Minacciato dal movimento, il volatile perse ogni controllo. Ormai aveva le ali fradice d’acqua di sentina. E saltellava come un pesce strappato al suo elemento naturale.“Buttalo fuori, buttalo fuori!” Lara urlava.

Il giovane protese la lunga asta di legno... Ma il gabbiano, anziché calmarsi e arretrare, attaccò a beccate. Quasi cieco, saltellò combattivo sulla pala, deciso ad aggrapparsi a quel poco di vita che gli restava.

Afritania

 Acqua. A secchiate.

Il cielo nero la rovesciava da ore. Senza respiro.

Ribolliva di schiuma biancastra e percuoteva il metallo con il suono lugubre di un diluvio di chiodi.

Garrasco cercò di scrollarsela dalla faccia, scuotendo violentemente la testa, serrando le palpebre. Per il resto, ogni tentativo di evitarla era impresa vana. Non poteva muoversi. Era steso sulla schiena, a gambe larghe, il braccio destro ritorto dietro la nuca, vincolato al metallo da una forza più tenace di qualsiasi catena, più subdola di qualsiasi incantesimo. E più giù, i talloni… sembravano aver messo radici nel metallo.

Bevi, pensò tra sé. Bevi e ti farà meno male.

Raccolse un po’ di pioggia tra le labbra, storse la bocca e la risputò fuori con uno schizzo. Aveva un sapore terribile, salatissima. Boccheggiò in cerca d’aria asciutta. Si dimenò.

Crampi. Lo stavano divorando vivo. Muscolo dopo muscolo.

Non era più un ragazzino da un pezzo, ormai, ma ogni volta che la misteriosa forza lo prendeva tra le sue braccia, strappando via dal suo corpo ogni capacità di reazione, era sempre peggio.

Osservò gli uccelli che volteggiavano in cielo: per loro la pioggia non era che il modo più rapido per ripulirsi dalla fuliggine delle ciminiere.

Si morse il labbro e batté forte sulla lamiera con il palmo libero.

Il metallo gli rispose quasi subito: tre colpi, pausa, due colpi.