Il romanzo d'esordio di Stuart Turton, descritto come “un misto di Inception e Agatha Christie”, è ambientato in una villa aristocratica decadente in una campagna isolata, in un momento storico-fantastico non meglio specificato. La vicenda inizia con la prospettiva del narratore/protagonista, Aiden Bishop, che non ricorda quale sia la sua identità. È costretto a rivivere lo stesso giorno otto volte di seguito, entrando però ogni volta nel corpo di un diverso personaggio. Solo se riuscirà a trovare chi ha ucciso Evelyn si spezzerà questa maledizione. Evelyn viene uccisa sette volte, sempre alle 11 di sera, durante la festa in suo onore. Questo meccanismo, che ho qui molto sintetizzato, crea non pochi problemi al lettore. Molti non hanno capito le implicazioni del tutto. Innanzitutto il protagonista ad ogni incarnazione vede gli avvenimenti da una prospettiva diversa. Il lettore scoprirà, quindi, sempre dei tasselli che prima erano stati oscurati con sapienti giochi di prospettiva chiusa e aperta. Fin qui si resta nel campo del fantastico ma a sfondo realistico. Il bello arriva quando Aiden incontra le versioni incarnate di sé stesso negli altri corpi, che sono state temporalmente precedenti a quello attuale o successive.

In questo senso, il romanzo è simile a Inception, la pellicola di Christopher Nolan. Il concetto di tempo lineare si sbrindella sotto i nostri occhi. 

Certo è che nelle sue scelte Aiden a volte è guidato dai consigli velati e ambigui di un suo sé futuro che conosce già gli eventi, altre volte agisce lui aiutando il suo precedente sé in difficoltà. Se vi sembra complesso è perché lo è. La trama viene ulteriormente complicata da un gran numero di personaggi secondari. Inoltre vi è un essere misterioso che cerca di uccidere lui e gli altri protagonisti. Il nostro protagonista, inoltre, non è da solo, ma in competizione con altri reincarnati che lottano o si alleano con lui per sciogliere il mistero dell’uccisione di Evelyn (alla fine solo chi risolve il mistero per primo può uscire dal loop). Giunge presto in scena e si ritrova fino al finale clamoroso anche una figura ancora più enigmatica, un demiurgo onnisciente e crudele, un possibile emissario di un burattinaio del caos vestito da medico della peste, interamente di nero e con una maschera da uccello. Come in un romanzo di Hercule Poirot, all’inizio del libro vengono offerti ai lettori sia una mappa dettagliata della villa e delle stanze con i rispettivi ospiti che un elenco dei vari personaggi, scritto sotto forma di invito alla festa, per cercare di dare aiuto al lettore. Che dire in definitiva? È sicuramente un libro incredibilmente originale e unico, un thriller intellettuale sofisticato e ricercato anche nel linguaggio oltre che per la storia e la struttura. Stuart Turton ha rielaborato molti tropi della cultura popolare trasformandoli in qualcosa di innovativo, un romanzo complesso, impossibile da riassumere, la cui storia è governata e sospinta da una serie di regole ingegnose e assurde.

Indubbiamente in alcuni punti diventa inutilmente complicato, anche eccessivamente lungo, forse si poteva sintetizzare alcune ridondanze e ripetizioni, puntare più ad una sintesi di quello che voleva dirci l’Autore. Il meccanismo, ad esempio, è stato usato da Italo Calvino in Se una notte d’inverno un viaggiatore, capolavoro del Novecento, con esiti francamente ai quali questo libro non si può nemmeno affiancare. Detto questo vale la pena leggere una novità di diverso stampo, che punta al mercato commerciale di buona qualità

Un romanzo psicologico ma anche una giallo con qualche tocco di horror.