola postumana è come indossare una tuta spaziale per entrare in un nuovo universo. La muta da palombaro. L’operazione stessa è una liturgia transizionale.

Con estrema calma, sempre senza guardare più in là dei suoi piedi, apre il portello e aggrappandosi alla barra soprastante si infila dentro la vasca. Non appena richiude l’oblò, una tenebra omogenea cala su di lui come una benedizione. Le sentiva addosso, tutte le centinaia di bambole che ricoprono ogni centimetro di mura e soffitto come un surreale bazaar. Le sentiva anche senza vederle, perché erano loro a guardare lui. Fedro sa con assoluta certezza che questo è vero, e sa altrettanto bene che non può essere vero. Una fobia è una fobia.

Scivola nella soluzione chimica come in un olio sopraffino, caldo e accogliente, quel tipo di accoglienza che fa pensare a un sacco amniotico. 

È un misto di acqua, sale e solfato di magnesio; un liquido isotermico, corrispondente cioè con esattezza decimale alla temperatura basale di Fedro. La sua densità è regolata in modo tale da permettergli di galleggiare senza il minimo intervento dei muscoli. Esonerato dal dover aggiustare equilibrio e temperatura, il corpo del palombaro può limitarsi a fluttuare privo di peso e stimoli sensoriali. Fedro allunga una mano e stacca da un gancio la cuffia con gli elettrodi per il monitoraggio remoto. Il cocktail di galantamina e fosforo che ha assunto prima di entrare nella stanza della paura sta cominciando a fare effetto; se ne rende conto perché i suoi pensieri si allungano, perdono consistenza, si sfilacciano. Iniziano le visioni ipnagogiche, preludio del sogno.

La tecnica per il sogno lucido utilizzata dai ventotto palombari di Cafrissa si chiama WILD, sta per Wake Initiated Lucid Dreaming, ed è una delle più potenti dato che, quando attraversa la soglia che separa mondo sveglio e mondo onirico, il sognatore resta vigile. Vigile a contemplare gli arabeschi del pre-sogno, che sono tutti immancabilmente a base di bambole per chi ha la fobia delle bambole. Quella specie di marinatura nel proprio inferno personale è una necessità imprescindibile. Senza la spinta verso il basso data da quel tipo specifico di terrore, sarebbe impossibile per l’onironauta scendere ai livelli più bassi del sogno.

Il buio comincia ad animarsi di vaghe allucinazioni, un pullulare tattile di teste staccate, torsi mutili, facce grinzose o truccate, occhi di vetro finto, bocche tumide e lucide che abbozzano sorrisi sadici che soltanto Fedro può percepire. Se li sente addosso, i simulacri, anche se sa benissimo che tra lui e loro ci sono le pareti della vasca e alcuni millenni di pensiero razionale. Non bastano. Secondo Terraneo, che ha elaborato la teoria e progettato le macchine, le fobie ancestrali sono una speciale famiglia di paure irrazionali che affondano le loro radici in tempi in cui – non eravamo ancora umani – per usare le sue stesse parole.

Appesantito dal suo stesso terrore, il palombaro è come un apneista che, aggrappato alla slitta, scende giù a piombo nell’abisso marino. Per questo la stanza della paura, per questo la tortura autoinflitta. Il terrore è il propulsore che serve per bucare tutti gli strati intermedi del dreamscape, per arrivare senza perdersi sul fondale, e da lì, auspicabilmente, contemplare l’altro abisso che si schiude. Durante le riunioni organizzative, mesi prima, qualcuno ha chiesto perché. Perché arrivare fin là, a quale scopo? A Fedro allora è venuto in mente il celebre aneddoto su George Mallory, a cui era stato domandato come mai volesse scalare il Monte Everest. – Perché è lì – era stata la risposta di Mallory, che sull’Everest ci morì e il suo corpo fu recuperato solo settantacinque anni dopo.

Finché non è stato raggiunto, quello del “fondale” era una specie di mito, una possibilità offerta dalle speculazioni teoriche di Terraneo e altri maestri, ma mai direttamente osservato. I cittadini di Cafrissa hanno voluto farsi spiegare per bene un sacco di cose prima di accettare di partecipare a un progetto sperimentale tanto folle. In particolare facevano fatica a mandare giù quella perversione delle stanze della paura. Sono state necessarie settimane di riunioni a oltranza, ma alla fine hanno accettato, e Fedro la considera un po’ una vittoria personale. Ha saputo intrigarli con la retorica della vita sperimentale che è un perno centrale del vivere invisibile, ma è stato il mistero di ciò che si poteva scoprire sul fondale ad attrarli e convincerli. Qualcuno di cui si fidano ha raccontato che c’è un oceano che scorre sotto i sogni, e loro lo vogliono vedere. Vogliono essere là, sulle rive della Panthalassa.