Non accenna alla storia delle rondelle ossee e dei fantomatici nemici che sono tornati per bucarci la testa. Per telefono risulterebbe ancora più incredibile.Giannina torna a tavola, nella saletta dell’osteria Fefa. Le servono pane e salame. Ha appuntamento con Borsari più tardi, quando si sarà cambiato d’abito e riposato.Studia gli altri clienti nel locale. Gente che mangia, beve, guarda la televisione. Parlano dialetto e hanno nomi emiliani. Possibile che siano le vittime predestinate di un freddo massacro, identico a quello avvenuto tremila anni fa?

Chiede il conto, glielo porta un cameriere che parla in italiano senza accenti dialettali. Potrebbe essere uno di loro.

Giannina esce dal locale, entra nel buio della notte che infittisce anche i dubbi.

Se nel neolitico loro rinchiusero le vittime nei campi di concentramento, oggi impiegheranno mezzi più crudeli e meno appariscenti per rubare i cervelli e distruggere i cadaveri. Potrebbero continuare col sistema usato finora, incidenti stradali e incendi, senza destare eccessivi sospetti.

— Abita qui il professor Borsari?

— Al portone accanto.

Borsari la fa entrare dopo essersi ben assicurato che si tratta di lei. Richiude subito il portone col catenaccio, porta l’indice alle labbra.

— Sono contento di rivederla — dice sottovoce.

Al centro dello stanzone che serve da studio-laboratorio all’archeologo, c’è anche una lavagna, di quelle che si usano a scuola, sulla quale sono tracciate le parole:

paleolitico: nessun insediamento

neolitico: terramare - loro sparizione

nessun insediamento

etruschi

galli

romani

— Vede? — Borsari indica la lavagna. — I terramaricoli sparirono all’improvviso e misteriosamente. I successivi insediamenti etruschi sono di molto posteriori. È come se nel libro della nostra storia mancasse una pagina.

L’archeologo tace. Sembra che improvvisamente si sia stancato di chiacchierare. Riempie con l’azione quel silenzio: sistema in uno zainetto delle scatole grigie.

— Cos’è quella roba? — domanda Giannina.

Nello zainetto mette anche un rotolo di filo elettrico e una specie di radiolina. Finalmente si decide a rispondere, dopo avere indossato l’impermeabile.

— Esplosivo plastico. Loro mi stanno sorvegliando da vicino. Li attirerò in un tranello...

— Avvisiamo la polizia.

— Non serve. Arrivederci.

Esce tanto velocemente che Giannina non fa in tempo a rendersene conto. Pensava che Borsari avrebbe prima fatto uscire lei, poi spenta la luce e infine chiusa a chiave la porta di casa: gesti normali in una situazione normale. Invece l’ha piantata lì. Lo rincorre. Sulla strada riesce a scorgere le luci di posizione della macchina di Borsari che si allontana.

Monta sulla Mini e si lancia all’inseguimento. Conosce la destinazione: la terramara della Ca’ Rossa.

A un chilometro dal Finale, deve rallentare. Automobili e gente occupano la strada, con una strana aria di sagra, come se aspettassero il passaggio del Giro d’Italia.

Un carabiniere si avvicina alla Mini.

— Mi dispiace, non può entrare nella Valle.

— Il Panaro ha rotto gli argini?

— No, ma può succedere da un momento all’altro.

— Lei è della Stazione del Finale? Conosce il professor Borsari, l’archeologo?

— Di vista.

— È passato di qui con la sua giardinetta?

— Assolutamente no. Transitano soltanto i mezzi anfibi dei Vigili del Fuoco.

Torna indietro. Procede a passo d’uomo, scrutando nel buio. Dopo un poco la trova, inclinata, con le ruote di destra nel piccolo fossato.

Borsari ha lasciato la sua macchina aperta. Invano, Giannina cerca lo zainetto con l’esplosivo.

Da qui alla terramara e al Panaro ci saranno tre chilometri, tagliando per la campagna.

Giannina si strappa a fatica dalla strada e dalla luce. Entra nel buio, sulla terra molle. Ma dopo un poco gli occhi si abituano e i piedi poggiano sicuri.

Da lontano scorge il posto di blocco. Procede oltre, cercando di non perdere l’orientamento. Le cascine sono state sicuramente evacuate da molte ore.

Crede di conoscere le intenzioni dell’archeologo. Si è trascinato appresso i nemici. Li condurrà fino al luogo prescelto e tenterà di ucciderli con l’esplosivo. O di annegarli facendo saltare l’argine.

Un’ombra nera arranca nell’oscurità. Giannina riconosce Borsari dalla protuberanza sulle spalle, lo zainetto che sembra una gobba.

— Professore!

— Ma è impazzita!? Non si avvicini!

La voce è incerta tra il grido per farsi bene intendere e il sussurro per non farsi sentire.

— Torni indietro — supplica Giannina.

— Loro mi aspettano laggiù, alla terramara. Io li sorprenderò presentandomi in compagnia del fiume. L’acqua li travolgerà.