Gli scrittori più smaliziati sono ben consapevoli del pericolo, e per questo si rifiutano ostinatamente di avvicinarsi e/o di rivolgere parola ai curatori. Non di rado, è possibile vedere scrittori che toccano curatori solo con lunghi bastoni o con guanti sterili, correndo poi subito a disinfettarsi: non si tratta, come qualcuno potrebbe pensare, di disprezzo verso la categoria, ma di legittima difesa. Ma i guanti sterili sono solo un palliativo. Debellare la specie dei Refusus va, purtroppo, oltre le possibilità degli autori. L'unica cosa che l'esordiente può fare, per limitare i danni alla propria salute, è tentare di escludere dalla mente il problema. Perciò, ricordate, vietato leggere. O meglio, rileggere. La copia-omaggio per l'autore, quando fornita, va tenuta doverosamente sigillata, a religiosa distanza, intonsa, e va manipolata con grande attenzione.

Il silenzio è d'oro

La seconda causa scatenante la Sindrome dell'Esordiente Pubblicato è la deplorevole e temeraria abitudine (propria degli autori novelli e ancora candidi) di mostrare la propria opera a parenti, amici e colleghi. Spesso avviene che l'autore, cedendo a una comprensibile debolezza umana, voglia rivelare il suo recente successo editoriale a chi gli sta vicino, in ufficio come in famiglia. E' un'imprudenza che l'incauto scrittore in genere paga molto cara, nei casi migliori procurandosi un'ulcera gastro-duodenale, nei peggiori finendo in manette con l'accusa di omicidio preterintenzionale. Ciò che i novelli autori in genere non afferrano, infatti, è che la stragrande maggioranza delle persone è non solo completamente aliena ai problemi e alle gioie del mondo letterario, ma addirittura ignora che il suddetto mondo esista. Il collega d'ufficio e/o il parente medio, di norma, non capiscono non solo cosa significhi essere autore di un libro pubblicato, ma finanche che diavolo sia un libro. E, anche quando lo comprendono, se ne sbattono allegramente. Capita ad esempio che l'esordiente pubblicato entri in ufficio brandendo gongolante una copia fresca di stampa del proprio romanzo. Egli strappa il vicino di scrivania e/o il capufficio dalle loro imprescindibili occupazioni (il sonno, il tresette, la navigazione sul sito di Playboy) e tenta di farli partecipi della propria eccitazione; si dilunga a disquisire sulla diffusione del romanzo, sul fascino della copertina, sui temi affrontati, sul pathos della trama, sul messaggio, sul giudizio della critica. Il vicino di scrivania e/o il capufficio, con aria torpida, attende che l'autore termini il suo sermone. Poi, quando quest'ultimo tace per riprendere fiato o allarmato dall'assenza di reazioni nell'interlocutore, egli assume un'espressione da vittima della guerra chimica, prende in mano il libro in questione, e gela l'autore con una frase mitica , rivelando di non aver ascoltato assolutamente nulla di ciò che gli è stato appena detto, e di aver afferrato ancora meno. Poi, approfittando della momentanea paralisi esterrefatta dell'autore, il collega/capufficio torna alle proprie improrogabili attività lavorative (il sonno, il tresette, la navigazione sul sito di Penthouse): un istante dopo, l'episodio viene completamente dimenticato. Capita in altre sciagurate circostante che l'esordiente pubblicato tenti di vivacizzare una terrificante serata tra parenti indirizzando la conversazione sui propri recenti traguardi letterari. Tale argomento viene in genere accolto dai congiunti con l'interesse e la reattività del Muro di Berlino. Di norma, intorno al tavolo si propagano vaghi cenni di assenso automatico, in cerchi concentrici sempre più deboli; il discorso torna quindi rapidamente sulle ultime vicende di corna della pecora nera della famiglia, quasi sempre una cognata di nome Evelina.

A volte, se l'autore è così fortunato e abile da far giungere a destinazione le proprie parole, accade che un parente alzi la testa dai propri rigatoni al sugo di cozze, sbarri gli occhi come Paolo sulla via di Damasco ed esclami un'altra frase mitica , ad esempio: "Che coincidenza! Anche il figlio del mio portiere, una volta, ha letto un libro! Devi assolutamente parlarci! Vuoi segnarti il numero?".

Ovviamente, a questo punto, la partita è perduta: qualsiasi tentativo di spiegazione, qualsiasi accenno al fatto che i lettori/scrittori (nell'immaginario collettivo del parentame associati ai bibliotecari, ai commessi di libreria e ai solutori di cruciverba), per quanto possa sembrare strano, non usino scambiarsi ricette e medicamenti come malati di emorroidi, cade nel vuoto. L'autore è costretto ad appuntarsi il numero telefonico del figlio del portiere e promettere di chiamarlo perché "E' tanto giovane, poverino·".

E tuttavia, gli effetti più devastanti per la salute dell'esordiente non si hanno nei casi appena descritti. Si verificano invece in presenza del più pericoloso e infido esemplare di parente/amico/collega: il Falso Entusiasta.

Costui (in genere un tipo panciuto, calvo, quasi sempre di nome Walter), in un vertice di sublime perfidia, apparentemente recepisce e afferra compiutamente la notizia che il congiunto/amico/collega è appena diventato uno scrittore pubblicato. Si spertica allora in complimenti, si sloga la mascella in sorrisi, si deforma l'articolazione della mano in strette e pacche sulle spalle.

Poi richiede, anzi pretende, una o più copie del libro in omaggio. All'autore, che razionalmente lo invita a recarsi in libreria e ad acquistare il volume, replica imbronciato e offeso, sibilando alcune straordinarie frasi mitiche .

L'autore, di norma, tenta di chiedere al Falso Entusiasta se egli pretenda parimenti il pieno gratis dall'amico benzinaio, o il prosciutto a sbafo dal cognato salumiere. Ma, naturalmente, non riesce a far capire l'obiezione. Il Falso Entusiasta insiste fino a quando, imbarazzato e stanco, l'autore cede, acconsentendo a donare all'importuno una copia del proprio romanzo.

Il Falso Entusiasta, ancora, non è contento. Egli vuole, anzi intima, una dedica adeguata sulla seconda di copertina, che lo citi come amico del cuore e lo aduli nella maniera più gratificante possibile. L'autore (la cui epidermide a quel punto comincia a riempirsi di vesciche pruriginose) è costretto a vergare e correggere più volte una frase appropriata, lavorando di gomma e di lapis fin quando il tanghero non si dichiara soddisfatto.