Delos 24: Carmilla a cura di

Valerio Evangelisti

carmilla

Sta per uscire nelle edicole, edita da Avvenimenti, l'antologia di narrativa italiana Carmilla, curata da Valerio Evangelisti. Una serie di racconti, molti dei quali fantastici, nati attorno alla rivista omonima curata da Francesco Scalone e dall'autore del ciclo di Eymerich. Quella che segue è l'introduzione al libro.

Di solito, il fatto che a una rivista si dedichi un'antologia fa pensare che quest'ultima sia famosa o storicamente importante. Non è certamente il caso di Carmilla, una pubblicazione di cui sono usciti solo tre numeri e che di certo non ha "fatto scuola" né pretende di farla. Si tratta di una rivista semi-professionale, stampata in poche centinaia di copie e presente solo in alcune librerie. Ha però una caratteristica oggi inconsueta: accanto a racconti e articoli dedicati alla letteratura fantastica, conduce anche un proprio discorso estremamente radicale e volutamente fazioso sulla realtà sociale, nonché sul ruolo che il fantastico e la letteratura "di genere" potrebbero giocarvi.

In pratica, Carmilla pretende di dare spessore critico e autocritico a quel tipo di narrativa che, in Italia, fino a poco tempo fa veniva considerato "di serie B". E lo fa non per chiedere alla "serie A" un qualche riconoscimento per la serie B, ma rivendicando l'autonomia e, per certi versi, la superiorità di quest'ultima categoria. O, se non la superiorità, quanto meno una maggiore adeguatezza al mondo attuale, tale da fare del fantastico in tutti i suoi aspetti l'unica possibile forma di realismo.

Per comprendere il senso del discorso occorre una riflessione preliminare. Non si troverà nessun critico cinematografico che giudichi "alto" il cinema di Ingmar Bergman solo perché si occupa di drammi psicologici in interni familiari e "basso" il cinema di John Ford perché appartiene al genere western. Nell'ambito letterario italiano, invece, questa distinzione viene costantemente praticata, nelle pagine culturali dei grandi quotidiani come, a maggior ragione, nel grosso delle riviste specializzate. Le ombre parallele di Croce e di Zdanov si distendono ancora oggi a segnare i confini di ciò che è culturale e di ciò che non lo è, a partire dalla superiorità accordata per postulato, magari inconsapevole, allo stile narrativo "realistico" (o poetico).

L'esito perverso è il dilagare del minimalismo, che è tale sia quando si dedica al puro estetismo della pagina scritta, sia quando, più furbescamente, si ammanta di un linguaggio da discoteca per sembrare al passo coi tempi. E in effetti lo è, al passo coi tempi, ma solo per ciò che riguarda la narcosi indotta dai mass media per far perdere cognizione di tutto ciò che è strutturale, profondo, conflittuale - effetto di scontri di forze o di cause antiche. Non a caso, è sempre più difficile trovare uno scrittore, tra quelli cari alla critica, che assuma una dimensione tragica nella propria narrativa. Prevalgono il lieve, il fatuo, l'effimero, il trasognato, bene che vada il dolente.

Invece, scendendo dall'empireo, di gente colpita dalle tragedie del proprio tempo - tanto colpita da rifletterla nella propria opera letteraria - se ne trova parecchia. E' il sottoscala della letteratura "di genere", della "serie B", della paccottiglia, come viene classificata da chi sta nell'attico tra fauni e silfidi. E' il terreno melmoso del giallo, della fantascienza, dell'horror, del thriller. Vi prevale il materiale scadente; ma tra quel materiale vi è anche quello che invece è eccellente. Ogni tanto qualche visitatore venuto dai piani alti fruga tra la presunta immondizia e fa qualche "scoperta", che può chiamarsi di volta in volta Dashiell Hammett, Howard Phillips Lovecraft, Jim Thompson, Philip K. Dick. Ma, vista dal basso, è una scoperta che equivale a quella dell'America: prima che arrivasse Colombo, i nativi si erano già "scoperti" da soli. E vivevano molto meglio prima che qualcun altro venisse a scoprirli.

La lettura popolare non ha bisogno di scoperte né di legittimazioni. E' perfettamente autosufficiente. Riesce a condizionare l'immaginario di intere generazioni, a contare su ristampe che si ripetono per decenni, talora persino a innescare trasformazioni sociali e di costume, fin dai tempi del vecchio Sue. Quando poi si tratta di letteratura fantastica, è capace persino di cambiare il nostro modo di vedere le cose, dando evidenza all'invisibile e abituando all'individuazione delle alternative.

Carmilla nasce dalla presa d'atto di questa forza latente ma innegabile, e tenta di rifletterci sopra, anche con l'ausilio coraggioso di scrittori "complici" transfughi dalla "serie A". Propone racconti non necessariamente "impegnati" (anche se spesso lo sono) ma che piuttosto, o per i contenuti o per la loro bizzarria a prima vista gratuita, aiutino a "destrutturare la quotidianità alienata astratta", come diceva a suo tempo il sociologo Pietro Bellasi - cioè a incrinare l'apparenza lucida e razionale della società in cui viviamo per fare emergere le inquietudini nascoste sotto la sua superficie, allusive a una grande tragedia collettiva allestita da poteri spietati e famelici di cui nessuno sembra più ricordare i nomi.

E nemmeno io li farò, quei nomi. Li si può leggere, cifrati, in molti dei racconti contenuti nel libro (taluni apparsi su Carmilla, altri maturati nei suoi dintorni), inclusi alcuni apparentemente divaganti. Ma divagare, in un'epoca di razionalità falsa e forzata, può essere di per sé liberatorio. Purché lo si faccia in assoluta autonomia, anche e specialmente dal miserevole Mondo Letterario che sopravvive altrove..

Nell'illustrazione la copertina del secondo numero della rivista Carmilla, Edizioni Algol, cp 59, 40554 Budrio, Bologna.