Stavano sotto l'immensa campata di uno dei ponti di trasferimento. In alto si vedeva il traffico metropolitano, milioni di piccole bolle biposto e familiari si incrociavano come uno sciame di mosche impazzite nella luce grigia, più in alto grossi calabroni a centinaia di posti volavano pigramente da un ponte all'altro. Il vagabondo tracciava segni sul terriccio, segni che poi cancellava, senza badare al mulinare ipnotico di lassù.

- Che fai?

- E' la mia cura - disse il vecchio.

- Sei malato?

- Sto morendo. Questo mi aiuta a resistere.

- Resistere? Che vuoi dire?

- Mi hanno detto che dovevo rimanere qui. Ora capisco che era per te. Per aiutarti a passare.

- Ho insabbiato il caso, tenuto lontano la Sorveglianza. Volevo trovarti. Sapere cosa è successo al mio compagno. Mi hai detto che non devo farmi sistemare la mano, anche se questo dovesse costarmi il posto, e forse la vita. Non me ne andrò senza una risposta.

Il vecchio continuava a disegnare, lento e preciso. I segni si intrecciavano e si susseguivano come le parole di una preghiera recitata da molte voci.

- Quando il tempo era fermo c'erano grandi varchi conosciuti e ben custoditi. Loro andavano e venivano, si mangiava e si giocava insieme. A loro piaceva qui, anche se mancava quella luce piena e vitale, quelle nuvole indomabili. Qualcuno di noi, particolarmente amato, li seguiva al di là, e talvolta non faceva ritorno. La loro compagnia era la vita di ogni festa, si rideva e si piangeva con loro e grazie a loro. Poi si ruppe qualcosa, non so, forse ci fu un gesto sbagliato o una parola fuori luogo. Il tempo cominciò ad accelerare, dapprima impercettibilmente, poi sempre più noncurante e precipitoso. I varchi permanenti si restrinsero, e alla fine svanirono quasi tutti. Sono rimasti soltanto quelli ciclici, angusti e pericolosi, e gli occasionali, impossibili da utilizzare per noi. - Abbassò la voce. - Loro sanno sempre quando una porta è transitabile. Vengono ancora, qualche volta. Non si divertono più tanto, ormai, quaggiù. Ma per noi è così difficile passare. Non c'è più naturalezza né gioco: ci vogliono calcoli, un buon collimatore dimensionale, ed esperienza. E' difficile e rischioso. Dicono che da qualche parte il tempo è ancora lento. Non come una volta, solo quel tanto da permetterti di passare, se è il momento giusto. Ma il momento giusto non dipende dall'orologio. E se sbagli, se resti a metà strada, è una sciagura. Meglio morire, credimi, come è successo al tuo compagno. Se sopravvivi, qui sei uno straniero, come un errore che salta all'occhio, che bisogna correggere. Per di più il tuo corpo è contaminato. Se rimani, presto la forza che lo chiama dall'altra parte comincerà a consumarlo. Di là è troppo più chiaro, più colorato, più vivo.

L'uomo rivide la sua vita, e non trovò niente di intatto: il gusto del rischio si era fatto opaco, la stima dei colleghi era svanita insieme alle sue falangi, quando l'avevano trasferito agli Smarriti.

- Mi aiuterai?

Il vecchio alzò gli occhi dal disegno: - E' da tanto che ti aspetto. Passeremo insieme.

Alla Quinta Sorveglianza ci fu da chiacchierare per un bel po' di tempo: il nuovo ispettore sparì misteriosamente come il detenuto che avrebbe dovuto riconsegnare alla ritenzione; di conseguenza, il Pregiato Sovrintendente fu rimosso dall'incarico. Per qualche tempo mise in subbuglio le sue amicizie, o come dicevano i maligni, complicità, per ritrovare l'uomo che aveva creduto di manovrare e di cui si sarebbe rapidamente sbarazzato, una volta che avesse sbrogliato la faccenda. Per i vagabondi della metropoli non fu facile tirare avanti, in quel periodo. Il locale dove era avvenuto un certo incidente fu setacciato da cima a fondo e poi demolito, e ogni singolo mattone, suppellettile e insetto scandagliato in tutte le sue sette dimensioni. Inutilmente.