A breve distanza dall’uscita sul mercato nordamericano, arriva anche in Italia nella neonata collana Not di Nero Editions una delle antologie più importanti degli ultimi anni. Non sorprende ritrovare dietro il progetto i nomi di Ann e Jeff VanderMeer, già artefici nel 2012 del moloch The Weird (Tor Books), compendio di letteratura fantastica e horror forte nell’hardcover originale di centodieci racconti e di oltre millecento pagine. Con Sisters of the Revolution: A Feminist Speculative Fiction Anthology (2015) il loro lavoro mantiene la stessa ambizione mentre si addentra nella giungla delle visioni di genere (intendendo il termine sia nella sua accezione letteraria che sociale). Sono ben 29 le autrici riunite in questo volume – e diverse altre avrebbero forse potuto essere incluse. Ma la scelta dei curatori restituisce uno spaccato efficace, decisamente poliedrico e variegato, senz’altro sufficiente a rendere l’idea di cosa si agiti sotto la superficie dell’immaginario fantastico e fantascientifico, spesso sovrastato dalle firme dei colleghi uomini.

Presentare un’immagine fedele di un lavoro di questo tipo nello spazio ristretto di una recensione è impresa ardua, ma cercheremo se non altro di riportare un insieme di prove e testimonianze che rendano un’idea della sua portata. Le visionarie, com’è stato intitolato il volume nell’edizione italiana, è un’antologia fondamentale e fareste bene a procurarvene al più presto una copia.

Secondo un pregiudizio diffuso in Italia, si tende a pensare che la fantascienza sia un genere scritto da scrittori maschi per lettori maschi, ma non esistono convinzione più infondata né immagine più fuorviante di questa. La verità è che fin dagli albori dell’immaginario di genere la presenza femminile è stata imprescindibile: non a caso, la nascita della fantascienza viene spesso fatta risalire al Frankenstein di Mary Shelley; e non a caso l’apporto delle autrici, esplicito o mascherato dietro firme “spersonalizzate”, è stato determinante in ognuna delle stagioni attraversate dal genere lungo l’arco del Novecento, già a partire dalla Golden Age con C. L. Moore e poi per tutti gli anni ’50 con presenze come Andre Norton, Judith Merrill, Naomi Mitchison e la “regina” del planetary romance Leigh Brackett. Nei decenni successivi la presenza femminile divenne consistente anche in termini numerici e l’affermazione della New Wave fu valorizzata, impreziosita e consolidata dal contributo di autrici come Ursula K. Le Guin, Joanna Russ, Alice Sheldon (alias James Tiptree Jr.), latrici di una concezione matura del genere, fondata su tematiche meno convenzionali e ambizioni stilistiche che ne favorirono l’avvicinamento alle istanze del postmoderno; con loro l’impatto della fantascienza delle donne entrò in risonanza con le spinte di rinnovamento e le lotte per i diritti civili che scuotevano dalle fondamenta la società dell’epoca e determinò due effetti non trascurabili: la loro importanza cominciò a essere riconosciuta senza esitazioni al di fuori dei confini del genere (fino al conferimento della prestigiosa National Book Foundation’s Medal for Distinguished Contribution to American Letters a Ursula Le Guin nel 2014) e prese forma nel nome della collaborazione una vera e propria comunità di professioniste e appassionate (fenomeno messo in luce nel numero di Robot appena uscito da Salvatore Proietti, con il suo ricordo della grande autrice recentemente scomparsa).

Gli anni ’80 recarono i frutti di quelle premesse, per esempio con Octavia E. Butler e Gwyneth Jones oppure, più specificamente in seno al movimento cyberpunk, Pat Cadigan. In tempi più prossimi a noi, ci misuriamo ormai con una massa critica formata da scrittrici ormai da decenni sulla cresta dell’onda (pensiamo a Connie Willis, Lois McMaster Bujold, Nancy Kress, Catherine Asaro, Karen Joy Fowler), sperimentatrici che hanno percorso piste nuove dagli anni ’90 al nuovo millennio (Nicola Griffith, Kathleen Ann Goonan, Maureen McHugh, Nalo Hopkinson, Kelly Link) e nuove voci autorevoli salite alla ribalta nell’ultimo decennio (Ann Leckie, N. K. Jemisin, Nnedi Okorafor, Aliette de Bodard). Senza dimenticare le penne più letterarie che hanno comunque legato il loro nome alle incursioni, più o meno frequenti, nei territori di genere, con nomi del calibro di Doris Lessing, Angela Carter, Margaret Atwood, Marge Piercy, Jennifer Egan, Susanna Clarke, Audrey Niffenegger, Mariana Enriquez e Lauren Beukes, fantascienza e fantasy hanno saputo esprimersi efficacemente attraverso le opere di autrici altrettanto – quando non addirittura più – incisive dei loro colleghi.

Con Sisters of the Revolution l’intento dei VanderMeer, dichiarato fin dall’introduzione essenziale e focalizzata, è di contribuire a “una conversazione in costante divenire”, rendendo giustizia alla “grande fioritura di speculative fiction femminista […] in grado di trasformare una volta per tutte la fantascienza e il fantasy”, che ha “mutato la percezione del pubblico” e “contribuito a inaugurare uno spazio creativo che ha spinto sempre più donne a prendere in considerazione l’idea di scrivere fantascienza”. Se i contenuti dell’antologia risultano eterogenei per ispirazione e approccio (e la ricchezza è senz’altro uno dei pregi maggiori della selezione), i risultati eccedono anche le aspettative più ottimistiche.

Non c’è praticamente un solo contributo in questa antologia che scorra via senza lasciare il segno, e ognuno si fa ricordare per qualcosa – una scena, una frase, un’immagine, una svolta, un personaggio, una scelta stilistica, una premessa, uno sviluppo o una conseguenza – che continua ad accompagnare il lettore ben oltre l’esperienza circoscritta della lettura del racconto. “Sur” di Ursula K. Le Guin, con la sua ricostruzione paradossale di una Spedizione di sole donne al Polo Sud tenuta segreta per anni al solo scopo di non deludere il signor Amundsen, è paradigmatico dell’operazione stessa: Le visionarie solleva domande, presenta critiche, interroga il nostro senso comune e mette in discussione le certezze acquisite, aprendo continuamente spiragli che lasciano intravedere realtà altre, a volte vagamente immaginate, altre solo intuite, altre ancora nemmeno lontanamente sospettate.

Come accade fin dal racconto di apertura, Le parole proibite di Margaret A. di L. Timmel Duchamp, per il quale non possiamo non ricorrere all’espressione abusata di “pugno allo stomaco” per via del mondo di controllo totalitario in cui cala il lettore, avvolgendolo in un’atmosfera di soffocante paranoia mentre insieme alla narratrice cerchiamo di costruire le premesse per una via d’uscita.

Per gli amanti delle storie dal solido world-building, Le visionarie presenta mondi tanto ben congegnati da sembrare vivide istantanee del nostro, sul cui sfondo si compiono parabole di riscatto dalla propria condizione di marginalità imposta (lo stupendo La sera, il giorno e la notte di Octavia E. Butler, che mette in scena un difficile conflitto tra determinismo e autodeterminazione) o autoindotta (l’altrettanto memorabile racconto di climate fiction ante litteram che chiude l’antologia, Casa sul mare della franco-canadese Élisabeth Vonarburg, che partendo da uno scenario à la Blade Runner anticipa sorprendentemente molti dei temi che abbiamo poi visto sviluppati compiutamente in Blade Runner 2049); oppure mondi così riusciti da risultare credibili nella loro estrema alienità, come capita con Le lacrime della madre: la quarta lettera, brano tratto dal romanzo Tainaron: Mail from Another City della finlandese Leena Krohn.

All’intersezione tra L. Timmel Duchamp e Octavia E. Butler troviamo Rose Lemberg, cittadina americana di origini ucraine, che in Le sette perdite di na Re racconta una storia di perdita e memoria che inizia ai tempi delle purghe staliniane e prende le mosse da un nome assegnato, strappato, nascosto, la cui riconquista si sposa con la conquista di un’identità. Questo racconto si ascrive al novero dei pezzi più sperimentali della raccolta, in cui rientrano di diritto i quadretti surreali di Leonora Carrington (tra i modelli di Angela Carter, qui con Le mie mutande di flanella) e Anne Richter (autrice belga di Il sonno delle piante), la storia quasi fiabesca di ribellione di Nnedi Okorafor (La bandita delle palme), l’allegoria di Le cinque figlie della grammatologa di Eleanor Arnason, il disturbante Zie di Karin Tidbeck, con il suo cerimoniale grottesco di ascendenza ligottiana.

Ne Le visionarie troverete donne che si misurano con la fluidità dei generi (E Salomè danzò di Kelley Eskridge), donne alla disperata ricerca di una strategia di fuga dalla loro prigione domestica (La sposa perfetta dell’argentina Angélica Gorodischer e La donna che si credeva un pianeta dell’indo-americana Vandana Singh), donne che esistono solo per dar vita, forma e sostanza ai desideri degli uomini (Deviazioni nel cammino verso il nulla di Rachel Swirsky) e uomini incapaci di svincolarsi dai ruoli di genere (I ragazzi di Carol Emshwiller). L’esperienza della maternità in relazione alle aspettative della famiglia e della società è al centro del crudo Racconti dal seno della nippo-canadese Hiromi Goto e dello struggente Le madri di Shark Island di Kit Reed.

Troverete il tour de force letterario compiuto da Angela Carter con L’ascia omicida di Fall River, che ricostruisce con una prosa raffinatissima un caso di cronaca nera che grande clamore ebbe alla fine del XIX secolo. Troverete anche declinazioni fedelissime agli schemi dei generi che ne stravolgono efficacemente le regole: Tanith Lee con la tradizione del fantasy nel sorprendente La regina mangia la torre, Nalo Hopkinson con la suspense del Southern Gothic nell’inquietante Il trucco della bottiglia, la svedese Susan Palwick con una delle icone dell’horror in Jestella, una storia spietata di devozione e manipolazione. Troverete racconti che riprendono in chiave cyberpunk scenari di fantascienza apocalittica (L’amore e il sesso tra gli invertebrati di Pat Murphy) e horror corporativo (Strategie stabili per manager di fascia media di Eileen Gunn).

Alla ricerca di un equilibrio con un mondo di foreste abitate da un popolo spettrale di creature sfuggenti (Gli uomini che vivono negli alberi di Kelly Barnhill) fa da contraltare la difesa dell’utopia faticosamente costruita su un pianeta rimasto a lungo isolato, in cui un’epidemia ha decimato la popolazione portando a una società di sole donne (Quando cambiò di Joanna Russ); scenario opposto a quello dipinto in Paure di Pamela Sargent, dove una politica dissennata di controllo delle nascite ha reso le donne delle rarità, costrette a camuffarsi e dotarsi di protettori (mariti potenti, guardie del corpo) per salvaguardare la loro incolumità. Storia, questa, che echeggia il classico La soluzione della mosca di James Tiptree Jr. (pseudonimo di Alice Bradley Sheldon) e forse, non senza ragione, il più famoso dei racconti qui riuniti dai VanderMeer. Ma siamo ragionevolmente certi che diversi dei racconti presentati sapranno guadagnarsi con il tempo un analogo status di culto. Se dovessimo piazzare una scommessa facile punteremmo subito i nostri due centesimi su Tredici modi di concepire lo spazio-tempo di Catherynne M. Valente, che in un condensed novel à la Ballard fonde mythpunk e autobiografia con una scrittura specialistica, toccando vette di poesia insuperate mentre racconta una storia di nascita, di perdite e di rinascita.

Desta qualche perplessità la postfazione di Claudia Durastanti e Veronica Raimo. Il loro entusiasmo nei confronti di questo progetto è palpabile ed è fuori discussione che sia merito loro aver riunito una squadra di traduttrici competenti, favorendo l’efficace resa delle storie nella nostra lingua. Ma se “tutto è politica” non possiamo non dare un peso alle singole scelte e alcune considerazioni ci sono sembrate meno condivisibili di altre.

Infatti, laddove Ann e Jeff VanderMeer hanno costruito l’antologia su un solido background di genere (non dimentichiamo che i racconti sono tutti già editi, apparsi in antologie o riviste di settore a partire dagli anni ‘60, e tutte le autrici, anche quelle con un’indiscutibile fama letteraria al di là della loro frequentazione delle riviste e delle antologie di settore, si sono ripetutamente “sporcate le mani” con il genere), le coordinatrici dell’edizione italiana non esitano a impostare il loro intervento di chiusura sui distinguo, rivendicando la scelta di riferirsi alla “letteratura di genere” con la definizione di speculative fiction e provando a evitare in tutti i modi di parlare di fantascienza, sostituendola di volta in volta con metonimie (ucronia, distopia) e analogie (“realtà aumentata”), contrapponendo “una fantascienza irrimediabilmente futuribile” da cui quasi prendere le distanze a una più auspicabile “fantascienza «della porta accanto»”.

Posizioni legittime, ma che finiscono a nostro avviso per distorcere il senso dell’operazione. E considerando il contenuto per il resto di notevole interesse del loro intervento, che abbraccia riflessioni sul corpo della donna, sulle possibili strategie di resistenza ed emancipazione, sulla maternità e sulla decolonizzazione dei ruoli sociali, non possiamo fare a meno di interrogarci sulle ragioni di questa diffidenza nei confronti del genere (genre) letterario, a fronte di una incontestabile consapevolezza della centralità delle questioni di genere (gender) nel dibattito culturale e politico.

L’etichetta stessa di speculative fiction, è bene ricordarlo, se nell’editoria dei paesi anglofoni serve a indicare quel super-genere che abbraccia tutte le sfumature del fantastico, in Italia si riduce pressoché sempre a “foglia di fico” nelle quarte di copertina delle collane generaliste, nelle recensioni e negli articoli di critica letteraria determinate a evitare lo stigma della science fiction, come se editori e operatori culturali nutrissero più o meno fondati dubbi sulla spendibilità commerciale della vecchia terminologia. Con gli anni abbiamo così assistito a una graduale decimazione delle parole fantascienza, fantasy, horror e fantastico, e i superstiti ascrivibili a questi generi hanno cambiato etichetta, finendo classificati sotto la dicitura forse “meno compromessa” di speculative fiction.

Tuttavia sono gli stessi VanderMeer a rimarcare con il loro lavoro (di certo ben noto alle coordinatrici/postfattrici) che le opere su cui oggi sono sempre più puntati i riflettori della critica e l’attenzione delle case editrici e dei lettori non possono prescindere da una linea di continuità interna al genere (e ai generi): si prenda per esempio la citata antologia The Weird, di fatto il miglior vademecum possibile per chi voglia capire da dove arrivi la recente ondata di romanzi, racconti, fumetti, film, serie televisive e videogiochi raggruppati sotto le insegne del New Weird. Oppure si considerino le opere stesse qui riunite, che attraversano quasi mezzo secolo di storia del fantasy e della fantascienza, pescando da rassegne e da riviste che di certo nessuno si sognerebbe di definire di “speculative fiction”, perché costitutive dell’ossatura stessa dei suddetti generi. Le autrici presenti possono vantare nomination e riconoscimenti ai vari Hugo e Nebula Award, James Tiptree Jr e Lambda Award (solo due dei premi specificamente dedicati alla SFF femminile/femminista e queer), World Fantasy e Horror Guild Award, e hanno visto i loro lavori pubblicati sulle pagine di riviste come The Magazine of Fantasy and Science Fiction, Analog Science Fiction, Asimov’s Science Fiction, OMNI Magazine, Strange Horizon, Tor.com, Weird Tales, Clarkesworld, Lightspeed, New Worlds, Interzone o Realms of Fantasy.

Pertanto accogliamo con estremo piacere l’interesse e l’entusiasmo di autrici e traduttrici provenienti dall’esterno dei circuiti di settore, a patto che i riflettori che si vanno accendendo sulla scena non servano a illuminarla in maniera selettiva, a macchia di leopardo, lasciando che le zone d’ombra finiscano per inghiottire anche gli esiti maturati nell’alveo del fantasy, dell’horror e della fantascienza italiani. Ci auguriamo insomma che, nell’ottica dell’intersezionalità evocata tanto dai VanderMeer quanto da Durastanti e Raimo, l’inclusione si sviluppi in entrambi i versi, con gli autori, le autrici e gli appassionati di genere che accolgano senza recriminazioni la passione dei neofiti e delle neofite, portatori e portatrici di linfa intellettuale indispensabile a ravvivarne le radici; e allo stesso tempo con gli e le esponenti del mainstream e della literary fiction che accettino la sfida della reciproca conoscenza, per un’integrazione vera e non solo di pura facciata, senza rinnegare la varietà, la complessità e la ricchezza di generi che possono già vantare autorevoli esponenti nelle tradizioni di lingua inglese, spagnola e francese che sono rappresentate nell’antologia, così come anche in Italia.

Un modo per rendere ancora più feconda un’operazione encomiabile come questa, potrebbe essere per esempio proseguire l’esplorazione nel solco tracciato dai VanderMeer e, come da loro stessi auspicato nell’introduzione, far seguire a questa raccolta dei volumi analoghi: uno sviluppo possibile sarebbe quello di declinare l’approccio in chiave tutta italiana, arrivando a presentare ai canali dell’editoria nostrana, solitamente piuttosto distratti se non proprio disinteressati quando si parla di letteratura di genere, una raccolta di visionarie italiane che dimostri come le autrici di casa nostra non siano state di certo da meno e guide illustri quali Luce d’Eramo, Gilda Musa, Roberta Rambelli, Anna Rinonapoli, Daniela Piegai e Mariangela Cerrino abbiano aperto la strada a nuove generazioni all’altezza dei loro modelli, italiani e anglofoni.

Siamo certi che un volume di questo tipo, in grado di favorire il dialogo tra gli ambienti, saprebbe replicare per quantità e qualità l’esperienza di Sisters of the Revolution e magari è un’idea che Claudia Durastanti e Veronica Raimo stanno già accarezzando. Avrebbe tutto il nostro appoggio anche perché, prendendo in prestito le parole dal racconto di Ursula K. Le Guin, sarebbe un modo per prendersi “cura della casa” esercitando “l’arte dell’infinito” e per dimostrare che le parole spese intorno a questo progetto non sono state scolpite nell’acqua. Sarebbe un modo anche, direbbe sempre Ursula K. Le Guin (http://www.ursulakleguin.com/NationalBookFoundationAward-Speech.html), per far sentire la voce di coloro che già da tempo si cimentano nell’esplorazione delle alternative al mondo in cui viviamo: poetesse, visionarie, realiste di una realtà più grande.

Intanto, godiamoci questa raccolta: difficilmente quest’anno leggeremo di meglio.