- Stiamo per perderlo, non lo vedremo più - ripete Valeria tra le lacrime.- Nessuno l’ha costretto, è una sua scelta - le rispondo con un tono poco convinto. Come fa un bambino di sei anni a scegliere?

- L’hanno ipnotizzato con quella luce, non so come facciano, ma è così.

- Sai che non è vero. Tutti hanno potuto scegliere se stare o andare con loro.

- Come fa un bambino di sei anni a scegliere? Che senso ha?

- Lui ha scelto. Lui è sempre stato…diverso dagli altri.

Valeria mi tempesta la spalla di pugni.

- Proprio tu dici queste cose! Proprio tu che non hai mai voluto sentir parlare di diversità.

- Lui è sempre stato… Blu. È giusto che sia lì. È il suo destino.

- Non dire stronzate! Sei tu che l’hai spinto, tu hai voluto che lui fosse blu, tu, tu …

- Adesso esageri. Non li ho chiamati io i Quattro gatti.

- No, ma sei contento.

- Per lui sì.

- Sei pazzo, pazzo! Il nostro unico figlio è nelle mani di mostruosi felini e tu sei contento. Non voglio più ascoltarti, basta! - e si tappa le orecchie con le mani.

Le discussioni con Valeria finiscono sempre così: lei dice l’ultima parola e ti chiude la porta in faccia.

Sua madre mi ha raccontato che soltanto una volta è riuscita ad avere lei l’ultima parola con Valeria. Ha aperto uno spiraglio della porta di camera sua, ha detto “È come dico io” e poi ha richiuso velocemente la porta. 

E così nostro figlio alla fine si chiama Andrea.

Valeria era andata all’ospedale a frequentare il corso pre-parto e aveva incontrato le altre gestanti. Una di loro le aveva fatto la domanda di rito:

- E il tuo come lo chiamerete?