L'uomo in borghese taceva, pallido e stanco. Alla fine chinò il capo, e quando prese a parlare la voce era ferma, anche se un po' sbiadita. - Senti, Sovrintendente, hai una bella poltrona comoda e un ufficio grande come una sala d'aspetto. Sono sicuro che quella scatola di sigari vale quanto uno dei nostri stipendi. Hai una trasfomobile potente, un multisensore di lusso, a basso disturbo, e forse quando ti siedi al Consiglio Centrale pensi di essere molto importante. Ma io me lo ricordo di quando pattugliavi i mercati, lungo il Dabh, e anche là se lo ricordano, povera gente. Quanti ne hai massacrati, perché non potevano pagarti la protezione? Adesso hai un sacco di patacche luccicanti sulla divisa, ma sei rimasto quello di allora, un aguzzino. Che cosa vuoi da me? Continua la tua luminosa carriera e lasciami in pace.

- Io sono stato promosso Pregiato Sovrintendente in meno di due anni, il più giovane del Consiglio. E tu? Uno zero. Pensi di potermi giudicare? Io dico che i fatti parlano da sé. Comunque voglio solo due cose da te, tavner, poi potrai tornare nella tua fogna. Voglio sapere come hai fatto a seminare le olocamere. E voglio che mi riporti quel detenuto.

- E se rifiutassi?.

- Potremmo risolverci a curare la tua esagerata memoria.

Cambiò diversi ponti di trasferimento, confondendosi nella folla. La minaccia del Sovrintendente non era giunta inattesa. Se mai, era quasi certo che, comunque fosse finita, lo avrebbero preso e sottoposto a cancellazione. Ridotto a una larva docile e a malapena cosciente, sarebbe stato lasciato in un vanotrofio, e forse, visto che il suo corpo, a parte la mutilazione delle due dita, era in buono stato e ancora vigoroso, avrebbe subito un innesto subencefalico per renderlo abile ai lavori pesanti. Morire nelle miniere, o sui nastri eclittici, morire essendo già morti, carne automatica che si muove inconsapevolmente, come un ingranaggio, e che alla fine si disfa senza un gemito, e allora si butta il rottame, salvando dalle macerie solo l'innesto digitale, che andrà reimpiantato in un altro relitto. Mentre scendeva dall'ultimo ponte del tragitto, l'uomo sentì un brivido; e non era solo l'aria gelida della notte di periferia.

Ripensò al locale dove lui e Ti Otto erano entrati per caso, quel giorno. Per caso? Non proprio, li aveva attirati l'insegna. Si erano seduti e solo allora si erano accorti che il posto era singolare. Non c'erano prese flebo. Niente simulcabine, nemmeno di quelle consentite ai minori. Si guardarono con aria interrogativa; tardavano a prendere le ordinazioni, così Ti Otto fece due passi per la sala, osservando un vaso sbreccato sulla mensola della parete di fondo. - Sembra antico, sai?

Nell'angolo c'era una porta. - Sarà il ripostiglio? - Stava per tornare a sedersi, ma improvvisamente, vinto dalla curiosità o dal sospetto, tornò indietro. Socchiuse la porta, e il compagno intravide degli scaffali, un secchio, vecchie scope di saggina. Si voltò speranzoso verso il banco: nessuno. A un tavolo distante due uomini, probabilmente ubriachi. Un vecchio stava seduto con le spalle all'ingresso, gli abiti strappati e ricuciti in più punti, troppo strappati e troppo mal rappezzati per essere quello che sembra, pensò. Ma la voce di Ti Otto lo richiamò: - Guarda! Guarda, ti dico! - Vide che aveva spalancato la porta, e dalla soglia contemplava l'interno del bugigattolo. E' impazzito, si disse. Che c'è da guardare? Ma il presunto vagabondo intervenne: - Togliti da quella porta - e si alzò alla volta di Ti Otto, che non si era neppure voltato, tanto era preso da ciò che vedeva. Allora, mentre il vagabondo gridava: - Via di lì, via! - e gli era quasi addosso, anch'egli balzò dalla sedia e senza sapere a che scopo in due passi fu alla porta. Allora accadde. Senza rumore. Aveva detto bene il Sovrintendente: fu come se una ghigliottina invisibile e silenziosa fosse calata sulla soglia. Il vecchio avrebbe voluto afferrare Ti Otto e trascinarlo indietro, ma arrivò tardi; quanto a lui, non riuscì che a posargli una mano sulla spalla, e due falangi scomparvero insieme a metà del compagno. E ricordò che mentre si guardava la mano, meravigliandosi di non provare dolore, quel che restava di Ti Otto crollò in terra con un tonfo irreale. Allora svenne.