Credo che una ragionata riproposizione di questo atipico, graffiante autore spesso in anticipo sui suoi tempi sarebbe iniziativa di rilievo culturale e gradita a molti.
In chiusura, due note. La prima: Sternberg su Urania non era un caso isolato. Parlare di
Seconda nota. Come già venne rilevato da qualcuno negli anni ’50, e come più compiutamente descrive Ugo Malaguti nella sua prefazione alla ristampa (1996) di L’uomo, questa malattia di Claude Yelnick, in quei lontani anni Cinquanta in Francia, sulle rive della Senna, nei locali frequentati da intellettuali e scrittori, esplose un grande entusiasmo riguardante la fantascienza e che coinvolse rapidamente l’establishment culturale. Questa narrativa fu vista come forma letteraria innovativa, “di rottura” e subito fatta propria da accademici, giovani arrabbiati, esistenzialisti, cenacoli letterari, cineasti, pittori sperimentali. Ricordiamo, en passant, solo il nome dello scrittore Boris Vian (che fu anche cantante, autore di canzoni, jazzista). Il tutto favorì ovviamente la nascita d’una fantascienza autoctona. Assolutamente impensabile, da noi, una cosa del genere.
Impensabile ancora oggi…
“Ho orrore dei racconti realisti”
“La vita mi suicida: non vale affatto la pena di prendere una pistola”(Jacques Sternberg)












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