La guarda.

Quegli occhi lucidi, che tremano un po’. La bocca stretta come se a quel modo potesse trattenere qualcosa che invece vuole fuggire via. Magari un “ti amo”. Uno di quelli che non dice da molto tempo, troppo tempo.

– Ho accettato l’incarico – le dice. A bassa voce. Respiri intrecciati.

Lei annuisce impercettibilmente, poi una lacrima fugge via, fuori dal controllo. – Lo sapevo.

– No – replica lui, forse con troppa energia. – No, non è sempre come pensi tu.

– Ti sto perdendo ancora una volta – risponde lei, facendo un passo indietro. – Tutto quello che temevo è…. è successo, ecco. Tutte le mie paure, capisci?

Rimane in silenzio e la guarda ancora. Perché guardarla è sempre stato bello quasi quanto farci l’amore.

– Perché sei tornato, allora?

– Perché senza di te non vivo.

– Però te ne vai ancora e…

– … ti lascio sola?

Una fiamma, negli occhi di lei. Non le piace sentire la verità.

Scivola di lato e scende dal letto. Il mobile è a un passo. – Da sola? – chiede ancora. E indica la foto. Lei con due bellissimi bambini. – Tu non sarai mai sola.

Poi, prima di iniziare a vestirsi, osserva le altre foto.

Non vuole piangere, stavolta. Vuole solo sparire in fretta, correre via. Correre verso il vuoto. Il vuoto.   

– Sembra così innocuo.

Andrew si voltò verso il ragazzo, annuendo. In qualche modo, lo poteva comprendere. Una minaccia dovrebbe avere un altro aspetto. Invece davanti a loro poco più di un alone. Molto lo chiamavano così: l’Alone. Il nemico aveva un nome, adesso, oltre a quello assegnato dai militari.

– Siamo qui per affrontare la minaccia – provò a rassicurarlo, ma capì quanto suonassero deboli le proprie parole. Il giovane sergente era alla prima missione ufficiale e forse si aspettava di poter vivere altre emozioni, non la paura che adesso lo attanagliava.

– Sì, Signore, mi scusi – replicò – non volevo farle credere che…

– Ehi – lo bloccò, poggiandogli una mano sulla spalla. Riprese a parlare quando questi si voltò a fissarlo, staccando gli occhi dal monitor che inviava le immagini dell’Alone, perso nel vuoto dello spazio, a migliaia di chilometri di distanza. – Come ti chiami?

– Sergente Joaquim Seros, Signore.

Andrew sorrise. – Joaquim, ho paura come e quanto te. Non c’è da chiedere scusa per questo.

Il giovane sbuffò e abbozzò un sorriso. – Lei crede che ce la faremo, Signore?

Andrew alzò le spalle e gettò un’occhiata al monitor. I dati di analisi scorrevano veloci, aggiornandosi ogni pochi secondi. Quel fottuto cresceva. E aveva fame, a quel che sembrava. – Io so che ci proveremo, ragazzo. E che ce la metteremo tutta per tornare a casa con una buona notizia.

– Non sappiamo neanche cosa sia!

– A volte sapere le cose non serve a niente – rispose, rendendosi conto che in un modo confuso aveva proiettato nel discorso pensieri lontani. Provò a riprendersi: – O meglio, non dobbiamo necessariamente sapere cosa sia. Ci basterà trovare il modo per annientarlo. E non è detto che le due cose vadano di pari passo.

Lasciò il sergente da solo davanti al monitor e si avviò verso la sua cella. Venti minuti ancora al briefing. Poi forse avrebbero deciso come muoversi. Forse. Erano tre giorni che provavano a prendere una decisione, sempre senza successo. Ma l’Alone li avrebbe costretti all’azione, questo era certo. Non se ne stava fermo ad aspettare. E ogni giorno cresceva. Ogni secondo, cazzo. 

Mamert Freeser lo guarda. O almeno così sembra, perché gli occhi sono persi a vedere chissà cosa, un punto distante, oltre i confini del Sistema Solare.

– Non lo sai nemmeno tu cos’è, vero? – Andrew prova a scuoterlo. Gli piace parlare con quell’uomo, soprattutto di cose che non capisce. Ma i suoi silenzi, a volte, sono inquietanti, perché non sai mai davvero cosa nascondono e fino a dove si sono spinti.

– È il contrario, amico mio – riemerge dal nulla, il fisico. – Nella mia testa è ancora troppe cose.

Ridono insieme, poi Andrew punta un dito verso di lui. – Non giocare con me, bastardo di uno scienziato… puoi fregarmi con la fisica, ma non con le chiacchiere.

– Ma io ti sto parlando proprio di fisica, bifolco! – ribatte Mamert, aggrottando le sopracciglia folte, ormai completamente bianche. – Un conto è non sapere una cosa, tutt’altra questione credere che…

– No, ti prego – lo interrompe – per oggi ho raggiunto la mia dose, davvero. Ti credo, lo sai che alla fine ti credo sempre, quindi prenderò per buona pure questa cosa del saperne troppo.

Butta giù l’ultimo goccio di birra e ne apre un’altra. Riempie il bicchiere dell’amico, poi beve dalla bottiglia.