Il film si divide in due mondi: il laboratorio e il fienile, cioè la casa di Dren. Due ambienti opposti. Il laboratorio è freddo e sterile proprio come ci si immagina che sia un laboratorio mentre il fienile è caldo e organico. Ho pensato che ciò riflettesse l’essenza del film: i protagonisti creano qualcosa di cui pensano di avere il controllo, come fanno tutti gli scienziati, ma, naturalmente, la vita è più complicata. E l’esistenza di Dren ha un impatto non solo sul mondo ma anche sulle loro vite. Il film quindi segue l’evoluzione di Dren, dal mondo limitato del laboratorio a quello poroso, aperto del fienile. E, eventualmente, nel mondo naturale.
Questo si percepisce anche nell’atmosfera, soprattutto nella luce...
Assolutamente sì. Anche se il film si svolge in un ambiente sigillato, si ha l’impressione di passare da un mondo a un altro. L’ho provato con Cube. Cambiando il colore della stanza, si ha la sensazione che cambi il posto. Sono assolutamente consapevole del fatto che le storie con pochi personaggi e poche location devono evolvere dal punto di vista visivo. E ho applicato questa teoria a Splice.E’ per questo che ha scelto Tetsuo Nagata (Direttore della fotografia in LA MUMMIA) come Direttore della Fotografia? Ci avevo già lavorato nel mio capitolo di PARIS, JE T’AIME. Volevo che la luce fosse ricca e piena di poesia. E Tetsuo è soprannominato “Il Principe delle Ombre”. Non ha eguali quando si tratta di dare forma alle ombre. È stata una scelta ovvia.
Tra il suo primo film, Cube, e questo, il budget è stato moltiplicato per 100 ($300.000 per Cube contro i 27 milioni di dollari per Splice). E’ cambiato anche il suo modo di lavorare?
















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