L'ipotesi secondo cui la vita potrebbe passare di pianeta in pianeta attraverso una sorta di processo di impollinazione dove le "api cosmiche" potrebbero essere asteroidi o comete, non è nuova, né campata per aria. Già da molti anni è creduto possibile e, anzi, piuttosto probabile, che i pianeti possano scambiarsi materiale e quindi non c'è ragione per cui questo non possa valere anche per materiale organico. Adesso un gruppo di astronomi dell'Armagh Observatory dell'Università di Cardiff (Galles, UK) sostiene che i microbi terrestri potrebbero diffondersi nella Galassia, portando la vita su altri mondi che fossero in grado di riceverla. A fare da veicoli per i microorganismi terrestri sarebbero frammenti di rocce scaraventate nello spazio in seguito a violenti impatti con asteroidi o comete. I calcoli e le simulazioni dei ricercatori, i cui risultati sono apparsi su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, provano che i microbi sarebbero perfettamente in grado di uscire dal Sistema Solare e di raggiungere così altre zone della Via Lattea, anche molto remote. Secondo Max Wallis e Chandra Wickramasinghe i detriti terrestri lanciati nello spazio potrebbero essere incorporati nel ghiaccio degli strati più esterni delle comete che, dopo un viaggio di milioni di anni, raggiungerebbero la Fascia di Edgeworth-Kuiper, la regione più esterna del Sistema Solare che ospita i residui della formazione del Sistema Solare, ovvero polveri, asteroidi, comete e piccoli mondi di roccia e ghiaccio. Poiché molti di questi oggetti con il tempo si perdono nello spazio interstellare, esiste la possibilità che anche i detriti terrestri possano un giorno raggiungere nuovi sistemi stellari in formazione. Qui, se le condizioni fossero adatte, i microbi potrebbero essere liberati e introdurre in questo modo la vita sulla superficie di mondi che altrimenti resterebbero primitivi. Secondo i ricercatori, recenti scoperte di microbi sopravvissuti per intere ere geologiche all'interno di rocce terrestri confermerebbero che i microbi sarebbero viaggiatori spaziali eccezionali, in grado di resistere nello spazio per centinaia di milioni di anni, se non addirittura per miliardi, cosa che favorirebbe enormemente le loro lunghe migrazioni cosmiche. Lo studio di Wallis e Wickramasinghe funge da conferma implicita anche al fatto che, a sua volta, la vita sulla Terra potrebbe non essere autoctona, ma provenire in origine dallo spazio.