Ender si riscosse e guardò il terminale: la spia di ricezione brillava a intermittenza.— Non adesso — sibilò irritato. — Cristo, come diavolo… — Quando cercò di togliere il contatto si rese conto che non era possibile farlo: il messaggio era a priorità assoluta, e avrebbe interdetto l’uso del portatile fino a quando non fosse stato ascoltato.Cercando di essere il più silenzioso possibile, Ender afferrò il terminale e lo accese. La creatura appesa alla roccia era immobile, con gli occhi chiusi, e non sembrava essersi accorta di loro, sprofon­data anch’essa nel coma che attanagliava i due esseri umani esanimi.

Ender aveva già stabilito che la radiazione empatica che avvertiva in quel luogo, più sorda e controllata rispetto a quella di Silvia Waas, era la stessa che aveva percepito al suo arrivo sul pia­neta. Era quella la creatura che gli aveva parlato nella mente in una lingua sconosciuta.

Lo schermò brillò e mostrò una riga di testo che pregava di visio­nare il messaggio registrato.

— Trasmissione — bisbigliò Ender accostando le labbra al microfono incorporato.

Apparve subito il viso di un uomo che lui non conosceva, con le mostrine della marina aerospaziale sul colletto della camicia.

Ender sudava. Se la creatura si fosse ridestata proprio in quel momento…

— Sono il capitano Roney — esordì l’uomo con espressione dura, — comandante del vascello Viking, classe Stark, in orbita at­torno al pianeta. Le nostre sonde a lungo raggio hanno rac­colto un segnale. C’è qualcosa che si sta dirigendo verso Amalf IV a velocità sostenuta. Non si tratta di vascelli spaziali della Federazione. La struttura individuata è di origine organica, e i primi rilievi sono stati in grado di fornirci un profilo di riferimento che vorrei lei esaminasse.

Si aprirono due griglie laterali, ed Ender dovette stringere gli occhi per distinguere la forma tridimensionale dell’oggetto che si stava avvicinando.

Aveva pressappoco la stessa conformazione dell’elaborazione grafica che gli zoologi avevano tratto dagli scheletri delle gigantesche creature trovate sul fondo dell’oceano, ma almeno trenta volte più grande.

— Sono stato incaricato di avvertirla con priorità assoluta — conti­nuò Roney, — e di raccogliere le sue impressioni sulla faccenda, prima di prendere misure atte a proteggere il mio equipaggio e tutto il personale civile  dislocato sul pianeta.

Il militare tacque, ed Ender spense lo schermo. Il tempo limite indicato per una risposta lampeggiò a caratteri rossi: 17 minuti. Non uno di più. Se lui non si fosse fatto sentire prima, il co­mandante Roney avrebbe preso le sue misure.

Il che significava un at­tacco contro la cosa in avvicinamento, nel tentativo di distrug­gerla o di allontanarla.

Dieci

Non aveva tempo per pensare. Si rendeva conto che la situazione stava precipitando, che Silvia Waas era ormai quasi agonizzante e che quella specie di pipistrello gigantesco attaccato alla parete non sarebbe rimasto inerme a lungo.

Tanitha aveva suggerito di sparargli alla testa, prendere i loro compagni e fuggire a rotta di collo. Una soluzione pratica che Ender non poteva accettare.

La creatura aliena aveva il cranio e tutto il corpo ricoperto da una sostanza chitinosa, e un prurito alla nuca gli diceva che sa­rebbe stata in grado di resistere ai proiettili. Inoltre, lui sa­peva che c’era un collegamento ben preciso tra i fossili ritrovati sul fondo dell’oceano, la gigantesca creatura che si stava avvicinando dallo spazio e quel mostro appollaiato sulla parete, la sola forma vi­vente che erano riusciti a individuare sul pianeta.

Per non parlare dell’arcipelago di isole che dava l’idea di essere stato predisposto come una gigantesca Stonehenge marina.

— Aspetta un momento — mormorò a Tanitha. La ragazza tre­mava stringendo il fucile, senza staccare gli occhi dalla mascella poderosa della creatura.

Con dita che correvano veloci sulla tastiera, Ender riaccese il terminale e si collegò al laboratorio su Picasso. Ricordava di avere notato qualcosa nello schema che i tecnici avevano realizzato come simulazione della possibile struttura fisica dei fossili trovati sul fondo dell’oceano.

Le immagini comparvero con colori nitidi, ed Ender lavorò sul programma inserendo dati e istruzioni. Ben presto divenne evidente che stava andando nella direzione giusta. I corpi affusolati, con un diametro al centro di oltre centocinquanta metri, erano attraversati longitudinalmente da appendici e scanalature ossee perfettamente simmetriche. Quelle che erano state scambiate per pinne laterali, altro non erano che dei supporti or­ganici atti a formare gruppi di animali collegati insieme, in modo che potessero avanzare in formazione compatta.

Solo così si poteva spiegare la forma dell’oggetto in avvicinamento che la Viking aveva individuato. Doveva trattarsi di una ventina almeno di quelle creature, strettamente collegate fra loro e dirette verso il pianeta.