L'aria puzzava veramente di pesce marcio. Tutt'intorno gravava una nebbia fittissima che non faceva scorgere nulla al di là di un palmo dal naso e la terra sotto i miei piedi sembrava un'onda fluttuante di melma in perenne movimento. Era una sensazione strana: non affondavo nel terreno paludoso ma era come se il terreno stesso scivolasse sotto di me. Sembrava di camminare su una tela morbida e cedevole distesa nell'acqua. Scartai subito dalla mente sciocchezze del tipo pianeti viventi, o immensi organismi che ricoprivano chilometri di superficie, a favore di una spessa coltre di fango ricoperta da erbacce e arbusti.

Dovetti in ogni caso riconoscere che il burocrate che tra le tante razze dell'Impero aveva indicato me, uno Shprozji, per quella missione non era poi tanto ottuso: il mio corpo lungo e leggero, provvisto di un centinaio di piccole zampe, era il più adatto a muoversi in quell'ambiente. I miei occhi, però, non erano all'altezza del compito per via della nebbia veramente troppo spessa.

Inserii la visione all'infrarosso... e fu allora che lo vidi.

Era a qualche centinaio di metri di distanza da me e si muoveva su un veicolo meccanico. Apparteneva di certo alla razza degli Ahyi, gli alieni che erano improvvisamente comparsi alla periferia del nostro impero. Fino a quel momento avevamo soltanto captato la scia delle loro astronavi, mai a meno di milioni di chilometri di distanza; ci eravamo, per così dire, sfiorati, annusati a grandissima distanza, ma quella era la prima volta in assoluto che un alieno era così vicino, in carne e ossa.

Stavo per provare emozione e paura per quell'incontro così ravvicinato, quando i sensori percepirono un flusso anomalo di trasmettitori neurochimici nel mio sangue e provvidero a eliminarli immediatamente.

Mi ritrovai, così, calmo e concentrato sulla missione: catturarlo vivo, se possibile.

La visione all'infrarosso mi offriva un'immagine completa dell'alieno. Egli aveva un centro di energia pulsante nella parte superiore del torace. L'energia fluiva verso quattro appendici periferiche, due laterali e due inferiori, e verso l'alto: la testa. Insomma mi trovavo di fronte a un bipede provvisto di braccia e di una testa ben distinta dal tronco.

Valutai la situazione. L'Ahyi non sembrava essersi ancora accorto della mia presenza; potevo, dunque, sparare in assoluta tranquillità e impadronirmi di lui, col rischio, però, di impadronirmi di un organismo morto, poiché non conoscevo l'effetto delle nostre armi sugli alieni. A me serviva, primariamente, un organismo vivo.

Non avevo altra scelta che avvicinarmi. Mossi lentamente la coppie di zampe posteriori, facendo attenzione a non provocare il più piccolo rumore. Ignoravo del tutto le capacità sensoriali della mia preda, sia quelle visive che olfattive e acustiche.

Quasi certamente gli Ahyi non sapevano nulla della nostra esistenza, perché i rapporti dicevano che, fino a quel momento, avevano soltanto sfiorato qualche pianeta senza importanza della nostra periferia più estrema, tipo Tenebra; ma la periferia è sterminata, vi sono abissi di migliaia e migliaia di anni luce senza pianeti abitabili e la possibilità di contatti è veramente remotissima.

Tuttavia, non sapevo come, qualcuno del Comando aveva visto giusto e il contatto infine era avvenuto... e vedeva protagonista proprio me! In qualche maniera Tenebra interessava agli Ahyi e gli Ahyi interessavano a noi.

Il veicolo meccanico dell'Ahyi si arrestò bruscamente. Un raggio termico ad altissima temperatura sfrigolò a pochi centimetri da me e creò una pozza fumante sulla superficie ondulante di Tenebra: una pustola nell'epidermide lebbrosa della fogna galattica.