Nella lotta commerciale per il predominio nel campo dei cinecomics finora la Marvel ha stravinto mentre DC, la storica rivale, ha dovuto subire per anni lo stile plumbeo e funereo di Zack Snyder, fortunatamente ora retrocesso e accreditato solo come uno dei produttori esecutivi coinvolti. Se di definitiva rivalsa si tratta lo vedremo, quel che è certo è che la svolta è avvenuta nel 2017 grazie a Wonder Woman e ora l’alleanza DC-Warner può celebrare incassi stratosferici per l’ennesimo personaggio dei fumetti adattato per il grande schermo, della quale tra l’altro è stata antesignana visto che il Superman di Donner risale al 1978.

Nato sulla carta all’inizio degli anni ’40 proprio sulla scia del successo di Superman Aquaman è figlio di un umano e di una donna venuta dal profondo degli abissi. In questa versione è una regina di Atlantide (Nicole Kidman), costretta ad abbandonarlo da piccolo per evitare gravi rischi proprio per la sua famiglia. Cresciuto col padre (Temuera Morrison) il piccolo Arthur dimostra sin da piccolo certe sue abilità inconsuete, tipo riuscire a comunicare con le creature del mondo acquatico, cosa che prevedibilmente gli sarà utile quando, ormai grande, dovrà contrastare il malvagio fratellastro (Patrick Wilson) che vorrebbe scatenare una guerra col mondo della superficie…  

L’idea di trarre un film da questo fumetto creato da Paul Norris and Mort Weisinger (una chiara versione subacquea di Superman) non è certo nuova, se ne parla da almeno quindici anni e nella serie TV Entourage James Cameron si prendeva bonariamente in giro come regista dell’ennesima operazione di gigantismo supereroico destinato a sbancare il botteghino. Detto fatto, anche se c’è voluto del tempo: annunciato ufficialmente nel 2015 e girato nel 2017 per la maggior parte in Australia Aquaman funziona in buona parte perché l’hawaiiano Jason Momoa (precedentemente in TV in Stargate Atlantis e in Il trono di spade) è la scelta di casting ideale. Prima di questo film come protagonista (l’attore è già sotto contratto per altri tre) Momoa aveva già indossato i panni bagnati di Arthur Curry/Aquaman in due precedenti titoli del DC Extended Universe, Batman v Superman: Dawn of Justice (2016) e Justice League (2017). 

Aquaman segna anche la definitiva conferma nel cinema seriale a grosso budget (qui siamo ben al di sopra dei 150 milioni di dollari) per James Wan, regista nato in Malesia ma cresciuto in Australia e divenuto famoso soprattutto per i suoi vari horror, tra cui Saw (2004) e Insidious (2010), che gli hanno poi aperto la strada verso la sedia di regia di Fast & Furious 7 (2015). Prestarsi al gioco di queste megaproduzioni ovviamente significa adeguarsi ai criteri di quella che è soprattutto un’industria, che con l’arte cinematografica c’entra solo fino a un certo punto: siamo chiaramente di fronte un prodotto costruito a tavolino dalla A alla Z per avere successo, imparando anche dalle precedenti scelte stilistiche che tante critiche avevano suscitato. Via quindi i toni grigi e deprimenti prediletti da Snyder per abbracciare in pieno l’approccio Marvel e produrre un coloratissimo polpettone avventuroso, nel quale non mancano momenti ironici e che in certi frangenti sembra sconfinare persino nel disneyano. A imbastire e gestire l’arcobalenato palette visivo è stato chiamato Don Burgess, il direttore della fotografia di fiducia di Robert Zemeckis, un’eccellenza del settore. Il film infatti da questo punto di vista è rigoglioso e sgargiante quanto basta.

Il regista James Wan con alcuni degli attori sul set durante le riprese di "Aquaman".
Il regista James Wan con alcuni degli attori sul set durante le riprese di "Aquaman".

Come spesso accade è l’impianto narrativo ad essere estremamente debole, con una struttura a blocchi che testimonia palesemente le varie fasi di riscrittura alle quali il copione definitivo è stato sottoposto. Si parte dal blocco iniziale che rievoca proprio le atmosfere e i toni del solenne Superman di Donner, poi l’immersione in acqua per la scoperta del regno sottomarino totalmente irrealistico (con certi passaggi e paesaggi sottomarini che sembrano usciti direttamente da La sirenetta), poi le parentesi nel deserto in stile Indiana Jones e in aggiunta anche una curiosa parentesi siciliana (che sembra girata sul set di uno spot commerciale di un qualche prodotto dolciario) per approdare ad un finale battagliesco che è un omaggio alla fantascienza pulp anni ’40, in puro stile Flash Gordon e dunque più recentemente Star Wars.

Tirando le somme: un buon prodotto di serie, altamente spettacolare (caldamente consigliata la visione in Imax 3D per massimizzare questo aspetto) ma con dialoghi scritti con l'accetta e del tutto scontato e prevedibile. Siamo pur sempre in un filone che continua nel saccheggiamento da fumetti pre-esistenti come fonte di idee nuove per farne versioni cinematografiche acchiappaincassi. Dal punto di vista del riscontro al botteghino la cosa funziona (in un paio di settimane circa 900 milioni di dollari l’incasso mondiale, destinato a crescere ancora) ma è cosa innegabile che alla fine a livello di contenuti e temi la pappa è sempre la solita, il modello di riferimento è sempre lo stesso, per cui il rischio noia/ripetitività è sempre dietro l’angolo. Non che questo conti molto se lo vedete con gli occhi di un bambino di dieci anni… o di un adulto che non rinuncia di tanto in tanto a rifugiarsi in quel mondo.