Gaetano inserisce la baionetta e la punta davanti a sé. Un soldato nemico, un anziano con i capelli bianchi che in una mano tiene un bastone per reggersi, crolla al suolo trafitto da quella lama. Altri lo superano e cominciano a invadere la trincea, tanto che Gaetano arretra mettendosi dietro ad alcune casse per non rimanere senza protezione. Per qualche istante pensa che la sconfitta, malgrado quello che ha proclamato il Ministero, sia vicina; ma poi si accorge che i rimpiazzi, guidati dal capitano Ruggiero e dal sottotenente Franco, percorrono la trincea in forze, respingono il nemico ed eliminano chi si è spinto così avanti senza avere un vero e proprio supporto.— Si stanno ritirando! — urla Daniele, mettendosi al fianco di Gaetano e prendendo la mira su di un bersaglio in fuga.— Andiamo al contrattacco! — ordina Ruggiero agitando in aria la spada.

In pochi minuti la situazione si è rovesciata e adesso sono loro a lanciarsi, correndo quasi accucciati, nella martoriata terra di nessuno, in direzione delle posizioni nemiche. Se è vero che le loro truppe sono scarse, è anche possibile che quel contrattacco abbia successo.

La linea di trincea nemica ondeggia davanti a loro, si macchia dei brevi lampi esplosi dai fucili e dal veloce ticchettare delle mitragliatrici. Gaetano avanza assieme a quelli che sono stati fino a prima dell’assalto dei rimpiazzi e che adesso sembrano già diventati dei veterani, battezzati sul campo, ammesso che la loro vita possa durare abbastanza a lungo da riferirlo.

Il capitano Ruggiero si inginocchia all’improvviso, e poi ruota su se stesso lasciando le armi che aveva in mano e affondando nel fango. Il sottotenente Franco prende la guida dell’attacco, arrancando con fatica e ansimando per lo sforzo, con i due sergenti sui lati e i loro uomini accanto.

Ogni pochi passi qualcuno cade con un grido o con gemito soffocato, anche quelli che non hanno mai imparato a parlare o che non hanno mai avuto la capacità di farlo, ma la linea del nemico è sempre più vicina e i colpi sparati contro di loro sono sempre di meno.

Il sottotenente Franco non arriva alla trincea nemica e forse non è neppure una pallottola a fermarlo; semplicemente si accascia portandosi le mani al petto, il viso contorto in una smorfia, e smette di muoversi. Il sorriso del sergente Daniele esplode su di una mina tanto evidente che nessuno si è preoccupato di togliere di mezzo; i suoi pezzi si disseminano tutto intorno e macchiano di rosso anche l’uniforme di Gaetano.

Ma non c’è tempo di pensare, solo di pressare un attacco che ora è lui a guidare.

— Av-avanti!

Gaetano salta nella trincea nemica seguito dai compagni e la trova quasi deserta; pochi soldati la difendono ancora e sembra chiaro che saranno sopraffatti, data la loro inferiorità numerica. Il rumore dei combattimenti diminuisce. Forse svanirà del tutto.

Vede un soldato che ancora spara nella direzione da cui sono venuti, colpendo i soldati che ancora non hanno finito di attraversare quel lembo di fango e sangue. Si avvicina con il fucile spianato e lo raggiunge senza farsi notare. All’ultimo istante questi si accorge di qualcosa, perché si gira di scatto verso Gaetano. Il suo volto è rotondo come quello di Daniele, gli occhi grandi e luccicanti. Forse è di origine cinese, chissà.

Gaetano non esita.

Uno sparo e subito pare che il silenzio avvolga l’intero campo di battaglia.

Hanno vinto. Il suo paese, la Patria che lo guarda, sarà fiero di lui e di tutti quelli come lui. Fiero che abbia compiuto il suo dovere.

È una sensazione che non lo abbandona neppure quando vede avanzare dalle retrovie nemiche i soldati che lo ricacceranno indietro. Passi malformati, gobbe deformi, menti che non collegano tutto quello che vedono o sentono, vecchi attaccati all’ossigeno. Sarà un’altra ritirata.

Ma a Gaetano non importa. Si sente utile. Lo hanno fatto sentire utile.