— Mettiamoci al riparo!I sibili nell’aria si fanno più vicini e insistenti, poi il martellare dei colpi giunge all’altezza delle trincee, scavando buche prima e dopo il fossato, ma anche colpendolo in qualche caso. Gaetano guarda il capitano Ruggiero che si agita nell’assicurarsi che le sentinelle siano presenti nelle postazioni di avvistamento fortificate, e poi entra nella stanza sotterranea. Il rimbombo dei colpi che cadono è assordante.— Pro-probabilmente il nemico cercherà un attacco. Do-dobbiamo stare pronti. Il nostro Co-comando dice che il nostro avversario è allo stremo delle forze e che siamo molto vicini alla vi-vittoria.

Molte facce lo guardano intimorite. Facce vecchie e facce già stanche, facce che non capiscono e che non hanno mai capito cosa li circondi, tranne il valore di essere lì. Quello gli è stato insegnato bene.

Franco scuote la testa. — Ma non c’è da preoccuparsi molto per il bombardamento del nemico, serve a innervosirci e a tenerci bloccati, più che a colpirci e a farci direttamente dei danni. Anche loro, come noi, stanno usando per l’artiglieria i soldati che sarebbero altrimenti meno utili sul campo di battaglia. Con gli obici non serve mica vedere il bersaglio; basta fare dei calcoli, saper distinguere al tatto i comandi e i proiettili e seguire gli ordini quando serve. È proprio come sparare alla cieca, ecco perché usano…

Un tremore più grande agita la stanza, segno che il colpo è arrivato molto vicino.

— … ma anche avere un poco di fortuna, non guasta di certo!    

All’esterno si sentono dei fischi, accompagnati dalle grida dei comandanti. — Tutti fuori, stanno arrivando!

Gaetano fa cenno ai nuovi soldati di prendere le armi e di uscire. Entro breve l’artiglieria cesserà di sparare e la fanteria nemica, o quello che ormai rimane della fanteria nemica, si riverserà sulle loro posizioni. Spetta a loro, per quanto siano in pochi, respingerla. Uno a uno i rimpiazzi appena arrivati si ritrovano all’esterno, qualcuno zoppicando, qualcuno caracollando, qualcuno dondolando, qualcuno tenendosi in piedi con un bastone, ma tutti sicuri del proprio compito. Quello che è stato insegnato loro.

Gaetano prende posto sul bordo della trincea; cerca di far spuntare il meno possibile la sua testa dal riparo fatto di sacchi di sabbia, e punta il suo fucile verso la terra di nessuno. Daniele è a poca distanza alla sua destra, Franco è a sinistra.

I colpi di artiglieria smettono di cadere e appaiono le sagome del nemico. Anziani sulle sedie a rotelle si spingono per andare a tagliare le recinzioni di filo spinato dove queste bloccano ancora la strada ai loro compagni che, incespicando anche dove il terreno è liscio, avanzano in gran numero.

Gaetano prende la mira e inizia a sparare. In altri punti della trincea una mitragliatrice crepita, vomitando pallottole in quantità e falciando i nemici, ma malgrado questo sembra che il loro numero sia comunque troppo grande per poter essere fermato, perché per ogni avversario che cade, un altro prosegue verso le posizioni dei difensori.

Gaetano allora spara fino a quando non si esaurisce il caricatore e poi ne prende un altro. Nei pochi attimi in cui distoglie lo sguardo, i soldati che avanzano sembrano moltiplicarsi.

— Prepararsi! — urla il capitano Ruggiero, che spara mentre è in piedi su di un supporto in modo da potersi trovare a livello del bordo della trincea. Poi sguaina la spada, che quando sta nel fodero è abbastanza lunga da grattare il terreno mentre cammina.