Il primo fumetto di Moebius che mi capitò fra le mani, all'epoca non sapevo nemmeno si chiamasse Jean Giraud, non è stato qualcosa di fondamentale come Arzach o essenziale come la saga dell’Incal, ma qualcosa di commerciale, un’opera minore, se così la possiamo definire, come la sua interpretazione di Silver Surfer, all’epoca un personaggio secondario della Marvel ma già ricco di fascino cosmico, in una graphic novel (Parabola) scritta dallo stesso Stan Lee. Doveva essere la prima edizione italiana, dentro all’inserto dedicato al fumetto mainstream di Corto Maltese, ed io non avevo nemmeno finito le scuole medie, rubavo di solito i fumetti dal comodino di mio padre ma raramente trovavo qualcosa di interessante da leggere. Non mi fermai nemmeno un istante per scorrere l'introduzione, solo molto tempo dopo scoprii che la storia in questione si era meritata un Eisner, buttandomi subito nel vivo dell'opera, un salto nel buio insomma. Nacque in quel momento la mia passione per l'autore, mi innamorai dei disegni, della atmosfere dettagliatissime ma allo stesso tempo sognanti e soprattutto della forza immaginativa dietro ad ogni particolare di ogni tavola tanto che, ancora oggi, quando penso a Galactus o a Silver Surfer la prima immagine che mi si forma davanti agli occhi è quella nata dalla matita di Moebius. Purtroppo ero troppo piccolo solo per pensare che ci fossero negozi di fumetti, mio padre era molto esperto su autori come Sergio Toppi, Hugo Pratt o Altan ed Internet era ancora molto lontana, quindi, per qualche tempo, io e Jean Giraud prendemmo sentieri separati.

Lo ritrovai proprio a Parigi, di persona, quasi una decina di anni dopo mentre firmava autografi al Centre Pompidou dopo un suo intervento sulla serie western di Jim Cutlass destinata a terminare proprio in quegli anni. Non avevo per le mani nessuna sua opera, nemmeno avevo letto l'Incal ancora e soprattutto, devo ammettere, mi mancò il coraggio di avvicinarmi ad un personaggio che sembrava uscito, fatto e finito, dalla materializzazione di una favola per bambini. Quindi rimasi in piedi come una pietra a godermi la scena e poi rimasi anche dopo, in biblioteca, a visitare la piccola mostra allestita sul suo lavoro e rimasi fino alla chiusura stessa della biblioteca, verso le dieci di sera, a leggere tutto quanto avevano a disposizione sull'autore. Ero stato incantato una seconda volta e scoprii, uno dopo l'altro, tutti i mondi e tutte le sfaccettature dell'animo di Jean Giraud, dal peculiare Vecchio West di Gir fino ai mondi alieni di Moebius.

Quando si parla di Moebius è difficile pensare, considerato l'approccio innovativo di quasi tutte le

 sue opere, ad un autore nato prima della seconda guerra mondiale e formatosi nella Francia del primo dopoguerra, illustrando un classicissimo filone narrativo come il western, al tempo molto in voga. Nato nel 1938, Jean Giraud comincia ad appassionarsi di fantastico coi primi numeri delle riviste Fiction e Galaxie regalategli dal padre in occasione del suo quattordicesimo compleanno. Sceglierà il fumetto come messo d'espressione solo dopo la scuola superiore d'arte applicata lavorando, anche durante il servizio militare, per alcune testate come Far West, facendosi così conoscere nel mondo della bande dessinée franco-belga fino a suscitare l'interesse di Jijé, al secolo Joseph Gillain, al tempo già un maestro affermato e con idee non proprio appartenenti all'espressione classica del genere. Nel 1961 diventerà l'apprendista proprio di Jijé e poco dopo gli sarà assegnata la gestione della sua prima storia, un episodio della serie di Jerry Spring, western in uscita sul periodico Spirou, dal titolo La Route de Coronado. Nascerà da questa esperienza e dall'influenza creativa di Gillain, Blueberry, uno dei suoi personaggi più affascinanti, sempre appartenente al mondo del Vecchio West, ma con un sapore così europeo e così fuori dalle righe da lasciare una traccia indelebile nel modo di concepire la Frontiera americana da parte del fumetto d'oltreoceano.