di

Valerio Evangelisti

Il viso della luna, quaestio prima

Qualche dubbio sull'acquisto del nuovo romanzo di Valerio Evangelisti? Nella improbabile ipotesi che qualcuno possa nutrire simili indecisioni, ecco un assaggio tratto dal primo capitolo di Picatrix, la scala per l'inferno, sesto romanzo del ciclo dell'inquisitore Eymerich questo mese in edicola su Urania.

Non era frequente che Eymerich fosse costretto a contemplare la nudità di una donna, ma di tanto in tanto capitava. Qualche volta aveva provato segni certi di eccitazione, che aveva represso allontanandosi quasi di corsa dalla sala dei supplizi e trascorrendo ore in preghiera sul pavimento gelido della propria cella. In quel caso, però, non c'erano motivi per invidiare l'autoevirazione di Origene e maledire il proprio pene. La giovane legata alle corde che pendevano dal soffitto era magra, con i seni appena accennati e le costole sporgenti. Il ciuffo del pube era un insignificante triangolo nero tra gambe quasi scheletriche, agitate da un tremito convulso. Doveva patire il freddo di quella cantina umida, rischiarata a malapena dalle torce.

Eymerich rivolse un cenno di saluto a padre Simon e marciò verso il tavolo a cui sedevano il notaio, il commissario inquisitoriale e un novizio molto emozionato, chiamato a completare la giuria.

"Il vescovo non è ancora venuto?" chiese brusco.

Il notaio scosse il capo canuto. "No, e penso che non verrà. Sapete quanto è fragile. Pensate che la sua presenza sia necessaria?"

"No, non lo è. Mi basta il suo assenso." Eymerich si girò a guardare la giovane legata per i polsi. Teneva gli occhi chiusi e sembrava assopita. "Mossen Sanxo, è inutile che vi chieda se ha sottoscritto l'abiura."

Il notaio fece un gesto di diniego. "Non lo ha fatto. Sostiene di non essere mai stata giudea, pur essendo tale di stirpe, e di non essere mai ritornata alla religione dei padri. Quanto agli altri crimini, asserisce di non avere mai adorato Satana e di non avergli sacrificato dei bambini. Ammette solo di conoscere l'astrologia, ma nega di praticarla."

"Peccato" sospirò Eymerich. "Un'abiura ci servirebbe a giustificare questo processo agli occhi del re." Si aggiustò distrattamente le pieghe della tonaca bianca. "Le avete detto ciò che la aspetta?"

"Ci ha pensato mastro Gombau." Il notaio additò il robusto carnefice che si teneva dietro l'accusata, stringendo tra le dita un capo della corda. Al suo fianco sostavano a braccia conserte i suoi assistenti, due ragazzi dall'aria stolida e indifferente. Vestivano grembiuli da macellaio, lunghi fino ai piedi.

"Allora non resta che cominciare." Di malavoglia, Eymerich si portò di fronte alla prigioniera. Notò le spalle esili, contuse in più punti, e la pelle d'oca sulle braccia. Aveva un viso scarno, né brutto né bello, e tratti molto marcati. "Apri gli occhi" le ordinò.

La donna obbedì. Le sue pupille nerissime si volsero attorno, smarrite. Era chiaramente percepibile, al loro fondo, una paura senza nome.

"E' inutile che ti ricordi i tuoi delitti" scandì Eymerich con voce glaciale. "Non hai voluto né confessare né abiurare. Sapevi benissimo ciò che ti sarebbe capitato."

Le labbra della giovane fremettero, ma non ne uscì alcun suono. Una goccia di umidità si staccò dalla volta del soffitto e le cadde tra i capelli crespi, tagliati corti. Trasalì leggermente, poi abbassò gli occhi e rimase a fissare il pavimento.

"La tortura, la quaestio, è il momento più difficile nella missione di un inquisitore" proseguì Eymerich, senza alcuna emotività. "Da uomo di Dio, odia fare del male a un essere umano. Però sa anche qual è il suo dovere, e che dalla sofferenza di uno può derivare la salvezza di molti. Per cui ti chiedo, un'ultima volta, di confessare. Anzi, ti supplico di farlo, e di salvare la tua anima e il tuo corpo."

Questa volta le labbra riarse della prigioniera si schiusero. "Non ho nulla da confessarvi" bisbigliò. Le parole furono soffocate dalla fuoriuscita di una bava schiumosa, che colò lungo il mento.

Eymerich alzò le spalle. "Allora te lo sei voluto." Fece un cenno a mastro Gombau. "Potete procedere."

Il corpo della donna era così gracile che il carnefice riuscì a sollevarlo solo tirando la corda, senza l'aiuto degli assistenti. La fune frusciò entro l'anello conficcato al centro della volta. Le braccia della prigioniera, legate dietro la schiena, scricchiolarono orribilmente. Il rumore di giunture distorte fu sovrastato da un grido acutissimo, gonfio di disperazione. La prigioniera rimase a scalciare con le gambe ossute a due braccia dal suolo.

Padre Simon, muto e torvo fino a quel momento, si fece avanti.

"Grida, grida, anima perversa!" urlò con furore selvaggio. "Questo è solo un anticipo delle pene che ti aspettano all'inferno!"

Eymerich si girò di scatto verso il confratello. Ebbe l'impressione che le pupille del vecchio domenicano, strette e feroci, fossero puntate verso il pube della donna, ora ben visibile con la sua peluria scura. Gli sembrò anzi che gli occhi di tutti i presenti fossero volti nella stessa direzione. Ciò lo indignò. "Basta, fatela scendere!" ordinò al carnefice in tono irritato. "Devo interrogarla."

Mastro Gombau obbedì e lasciò piano piano la corda. La giovane cadde sulle ginocchia e scoppiò in singhiozzi. Eymerich le toccò le scapole sporgenti, provocandole un sussulto.

"Questo è un assaggio" disse con calma forzata. "La tortura vera e propria deve ancora cominciare. Hai ancora tempo per rendermi una confessione piena e sincera, e risparmiarti altri tratti di corda."

La donna continuò a piangere. Leggermente turbato, Eymerich le voltò la schiena. "Le tue lacrime sono inutili" esclamò in tono un po' troppo brusco. "La giustizia che questo tribunale amministra deve essere inflessibile, quanto lo era Cristo con i nemici di Dio." Tornò a girarsi verso la prigioniera. Questa volta la sua voce suonò meno metallica. "Non credere che la carità ci sia ignota. Parla e scoprirai quanto può essere generosa la sacra Inquisizione, davanti a un pentimento dettato dal cuore. La mia prima domanda è la stessa che ti ho posto all'inizio di questo processo. Cosa ti ha indotto a un crimine tanto orrendo?"

La giovane alzò la testa, mostrando il viso scarno rigato di pianto. Rivoli di muco le scendevano dal naso, fino a imperlarle le labbra. "Non l'ho fatto per mia volontà" riuscì a sussurrare.

Eymerich alzò le spalle. "Non è una risposta. Va bene, peggio per te." Cercò gli occhi cisposi del notaio. "Mossen Sanxo, la sessione di tortura continua. Capovolgete la clessidra e prendete nota dell'ora." Mentre l'altro obbediva, alzò una mano verso il carnefice. "Forza, mastro Gombau. Un altro tratto di corda."

Il corpo pallido ed esile della giovane donna fu sollevato nel vuoto e lasciato oscillare. Si udì distintamente lo schiocco sordo dei polsi che si spezzavano. Il grido che scaturì dalle labbra schiumanti della prigioniera non aveva nulla di umano. Era il rantolo vibrante di un essere ricondotto alla sua natura animale, e ai suoi sconvolgenti terrori.

Altre gocce di umidità caddero dalla volta su quel corpo martoriato.

Tratto da Picatrix La scala per l'inferno, in edicola su Urania n. 1330. Per gentile concessione di Arnoldo Mondadori Editore