Nei primi giorni di maggio Salani ha pubblicato il romanzo di fantascienza Lacrime nella pioggia della scrittrice Rosa Montero. Il giorno sabato 12 l’autrice era presente al Salone del Libro di Torino. Ne abbiamo approfittato per intervistarla.

Salutata la simpatica scrittrice, la traduttrice e la responsabile dell’Ufficio Stampa della Salani Simona Scandellari, passiamo alle domande:

Mi risulta che lei pur avendo scritto molti libri, non è una scrittrice di romanzi di fantascienza

Non sono una scrittrice di fantascienza ma alcuni anni fa ho già scritto un libro di sf, intitolato Templor. Non mi risulta però che sia stato tradotto in italiano. Il genere mi piace molto.

Il suo nome appare per la prima volta sulla nostra rivista Fantascienza.com. Può descriverci chi è Rosa Montero?

Innanzitutto sono una donna spagnola che fondamentalmente è una narratrice e anche una giornalista. Ma più di tuttto quello che amo al mondo è scrivere e leggere.

Ho al mio attivo dodici libri pubblicati. Nella narrativa ho esordito 32 anni fa, devo dire che i miei libri sono di vario genere, ma tutti sono sfuggenti a ogni classificazione.

Nella sua gioventù era una lettrice? Se si cosa preferiva leggere? Leggeva anche fantascienza?

Leggevo di tutto. Sono stata una lettrice molto precoce già a tre anni e mezzo leggevo, prima di andare a scuola. Tra l’altro tra i cinque e i nove anni sono stata molto malata, quindi non andavo a scuola e passavo tutto il mio tempo a leggere e a scrivere. 

Ho notato che oltre che in questo romanzo di fantascienza, che ha come personaggio principale Bruna Husky, una replicante, spesso nelle sue opere le protagonista sono donne. Perché?

Non necessariamente... sì, la maggioranza sono donne, così come per i libri scritti da uomini la maggioranza dei  protagonisti sono uomini. Se anche uso una protagonista donna, però, non vuol dire che voglio parlare della donne ma solo degli esseri umani.

Preciso anche che almeno il 20% dei protagonisti dei miei libri sono maschi.

Ha alle spalle una lunga carriera come giornalista, ma quando ha sentito la necessità di raccontare qualcosa di suo, di scrivere un romanzo e non solo articoli per il giornale?

Io ho iniziato a scrivere come giornalista quando ancora andavo a scuola e avevo diciannove anni, però  ho sempre scritto narrativa anche senza pubblicare nulla, e addirittura ho iniziato a cinque anni a scrivere novelle, ovviamente infantili, con topolini che parlavano e altro. Solo a ventotto anni ho iniziato a pubblicare narrativa. 

Descrivo me stessa come una scrittrice “organica”, perchè per me scrivere narrativa è essenziale per la mia vita come mangiare, dormire e bere.

Da dove nasce l’idea di scrivere Lacrime nella pioggia, un romanzo ambientato in un lontano futuro?

In realtà non è un futuro cosi lontano, non è davvero fra cento anni. Per me la fantascienza è uno strumento potente, preziosissimo, per rendere l’idea della metafora della condizione umana e vorrei dire un’altra cosa: non sei tu, scrittore, che scegli le idee/argomenti ma sono loro che scelgono te.  Quindi è comparsa questa possibilita di scrivere su una Madrid del 2109 che in realtà non è molto diversa dalla attuale

Aveva letto il romanzo di Philip K. Dick o visto il famoso film Blade Runner (penso che questa domanda le venga fatta ad ogni intervista...)

Naturalmente! Certo, sì io ho preso fondamentalmente due idee dal libro e dal film.

Intanto il titolo è tratto dal discorso finale dell’androide e poi anche nel libro io faccio riferimento al film. Due idee fondamentali vengono dal romanzo di Dick, il fatto che gli androidi avendo poco tempo da vivere abbiano un profondo senso della mortalità e del tempo che fugge via e poi anche l’idea della memoria artificiale concepita come metafora del fatto che anche la nostra memoria è falsa ed è una creazione immaginaria.

Al di la di queste idee fondamentali il libro è molto, molto diverso dal film e dal romanzo di Philip K. Dick.  I replicanti sono diversi da quello del film, il mondo è diverso e sopratutto il modo in cui sviluppo l’idea della memoria e molto diversa.

Cosa vuole esprimere nel romanzo: paura del futuro, della morte (colpisce molto la data certa di morte per i replicanti), l’alienazione, la solitudine, o cosa?

Voglio esprimere la grande tragedia che per il genere umano è  rappresentata dalla morte, dalla vita che fugge velocemente via.

Il tema principale è la tragedia di venire al mondo e vivere questa splendida esperienza con la voglia di vivere, di perpetuarsi, di andare avanti ma sappiamo che tutto è divorato dalla morte e dal senso di fugacità e contro questo senso della ineluttabilità della morte lottiamo in vari modi creando la religione, l’arte, abbiamo creato imperi e sembra un controsenso ma per questo abbiamo anche fatto guerre.

Nel romanzo, la fugacità della vita è proprio il tema principale.

È una sua idea quella di dare ai replicanti una memoria (falsa) di tutta la gioventù?

C’era già in Blade Runner, però la differenza è che loro (gli androidi) non sanno che le loro memorie sono false, mentre nel mio libro i replicanti lo sanno. 

Quello che io ha fatto è stato di  prendere quella idea e svilupparla, per esempio l’idea dei memoristi è assolutamente mia. Ho anche inserito la faccenda delle droghe della memoria. Insomma il tema della memoria e dei “memoristi”, cioè quegli artisti che creano “tutta” la falsa memoria per i replicanti l’ho sviluppata io.

Nel romanzo si parla anche di contatti con altre razze di altri pianeti. Potrebbe essere materia per un ulteriore romanzo ambientato nello stesso periodo? E questa domanda ne nasconde una successiva: ha intenzione di scrivere altri romanzi di fantascienza?

Uno dei miei progetti è creare un mondo nel quale poter tornare nella (non remota) possibilità che ne sentissi la necessità, questa è una tentazione a cui nessun scrittore può resistere.

Sicuramente una mia prossima novella riguarderà una avventura su uno di questi mondi popolati da alieni che sono entrati in contatto con l’uomo, come narro in Lacrime nella pioggia.