Era un maschio, di questo eravamo sicuri. Circa il nome, invece, non c’era ancora stata una decisione. Non esplicita, perlomeno.Valeria aveva esitato - così mi aveva raccontato la sera stessa - poi si era fatta coraggio e aveva soffiato fuori quel nome come una bolla di sapone: - Blu.

Si era guardata in giro, immaginando le reazioni delle altre. Era pronta a difendere la scelta. Era un bel nome, breve, dolce e soprattutto originale.

- Ma dài! - era sbottata la più grossa del gruppo - Il mio primo figlio si chiama Blu. Bel nome, vero?

Blu aveva cessato di esistere in quell’istante.

- No, anzi, Andrea - si era corretta mia moglie. Avevamo avuto quell’idea di chiamarlo Blu, ma poi ci abbiamo ripensato. Andrea andrà molto meglio.

Blu non ammette il plurale.

Maschio, 3 chili e settanta grammi e una voglia blu proprio in mezzo alla fronte. Quando è uscita la testa dal sesso dilatato di Valeria, ho pensato che quel segno livido fosse una macchia di sangue. D’altronde aveva due giri di cordone ombelicale attorno al collo, il viso viola ed emaciato. Poi, gli avevano dato una prima ripulita e me l’avevano messo in braccio. La voglia era sempre lì, non era sangue.

Non ci siamo detti nulla a riguardo per alcuni giorni. C’erano altri problemi: imparare a lavarlo, l’allattamento, le cacche, farlo addormentare, e ripetere quel ciclo numerose volte tutti i giorni. Sono stati gli altri a rendere impossibile il nostro silenzio complice.

- Avete visto che ha una voglia blu proprio in mezzo alla fronte?

- Ecco, sì, certo. Cose… cose che magari poi vanno via. Una macchia, magari un colpo.

- No, no. Quella è proprio una bella voglia. Altro che colpo!

Non era un colpo, quindi. Nemmeno una colpa, in realtà. Però cercavo di evitare di guardare quel segno sul suo volto.

Immancabilmente, una volta era scappato a Valeria durante una lite:

- Tu e la tua mania del blu! Anche sulla faccia di tuo figlio ce l’hai dovuto stampare!

Il mio piccolo Blu. Chissà come si sente adesso in mezzo a tutti quei gatti?