Dopo l’acclamato Ex Machina (2015) c’era molta curiosità per vedere che cosa avrebbe fatto Alex Garland, romanziere inglese (L’ultima spiaggia) approdato al cinema come sceneggiatore per Danny Boyle (28 giorni dopo, Sunshine). Per il suo secondo film come regista si è cimentato con ottimi risultati nell’adattamento del romanzo Annientamento di Jeff VanderMeer, primo della trilogia dell’Area X (2014), vincitore del Premio Nebula e pubblicato in Italia da Einaudi.
Al centro della vicenda c’è una zona della costa degli Stati Uniti che è stata dichiarata inaccessibile in quanto vi si stanno verificando dei misteriosi fenomeni di mutazione. Le squadre di militari e scienziati inviate in esplorazione sono scomparse senza lasciare traccia fino a quando non ricompare Kane (Oscar Isaac), il compagno della biologa Lena (Natalie Portman), incapace però di raccontare che cosa sia accaduto dentro la zona. Mentre le sue condizioni di salute vanno deteriorandosi Lena decide di unirsi alla prossima spedizione esplorativa, un team stavolta tutto al femminile che cercherà di scoprire quello che sta succedendo…
Lo spunto iniziale richiama inevitabilmente alla mente Stalker (1979), il film diretto da Andrej Tarkovskij tratto dal romanzo Picnic sul ciglio della strada (1971) dei fratelli Strugackij, ma lo sviluppo narrativo è alquanto diverso. Come nel caso di Stalker tuttavia anche Annientamento non è una semplice trasposizione in immagini del testo, ma la visione del regista partendo dal romanzo sviluppa anche una sua autonomia creativa, il che lo rende molto più interessante anche per coloro che hanno letto il romanzo.
Il film funziona immergendo sin dall’inizio lo spettatore in un’atmosfera molto strana e unica. La realtà è come se fosse distorta, onirica, con elementi di mutazioni presenti in ogni dove, talvolta belli e affascinanti, talvolta ributtanti e spaventosi, un contesto che ha conseguenze inevitabili anche sullo stato mentale dei componenti del team d’esplorazione. Questa progressione di alterazione e frammentazione della realtà prosegue e si intensifica lungo il tragitto che porta al faro sulla costa, punto dal quale è partito il fenomeno.
Spoiler sul finale del film proseguendo con la lettura
L’incontro finale con l’entità aliena è pieno di immagini memorabili, molto suggestive, e anche di potenti significati simbolici e metaforici. I due esseri viventi interagiscono tra di loro ma chiaramente non instaurano una comunicazione vera e propria. Il momento del primo contatto tra due specie è sempre estremamente complesso da gestire in modo efficace, Garland centra pienamente la straordinarietà della situazione, con il rispettivo studiarsi tra l’umana e l’alieno che instaurano una specie di ‘danza’ nella quale le azioni dell’una vengono replicate dall’altro/a.
L’intera sequenza, che dura circa una ventina di minuti, è egregiamente supportata sia dalle pulsanti musiche di Ben Salisbury e Geoff Barrow (dei Portishead), sia dagli psichedelici effetti visivi della Double Negative supervisionati Andrew Whitehurst, che proprio per il precedente lavoro con Garland in Ex Machine vinse, con sorpresa di molti, il Premio Oscar. (Interessante una lunga intervista, in inglese, proprio sulla realizzazione degli SFX del film).
Annientamento è un film con una sua identità ben precisa, non è un prodotto costruito per piacere a tutti ma per raccontare una storia secondo lo stile (sognante, onirico, lo ha definito lui) del regista. Questo ha causato dei conflitti all’interno della produzione, che hanno infine causato l’uscita in sala solo in Nord America e Cina. David Ellison, CEO di Skydance Media che co-produce, dopo gli screen test ha cercato di far apportare modifiche per renderlo meno ‘intellettuale e complicato’, ovvero più appetibile al grosso pubblico, più commerciale. Fortunatamente il produttore Scott Rudin (una sfilza di titoli acclamati al suo attivo, The Truman Show e il recente Lady Bird tra i tanti) aveva per contratto il diritto al final cut e si è schierato con Garland. Il film finito è dunque rimasto fedele alla visione del regista ma la Paramount non ha voluto rischiare e, come nel caso del (pessimo) The Cloverfield Paradox, ha ceduto subito i diritti internazionali a Netflix.
Viaggio dalla normale realtà di una coppia sino alla psichedelia Annientamento è uno di quei film che richiedono allo spettatore attenzione e un ruolo attivo nell’attribuzione di ogni eventuale ‘significato’, che non è univoco: può essere visto sia come effettivo primo incontro e contaminazione con una razza aliena, sia come metafora dell’autodistruttività connaturata alla realtà dell’essere umani, sia come metafora per le malattie fisiche, come il cancro, o mentali, che in qualche modo ti cambiano da dentro. È comunque un film di un autore che si conferma incisivo e non banale e che ha costruito un film con una identità molto forte che opera a vari livelli, non dà spiegazioni univoche e lascia aperta la porta a molteplici chiavi e piani di lettura.
Dove Kubrick in 2001 Odissea nello spazio metteva Bowman faccia a faccia con il misterioso monolito alieno Garland mette Lisa faccia a faccia con l’entità extraterrestre, la fa guardare dentro l’abisso della nuvola-occhio che a sua volta la guarda. In entrambi i casi alla fine ci ritroviamo con un’umanità che ha compiuto un cambiamento nel profondo, un possibile passo evolutivo, diventando qualcos’altro rispetto a ciò che era.
“Tu non sei Kane, vero?” chiede Lisa nell’ultima scena. Lui ci pensa per un po’ e poi dice “Non credo…”, aggiungendo: “E tu sei Lena?”. Lei non risponde, lo sguardo colmo di interrogativi…
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