Si passò agli scontri diretti con contatto fisico, che erano tutta un'altra cosa. Se non lo avete provato, è difficile immaginare cosa significhi colpire un'altra persona ed esserne colpiti, infliggere e provare dolore, ricevere colpi al petto che rendono difficile la respirazione, ritrovarsi con il naso schiacciato, le labbra gonfie, le orbite degli occhi tumefatte, il sapore acre del proprio sangue nella bocca. Io non so se ho avuto particolare fortuna o se queste lotte hanno fatto emergere un'attitudine, un lato di me che non conoscevo, e che trovai inquietante.Il primo avversario che un sorteggio casuale mi aveva messo di fronte era un ragazzo dal corpo nervoso ed esile. Io ero vicino al limite di età superiore, lui doveva aver varcato da poco quello inferiore. Fino a quel momento, la sua maggiore agilità lo aveva favorito rispetto ad altri contendenti, ma a questo punto era una pura e semplice questione di massa muscolare. Non ci misi molto a buttarlo a terra, il difficile fu bloccarlo, perché si divincolava, scalciava e graffiava come un gatto. Dovetti bloccarlo con tutto il mio peso mettendomi sopra di lui, bloccargli le braccia stringendogli i polsi nelle mie mani, e le gambe puntando le mie ginocchia sulle sue. Comunque nient'altro che un caso fortunato, pensai. Il secondo avversario nel quale mi imbattei fu particolarmente facile, doveva essere proprio un mollaccione infiacchito da una vita troppo sedentaria, da un incarico troppo comodo, o forse dopotutto, sospettai e lo sospetto ancora, più furbo di me, e non gliene importava nulla di fare una figuraccia pur di levarsi dall'impiccio e ritornare alle proprie incombenze.

Il terzo, beh, fu tutto un altro affare, credo che avesse sottovalutato questo “vecchietto” che cominciava ad avere già qualche filo grigio sulle tempie. Questo mi diede forse un vantaggio iniziale; non stava in guardia, riuscii a buttarlo a terra come avevo fatto col ragazzo del primo scontro, e a mettermi sopra di lui per bloccarlo, ma poi la faccenda prese tutto un altro andamento: si liberò di me con una violenta torsione del corpo mandandomi a gambe all'aria. Ci rialzammo e iniziammo a scambiarci una fitta gragnola di colpi. Non so se ve l'ho detto, ma in quegli scontri non c'erano colpi o mosse proibite, o limiti di tempo, terminavano quando uno dei due non si rialzava più.

Ci trovavamo avvinghiati cercando di torcerci le membra, poi ci separavamo cercando di colpirci a vicenda con un pugno o un calcio nei punti più dolorosi possibile.

Io non lo so spiegare esattamente, ma in me era scattato qualcosa, qualcosa di ancestrale che fino a quel momento aveva dormito profondamente sotto la pelle del mite archivista. Più si acuiva il dolore, più sentivo le mie carni gonfie e tumefatte, più si accrescevano in me una rabbia sorda e una voglia feroce di fare a mia volta del male, di infliggere dolore, di veder scorrere il sangue di quell'altro che fino a poco prima era stato un perfetto sconosciuto.

Non so quanto tempo trascorse, a me sembrò interminabile, ma alla fine mi ritrovai in piedi anche se contuso e barcollante, con il mio avversario a terra e il mio piede che premeva sulla sua nuca.

Pian piano le cose cambiavano; gli scontri, sempre a eliminazione diretta, si facevano più duri.

Mi accorsi che anche il mio corpo cominciava a cambiare, così come quello degli avversari con cui passavo la giornata a battermi in lotte sempre più lunghe ed estenuanti, e questo – lo confesso – mi riempì di terrore, perché significava che per gli sconfitti non c’era più la possibilità di tornare alla propria vita quotidiana: anche se fossero sopravvissuti alle lotte che si facevano sempre più dure, sarebbero stati uccisi e i loro corpi smembrati e usati per nutrire la comunità.

I muscoli si erano rafforzati e irrobustiti, e questo era ovvio a causa dell’intensa attività fisica a cui ero, a cui tutti noi eravamo sottoposti, ma i peli che cominciarono a crescermi su varie parti del corpo come le ascelle o l’inguine, o anche sulla faccia, erano un’altra cosa. L’appendice inguinale, poi cominciò a ingrandirsi e ingrossarsi, assumendo sempre più l’aspetto di un vero e proprio pene, poi un momento lievemente doloroso, la discesa dei testicoli. Le lotte furono sospese per qualche giorno, perché quello che stava accadendo a me, stava accadendo a tutti noi.

Sperimentarlo sulla propria pelle, sul proprio corpo, è una cosa del tutto diversa dal leggerlo in un libro, ma almeno in teoria lo sapevo già: ciascuno di noi neutri o asessuati è in realtà un maschio sterile, ed è proprio la lotta, lo scontro fisico, la tensione dei combattimenti ad attivare l’azione del testosterone, l’ormone maschile. Il nostro sistema riproduttivo non è proprio uguale a quello degli insetti fra i quali i neutri sono in realtà femmine sterili.