Ciascuno di noi era potenzialmente un padre, un maschio, e la lotta e l’aggressività mettevano in moto il meccanismo degli ormoni, ma da dove vengono le madri, le femmine, questo non ero riuscito a capirlo né le mie precedenti letture mi erano di aiuto.Mettemmo alla prova i nostri nuovi corpi. Ora la lotta era mortale: per i duelli ci venivano distribuite delle armi; spada, scudo, elmo, corazza, il tipo di armamento che si usava prima dell’invenzione delle armi da fuoco.Quando una coppia di noi si affrontava, avveniva in uno spazio chiamato “arena” e tutt'attorno c'erano spettatori che sembravano divertirsi a vedere lo spettacolo. I duelli finivano in genere quando uno dei due era ferito mortalmente o crollava a terra, perché – lo sapevamo tutti – per il perdente non c'era scampo. Confesso che ero ampiamente convinto di non farcela; in fondo la maggior parte dei miei avversari era più giovane di me. Ne affrontai e ne battei uno, poi un altro, poi un altro ancora, e credo di aver perso il conto. Non è un bello spettacolo quando un uomo cade a terra con l'addome squarciato, il petto trafitto, la gola aperta da cui il sangue esce a fiotti, e magari con un arto tranciato.

Non dovete credere che la lotta con le armi sia soprattutto una questione di forza: occorrono agilità e intelligenza. C'è una spada come mezzo per colpire, e uno scudo che si porta al braccio sinistro e serve per proteggersi. La spada può servire anche per bloccare la lama dell'avversario e viceversa, manovrando lo scudo all'improvviso, si può dare un colpo per disarmarlo.

Le nostre spade erano lunghe, a due tagli, e gli scudi erano rotondi e piuttosto piccoli: i Custodi non volevano che gli scontri durassero troppo a lungo né che finissero troppo spesso in parità. Il trucco, se così si può dire, consiste nel trovare un varco nella protezione dell'avversario, si chiama “guardia”, e colpire senza esporci a nostra volta.

Io qualcosa sapevo già dalle mie letture del periodo passato come archivista che, ormai me ne rendevo conto con vivo rammarico, comunque andassero le cose, era ormai una fase della mia vita irrimediabilmente trascorsa.

Sembra che la storia dei nostri antenati che vivevano sulla superficie sia stata soprattutto una lunga serie di lotte di una tribù umana contro l'altra, lotte che erano chiamate “guerre”  e a volte coinvolgevano migliaia e in alcuni casi milioni di uomini.

Fino a quando, in un'epoca relativamente tarda, non sono state inventate le cosiddette armi “da fuoco” al cui interno avveniva un'esplosione che scagliava proiettili letali anche a grande distanza, le armi erano tutte di tipo simile a quelle che usavamo noi, le cosiddette armi “bianche”. Avevo anche imparato che il loro uso efficace richiedeva un lungo e continuo addestramento, al punto che le classi di guerrieri specializzate, proprio perché possedevano la forza reale, chiamate “nobiltà”, “aristocrazia” o in altri modi, erano riuscite a prendere il dominio sulle società di allora a proprio vantaggio.

Forse è stata questa conoscenza che mi ha favorito anche rispetto ad avversari più giovani, sapevo che la logica dell' “avventati e colpisci” aveva scarse probabilità di funzionare. Se si voleva rimanere vivi, sopravvivere fino al prossimo scontro, occorreva usare il cervello, studiare l'avversario, individuare le falle nella sua difesa, colpire al momento giusto.

Viverlo, però, è una cosa molto diversa dal raccontarlo. Il primo avversario che mi trovai di fronte nella nuova serie di scontri armati era un giovane muscoloso. L'attivarsi del testosterone gli aveva fatto spuntare una folta barba sulla faccia, che cresceva nera e disordinata. Si avventò contro di me con furia senza stare in guardia. Lo colpii dal basso in alto all'addome, ma lui riuscì a trafiggermi alla spalla sinistra.

Anche questa è una cosa che non si può descrivere a chi non l'ha provata: il dolore bruciante dell'acciaio che ti entra nella carne, ma la mia era solo una scalfittura a confronto dello squarcio che avevo aperto nell'addome di quel giovane, e dal quale cominciarono a fuoriuscire una grande quantità di sangue e materia viscerale.

È doloroso vedere un uomo soffrire tanto e sapere che questo è avvenuto per mano tua, mi augurai che gli dessero il colpo di grazia in fretta.

Lo scontro successivo fu una cosa del tutto diversa. Il mio nuovo avversario aveva probabilmente osservato il combattimento precedente, e non doveva essere uno stupido. Si tenne sempre in guardia e non prese quasi mai l'iniziativa. Ci scambiammo parate e contrattacchi in una sorta di balletto estenuante che pareva non finire mai. Solo dopo ore, un tempo che mi parve infinito, approfittando di una sua distrazione riuscii a trafiggerlo alla gola. Almeno morì rapidamente, senza soffrire troppo.